Quella irresistibile compulsione a mentire

Atilio Borón  www.cubadebate.cu

La pandemia esige per il suo controllo una forte presenza dello Stato per proteggere la popolazione, cosa che non si ottiene quando la salute e le medicine sono merci costose. L’esperienza attuale confuta i funesti deliri dei mentori intellettuali di Vargas Llosa: Popper, von Hayek, Berlino, Revel e compagnia.

Ci sembrava già strano che Mario Vargas Llosa fosse rimasto in silenzio davanti alle calamità della pandemia. Soprattutto quelle sofferte nei suoi due paesi, quello di origine, il Perù, e quello di sua adozione, la Spagna. Si rifugiò lì dopo essere stato ripudiato dai suoi compatrioti esattamente trent’anni fa oggi -il 10 giugno 1990- dopo la sua umiliante sconfitta per mano di Alberto Fujimori nelle elezioni presidenziali di quell’anno.

Com’era prevedibile, approfittò dell’occasione di questa piaga per rivelare un’altra delle sue molte menzogne che sembrano verità -la maligna arte di cui è un raffinatissimo cultore- per lodare il governo del suo amico Luis Lacalle Pou che, secondo lo scrittore, decise di combattere il COVID-19 facendo appello alla “responsabilità dei cittadini” e dichiarando “che a nessuno che volesse uscire in strada o continuare a lavorare sarebbe  impedito a farlo, multato o detenuto, e che non vi sarebbe stato alcun aumento fiscale, perché le società private avrebbero giocato un ruolo centrale nella ripresa economica del paese dopo la catastrofe”.

Chiunque legga queste righe scoprirà che il suo indubbio talento come scrittore è tanto grande quanto la sua ignoranza in economia e statistica. Inoltre, che il suo risentimento contro la sinistra esacerba questo difetto e lo induce a trarre conclusioni che si sbriciolano come un castello di carte di fronte alla brezza più leggera.

Applaude al fatto che in Uruguay ci siano solo 23 morti per coronavirus, ma insolitamente attribuisce tale merito ad un presidente che è entrato in carica pochi giorni prima dello scoppio della pandemia. Il suo accecamento lo porta a disconoscere che prima della presidenza del suo amico Lacalle Pou ci sono stati quindici anni di governo del fronte Ampio (che egli squalifica per i suoi “notevoli errori nella politica economica” anche se riconosce che rispettò “la libertà di espressione e le libere elezioni”) durante i quali la salute pubblica è stata una delle priorità della gestione del medico Tabaré Vázquez, per dieci anni, nonché durante l’interregno di José” Pepe “Mujica. Fu questo: la forte presenza dello stato nel campo della salute e non le vuote ed insulse parole di Lacalle Pou che protessero il popolo uruguaiano dalla pandemia.

Contrariamente alle politiche della sinistra in Uruguay, nelle sue patrie di nascita e di adozione, il disastro prodotto dalle idee che Vargas Llosa pubblicizza con tanto fervore è scioccante. Con 5738 morti, il Perù è al 21° posto nella lista di 215 stati e territori compilata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

La Spagna occupa il 6° posto nella classifica grazie alle 27136 vittime del COVID-19 condannate per le “politiche di austerità” dei successivi governi neoliberali che hanno devastato quel paese. Altri governi ammirati dallo scrittore: quello dell’Ecuador con i suoi 3690 morti è posto al numero 17 mentre il 19° è riservato al Brasile di Jair Bolsonaro con un bilancio di 38701 morti.

Ma la misurazione dell’impatto della pandemia e l’efficacia delle politiche del governo sono mostrate più chiaramente se si controlla il numero di morti per milione di abitanti. Il Belgio, uno degli alfieri della reazione neoliberale, registra 831 morti per milione di abitanti ed il Regno Unito del suo ammirato Boris Johnson ha un tasso di 606/milione e un po ‘più basso, al sesto posto troviamo la Spagna, con 580 morti per milione di abitanti. Ecuador con 209, Brasile con 182 e Perù con 174 continuano nel plotone d’avanguardia.

Come si può valutare, tutti paesi con governi fedeli ai canoni del neoliberalismo. Molto più sotto in quella classifica necrologica c’è l’Uruguay, con 7 morti per milione, una prestazione notevole, senza dubbio, uguale a quella esibita dal Giappone. Ma molto più meritoria è che la stessa cifra è quella di Cuba, così insultata dallo stregone neoliberale. Come l’Uruguay ed il Giappone, ma senza che nessuno di questi due paesi soffra il soffocamento di un feroce blocco che si protrae per oltre sessant’anni, che i criminali che governano gli USA solo hanno mirato a indurirlo ancora di più nel mezzo della pandemia.

Critico implacabile di Alberto Fernández -“ci pentiremo della sconfitta di Macri”, ha detto lo scrittore poco dopo la vittoria del candidato del Fronte di Tutti- e dei governi “populisti” dell’Argentina, Vargas Llosa dovrebbe sapere che con le sue 717 vittime della malattia questo paese mostra un tasso di mortalità di 16 morti per milione di abitanti, molto lontano dai valori registrati da Spagna e Perù, inclusi dagli USA con i suoi 348 per milione.

E che nel paese governato dal suo amico Sebastián Piñera, questo indice è otto volte superiore a quello dell’Argentina. In effetti, nel più antico esperimento neoliberale in America Latina e dove la privatizzazione della salute è stata portata agli estremi durante quasi mezzo secolo, il tasso raggiunge il 130 per milione.

