Quanto è vicina Cuba alla diagnosi precoce e al trattamento dell’Alzheimer?

Fino a settembre 2022, a Cuba erano state diagnosticate 160mila persone affette da demenza e si stima che entro il 2030 il numero di pazienti nel mondo affetti da questa malattia salirà a 65 milioni, di cui 4,1 milioni in America Latina e nei Caraibi. Tra queste malattie c’è il morbo di Alzheimer, ma quanto è vicina Cuba alla diagnosi precoce e al trattamento? La giornalista Rosy Amaro racconta il lavoro scientifico del Centro di Neuroscienze di Cuba.

Alzheimer: Cuba fa un nuovo passo con uno sviluppo che risveglia la speranza

La scienza dell’isola sorprende ancora una volta il mondo. Questa volta, con un farmaco che potrebbe rallentare il deterioramento cognitivo a cui vanno incontro i 47 milioni di pazienti che soffrono di questa malattia.

Cuba torna a far notizia grazie ai suoi scienziati. L’isola, che durante la pandemia ha immunizzato tutti i suoi abitanti con le proprie formule, riferisce che un farmaco per curare l’Alzheimer lieve o moderato è in Fase III e, se la sua sicurezza ed efficacia saranno confermate, potrebbe essere benefico per i 47 milioni di persone in il mondo che soffre di questa malattia neurodegenerativa. Il progetto, coordinato dal Centro di Immunologia Molecolare, procede a pieno ritmo e nei prossimi mesi si attendono risultati intermedi. Il presidente, Miguel Díaz-Canel Bermúdez, ha comunicato attraverso il suo account Twitter: “Una nuova sfida e un nuovo contributo della scienza cubana”. Se tutto andrà come previsto, potrebbe essere utilizzato anche per curare persone affette da atassie, morbo di Parkinson e malattie cardiovascolari.

Il farmaco caraibico è costituito da gocce per applicazione nasale, facili da usare, chiamate “NeuralCIM”. Questo progresso è motivato da una questione pratica: sull’isola, a una persona su 10 di età superiore ai 65 anni è stato diagnosticato il morbo di Alzheimer. Una risposta, quindi, che dal laboratorio promette di contribuire alla lotta contro una condizione che, fino ad ora, non dispone di trattamenti efficaci per arrestarne la progressione, che colpisce la memoria, la localizzazione e altre funzioni mentali. Esistono solo una manciata di formule che, in parte, aiutano ad alleviare la malattia ma sono molto costose; tanto che in media, come si può calcolare, la cura annua può costare 80mila dollari.

L’Alzheimer compare generalmente dopo i 65 anni e fiorisce negli over 80. È un peggioramento che colpisce la comunicazione e la socializzazione di chi lo affronta e questo, in ultima analisi, provoca solitamente angoscia e depressione. Anche se non si prevede che il farmaco fermi la demenza, si prevede che migliorerà i sintomi dei pazienti e rallenterà il decorso del declino cognitivo che sperimentano. In modo complementare, contribuirà anche a migliorare la qualità della vita dei familiari e degli operatori sanitari.

Lo studio, in due parti

Nel tentativo di corroborarne l’efficacia e la sicurezza nelle popolazioni locali di diverse latitudini, la ricerca viene condotta in due parti. Da un lato si accoglieranno 413 pazienti che si presenteranno in dieci centri distribuiti all’Avana. In questo caso, le persone che parteciperanno alla sperimentazione saranno sottoposte non solo a studi clinici ma anche a studi molecolari, per un anno e mezzo. Allo stesso modo, alcuni volontari riceveranno anche il Donepezil, un farmaco già approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense contro l’Alzheimer.

Una seconda parte sarà realizzata nelle istituzioni del resto del Paese e comporterà il reclutamento di 1.456 persone. In questa occasione, l’esame sarà di carattere clinico soltanto in un ospedale per provincia, ad eccezione di Granma e Santiago de Cuba, i cui test saranno effettuati da due ospedali ciascuno. In totale, si stima che la procedura e la valutazione dei risultati dureranno due anni.

