“Un artefatto esplosivo non lancia fiori”

D. Doimeadios Guerrero, I. Pérez http://www.cubadebate.cu

Non si parlava d’altro in città! Un’atmosfera di dolore e impotenza avvolgeva i suoi abitanti. Era il 4 settembre 1997, un giovedì che poteva passare inosservato. Ma quell’anno non si stancavano di seminare esplosivi in ​​Avana. All’isola le facevano male queste stranezze.

La giovane specialista in Medicina Legale, Yleana Vizcaíno Dimé, era di guardia con la squadra che abitualmente l’accompagnava. Erano le 20:00. ed era lontana dall’immaginare quante volte le avrebbero chiesto che ricordasse quella notte.

“Riceviamo l’informazione che stavano per trasferire il cadavere di uno straniero, che era morto a causa delle esplosioni. Da lì si innescò il solito meccanismo per questi casi, l’autorità competente realizzò la richiesta della necropsia e l’abbiamo fatta”, ricorda Yleana, una donna che convince con lo sguardo.

Tra le 12:11 e le 12:31 di quel giovedì, una valanga di bombe aveva sconvolto tre alberghi della capitale cubana – Copacabana, Triton e Chateau Miramar -. E come se la crudeltà fosse stata poca per un giorno, alle 23, un altro artefatto esplose nel ristorante La Bodeguita del Medio, proprio quando l’autore materiale dei fatti, Ernesto Cruz Leon, confessava che adempiva ordini e che la sua motivazione era monetaria.

A quell’ora, la dottoressa Yliana aveva completato l’autopsia di un giovane di nome Fabio Di Celmo, italiano di 32enne -solo di un anno più anziano di lei- vittima di un atto terroristico nella hall dell’Hotel Copacabana.

“È morto mentre lo trasportavano all’ospedale, non è stato possibile rimuovergli la scheggia di metallo che gli ha tagliato il pacchetto nervoso-vascolare, è giunta molto in profondità. Qui possiamo vedere le caratteristiche delle ferite, di notevole dimensione”, illustra la forense cubana 20 anni dopo.

Mortale per forza

Nella biblioteca dell’Istituto di Medicina Legale, la Dr. Vizcaíno commenta alcuni dei risultati della necropsia di Fabio, il figlio minore di Ora e Giustino:

“L’oggetto che ha causato la sua morte era come una stella che usano i ninja, ha tagliato e penetrato per la forza dell’esplosione. L’esplosivo è stato collocato in un portacenere di metallo e per la deformazione che fa l’effetto dell’onda espansiva si è convertita in questo, un oggetto metallico che è uscito come uno proiettile ed ha lesionato i vasi e nervi importanti del lato sinistro del collo, causando una ferita incisa-penetrante”.

Informazioni di stampa di quei giorni hanno cercato -cinicamente- responsabilizzare le autorità cubane di non aver neutralizzato i piani, di non offrirgli immediata assistenza medica al turista italiano o di coinvolgere terzi, nascondendo il nome del legittimo autore intellettuale dei fatti.

“La forza dell’esplosione è stata tale da penetrare e lesionare le ossa della colonna vertebrale. Non era possibile effettuare alcun intervento per molto veloce, che fosse stato, per molto vicino che fosse il centro di cura. Era una lesione mortale per forza che ha causato un massiccio sanguinamento impossibile da fermare. Anche se avesse ricevuto assistenza medica, come accadde, era destinato a morire”, certifica la specialista di I grado in Medicina Legale.

Schegge e non fiori

Nel 1998 Luis Clemente Posada Carriles ha confessato davanti al registratore della giornalista USA, Ann Louise Bardach, di essere l’autore intellettuale della catena di esplosioni avvenute, il 4 settembre 1997, a L’Avana. Ha assicurato, alla Bardach, che hanno cercato “di mettere piccoli esplosivi, perché non volevamo ferire nessuno, solo fare casino e che i turisti non vengano più (a Cuba ndt)”.

Yleana ricorda i frammenti di quell’intervista ed il suo viso si contrae. Tuttavia, la sua professionalità le impedisce di sconvolgersi; davanti alle assurde e contorte parole di un terrorista risponde con prove.

“Fondamentalmente un omicidio è la morte di una persona da parte di un’altra, indipendentemente dall’arma, dai mezzi per raggiungere un obiettivo. Se una persona pone un artefatto esplosivo in un posto, conosce le conseguenze, perché un artefatto esplosivo non lancia fiori, lancia schegge che possono causare danni e che possono uccidere, come in questo caso. Quindi stiamo parlando della morte di una persona da parte di un’altra. Un omicidio. È impossibile che cerchino, per tutto il tempo, di tergiversare questo”, afferma la dottoressa Vizcaíno.

Dopo una breve pausa, l’esperta continua: “Da tale personaggio non possiamo aspettarci altro, la sua intenzione non era quella,”lui non voleva, ma è morto, che peccato”. È la più grande mancanza di rispetto per la vita di una persona, per il giovane che, la sua bomba, ha ucciso a L’Avana”.

In quella intervista, Posada non riuscì tacere e smettere di fare lo sbruffone a sangue freddo. Fu lì che disse: “Non è successo niente, ma gli ha tagliato la giugulare. Triste, vai. È triste, perché non fu intenzionale, ma non possiamo fermare … Quell’italiano era nel momento sbagliato, nel posto sbagliato”. L’assassino ha trasformato la vittima in colpevole. […]

scarica -in PDF- il libro Fabio_el_muchacho_del_Copacabana


“Un artefacto explosivo no lanza flores”

Por: Dianet Doimeadios Guerrero, Irene Pérez

¡No se hablaba de otra cosa en la ciudad! Una atmósfera de dolor e impotencia ceñía a sus habitantes. Era 4 de septiembre de 1997, un jueves que pudo pasar inadvertido. Pero aquel año no se cansaban de sembrarle explosivos a La Habana. A la Isla le dolían sus extrañas.

La joven especialista en Medicina Legal, Yleana Vizcaíno Dimé, estaba de guardia junto al equipo que habitualmente la acompañaba. Transcurrían las 8:00 p.m. y estaba lejos de imaginar cuántas veces le pedirían que recordara aquella noche.

“Nos llega la información que iban a trasladar el cadáver de un extranjero, que había fallecido producto de las explosiones. A partir de ahí se desencadenó el mecanismo habitual para estos casos, la autoridad competente realizó la solicitud de la necropsia y la hicimos”, rememora Yleana, una mujer que convence con la mirada.

Entre las 12:11 y las 12:31 horas de aquel jueves, una avalancha de bombas había trastocado a tres hoteles de la capital cubana —Copacabana, Tritón y Chateau Miramar—. Y como si el ensañamiento hubiese sido poco para un día, a las 11:00 p.m., otro artefacto explotó en el restaurante La Bodeguita del Medio, justo cuando el autor material de los hechos, Ernesto Cruz León, confesaba que cumplía órdenes y que su motivación era monetaria.

A esa hora, la doctora Yliana había concluido la autopsia de un joven llamado Fabio Di Celmo, el italiano de 32 años —solo un año mayor que ella— víctima de un acto terrorista en el lobby del Hotel Copacabana.

“Murió mientras lo trasladaban para el hospital, no fue posible extraerle la esquirla de metal que le seccionó el paquete vásculo-nervioso, llegó muy profundo. Aquí pudimos ver las características de las heridas, de tamaño considerable”, ilustra la forense cubana 20 años después.

Mortal por necesidad

En la biblioteca del Instituto de Medicina Legal, la doctora Vizcaíno comenta algunos de los resultados de la necropsia de Fabio, el hijo menor de Ora y Giustino:

“El objeto que le causó la muerte era como una estrella de las que usan los ninjas, cortó y penetró por la fuerza de la explosión. El explosivo fue colocado en un cenicero de metal y por la deformación que hace el efecto de la onda expansiva se convirtió en eso, un objeto metálico que salió como un disparo y lesionó los vasos y nervios importantes del lado izquierdo del cuello, provocando una herida incisa-penetrante”.

Reportes de prensa de aquellos días intentaron —cínicamente— responsabilizar a las autoridades cubanas de no neutralizar los planes, de no ofrecerle asistencia médica inmediata al turista italiano o de involucrar a terceros, ocultando el nombre del legítimo autor intelectual de los hechos.

“La fuerza de la explosión fue tal que llegó a penetrar y lesionar los huesos de la columna vertebral. No era posible realizar ninguna intervención por muy rápido que fuese, por muy cerca que estuviese el centro asistencial. Era una lesión mortal por necesidad que causó un sangramiento masivo imposible de detener. Aun si recibía asistencia médica, tal y como sucedió, iba a fallecer”, certifica la especialista en Primer Grado en Medicina Legal.

Esquirlas y no flores

En 1998, Luis Clemente Posada Carriles confesó ante la grabadora de la periodista estadounidense Ann Louise Bardach ser el autor intelectual de la cadena de explosiones ocurridas el 4 de septiembre de 1997 en La Habana. Le aseguró a Bardach que trataron “de poner explosivos pequeños, porque no queremos herir a nadie, simplemente hacer un escándalo y que los turistas no vengan más”.

Yleana recuerda fragmentos de aquella entrevista y el rostro se le contrae. Sin embargo, su profesionalidad le impide trastornarse; ante las palabras absurdas y retorcidas de un terrorista responde con evidencia.

“Básicamente un homicidio es la muerte de una persona por otra, con independencia del arma, de los medios para lograr un objetivo. Si una persona pone un artefacto explosivo en un lugar, indiscutiblemente, sabe las consecuencias, porque un artefacto explosivo no lanza flores, lanza esquirlas que pueden causar daño y que pueden matar, como en este caso. Entonces, estamos hablando de la muerte de una persona por otra. Un homicidio. Es imposible que traten todo el tiempo de tergiversar esto”, afirma la doctora Vizcaíno.

Luego de una pequeña pausa, la experta prosigue: “De ese personaje no podemos esperar otra cosa, su intención no era esa, ‘él no quería, pero murió, qué pena’. Ese es el mayor irrespeto por la vida de una persona, por el joven que su bomba mató en La Habana”.

En aquella entrevista, Posada no pudo callarse y dejar de boconear sangre fría. Fue allí donde dijo: “No pasó nada, pero le cortó la yugular. Triste, vaya. Es triste, porque no fue intencional, pero no podemos parar… Ese italiano estaba en el momento equivocado, en el lugar equivocado”. El asesino tornó la víctima en culpable. […]

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