In tutti i test, la molecola che agisce e che il team scientifico testa si chiama NeuroEPO, una formulazione nasale di eritropoietina umana ricombinante (EPO). Si prevede che abbia effetti antinfiammatori, aumenti il ​​flusso sanguigno, sia un antiossidante e provochi la formazione di nuovi vasi sanguigni.

“Si tratta di un composto basato su una modifica dell’eritropoietina, un ormone che viene secreto naturalmente dal rene e la cui funzione è quella di stimolare la produzione di globuli rossi nel midollo. In questo modo, quando si hanno più globuli rossi si può trasportare più ossigeno», spiega Laura Morelli, ricercatrice Conicet del Laboratorio Amiloidosi e Neurodegenerazione dell’Istituto Leloir. Il problema della sovrastimolazione di questo processo è che può causare problemi come la trombosi o qualsiasi tipo di alterazione legata alla fisiologia del sangue. «La parte positiva è che, trasportando l’ossigeno, siamo in presenza di molecole in grado di migliorare la perfusione sanguigna generale e in modo particolare l’ingresso del sangue alla testa», prosegue con la spiegazione.

Con questa premessa, maggiore è l’apporto di sangue, migliori sono tutti i processi cerebrali e cognitivi. “Nonostante non sia specifico per l’Alzheimer, presenta un beneficio globale che potrebbe contribuire, in qualsiasi modo, a migliorare la salute dei pazienti affetti da questa malattia. La mancanza di ossigenazione, che questo farmaco inverte, è strettamente legata al deterioramento cognitivo che causa la patologia», aggiunge Morelli.

Nell’immediato, tra il 2017 e il 2020, gli studi di fase II condotti con questa molecola hanno mostrato adeguati risultati di sicurezza ed efficacia, nonché miglioramenti nei parametri di deterioramento cognitivo e una tendenza a ridurre il tasso di progressione della malattia. casi lievi e moderati. A quel tempo, la somministrazione nasale di NeuroEPO non comportava effetti collaterali nei volontari e migliorava, nel 72% dei casi, i valori complessivi dell’elettroencefalogramma.

Con questa premessa, il Centro di Controllo Statale dei Farmaci, delle Attrezzature e dei Dispositivi Medici (Cecmed) di Cuba ha approvato il farmaco con riserva nel marzo 2022 e, in cambio, il laboratorio dovrà realizzare studi clinici di fase III – che ora vengono riportati – – con l’obiettivo di confermarne l’efficacia.

Un’isola di sovranità

L’avanzata cubana, se si concretizzasse, potrebbe rappresentare una svolta negli approcci legati alla cura dell’Alzheimer. Una malattia che viene classificata come la forma più comune di demenza, che limita le capacità di chi ne è affetto e che, da qui, potrebbe modificarne il corso e, quindi, migliorare la qualità della vita delle persone. A Cuba si stima che ne siano affetti 160mila abitanti, cifra che potrebbe aumentare nel prossimo decennio.

“È chiaro che la finestra terapeutica per far avanzare le cure contro la malattia è legata a stadi molto precoci e non avanzati. A questo proposito, il gruppo cubano scommette sui pazienti in quello stadio della malattia, dove c’è ancora margine di miglioramento”, avverte Morelli.

Il blocco che l’Occidente mantiene da decenni ha, paradossalmente (in alcune zone), un effetto benefico. Uno di questi è scienza e salute: ad eccezione dell’Oceania, i vaccini cubani sono presenti in tutti i continenti. Ad esempio, il coronavirus. In tempi record e con risorse economiche molto inferiori rispetto ai grandi laboratori, l’isola ha immunizzato tutta la sua popolazione con i propri vaccini (Soberana 02, Soberana Plus e Abdala) ed ha esportato spedizioni verso le nazioni che lo richiedevano. Siria, Iran, Saint Vincent e Grenadine, Vietnam, Venezuela e Messico.

Fonte: Cubainformación

Traduzione: www.italiacuba.it

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.