Conclusione: la pandemia esige per il suo controllo una forte presenza dello Stato per proteggere la popolazione, cosa che non si ottiene quando la salute e le medicine sono merci costose. L’esperienza attuale confuta i funesti deliri dei mentori intellettuali di Vargas Llosa: Popper, von Hayek, Berlino, Revel e compagnia, responsabili indiretti delle politiche che solo negli USA hanno causato oltre 115000 morti. Febbrili deliri che contrastano con il sobrio numero di Cuba, Uruguay, Cina, Vietnam e Venezuela. Sì, la bloccata Repubblica Bolivariana, che, come l’Uruguay, anche ha avuto solo 23 morti per COVID-19.

Solo che quando di standardizza questa misura per milione di abitanti, il tasso in quel paese non raggiunge nemmeno l’1 per milione, contro il plausibile 7 dell’Uruguay. Ma tutte queste cose lo scrittore le tace, e non penso che sia perché non conosca qualcosa di così elementare. Ha dato ampie prove del fatto che ignora le complessità teoriche dell’Economia Politica e le basi matematiche della Statistica. Ma calcoli così semplici come quelli che abbiamo esposto sopra sono alla portata di chiunque conosca le quattro operazioni di base dell’aritmetica.

Mi rifiuto di ammettere che Vargas Llosa sia incapace di svolgere un compito così elementare. Ma il suo fanatismo lo porta, ancora una volta, a mentire per difendere una causa persa. Non sembra che si sia reso conto che, a parte le grandi perdite umane, il COVID-19 ha fatto qualcos’altro: tirare il colpo di grazia del neoliberalismo come formula per la governance. Gioco finito!

E se non mi crede, per favore si dedichi alla lettura dei giornali della cosiddetta “comunità finanziaria internazionale” (in realtà una truppa di criminali e banditi dai “colletti bianchi”) che lì glii spiegheranno accuratamente i loro piani per mondo che sorgerà quando la pandemia sarà controllata. Ed in quel mondo il neoliberalismo si è convertito in una parolaccia che, se si pronuncia, lo si fa a bassa voce e guardando di traverso ai lati.


Esa irresistible compulsión de mentir

Por: Atilio Borón

La pandemia exige para su control una fuerte presencia del Estado para proteger a la población, cosa que no se logra cuando la salud y los medicamentos son onerosas mercancías. La experiencia actual refuta los funestos delirios de los mentores intelectuales de Vargas Llosa: Popper, von Hayek, Berlin, Revel y compañía.

Ya nos parecía extraño que Mario Vargas Llosa permaneciera en silencio ante las calamidades de la pandemia. Sobre todo las sufridas en sus dos países, el de origen, Perú, y el de su adopción, España. Allí se refugió después de haber sido repudiado por sus compatriotas hace hoy exactamente treinta años –un 10 de Junio de 1990- tras su humillante derrota a manos de Alberto Fujimori en la elección presidencial de ese año.

Como era previsible aprovechó la ocasión de esta plaga para dar a conocer otra de sus tantas mentiras que parecen verdades -arte maligno del cual es un refinadísimo cultor- para alabar al gobierno de su amigo Luis Lacalle Pou que, según el escritor, decidió combatir al COVID-19 apelando a “la responsabilidad de los ciudadanos” y declarando “que nadie que quisiera salir a la calle o seguir trabajando sería impedido de hacerlo, multado o detenido, y que no habría subida de impuestos, porque la empresa privada jugaría un papel central en la recuperación económica del país luego de la catástrofe.”

Quien lea estas líneas comprobará que su indudable talento como escritor es tan grande como su ignorancia en materia de economía y estadística. También que su resentimiento contra la izquierda exacerba este defecto y lo induce a extraer conclusiones que se desmoronan como un castillo de naipes ante la más suave brisa.

Aplaude el hecho de que en Uruguay sólo se registren 23 muertos a causa del coronavirus, pero insólitamente le atribuye ese mérito a un presidente que asumió pocos días antes del estallido de la pandemia. Su obcecación lo mueve a desconocer que antes de la presidencia de su amigo Lacalle Pou hubo quince años de gobierno del Frente Amplio (al que descalifica por sus “equivocaciones notables en política económica” aunque reconoce que se respetó “la libertad de expresión y las elecciones libres”) durante los cuales la salud pública fue una de las prioridades de la gestión del médico Tabaré Vázquez, durante diez años, así como durante el interregno de José “Pepe” Mujica. Fue esto: la fuerte presencia del estado en el terreno de la sanidad y no las palabras huecas e insulsas de Lacalle Pou lo que protegió al pueblo uruguayo de la pandemia.

A contrapelo de las políticas de la izquierda en Uruguay, en sus patrias de nacimiento y adopción el desastre producido por las ideas que Vargas Llosa publicita con tanto fervor es estremecedor. Con 5 738 muertos el Perú figura en el 21º lugar en la lista de 215 estados y territorios compilados por la Organización Mundial de la Salud.

España ocupa el 6º lugar en el ranking gracias a las 27 136 víctimas del COVID-19 condenadas por las “políticas de austeridad” de los sucesivos gobiernos neoliberales que asolaron a ese país. Otros gobiernos admirados por el escritor: el de Ecuador con sus 3 690 muertos se coloca en el puesto número 17 mientras que el 19º está reservado para el Brasil de Jair Bolsonaro con un saldo luctuoso de 38 701 muertos.

Pero la medición del impacto de la pandemia y la eficacia de las políticas gubernamentales se muestran de modo más nítido si se controla el número de muertos por millón de habitantes. Bélgica, uno de los portaestandartes de la reacción neoliberal, registra 831 muertos por millón de habitantes y el Reino Unido de su admirado Boris Johnson tiene un índice de 606/millón y un poco más abajo, en el sexto lugar, encontramos a España, con 580 muertos por millón de habitantes. Ecuador con 209, Brasil con 182 y Perú con 174 continúan en el pelotón de la vanguardia.

Como se puede apreciar, todos países con gobiernos fieles a los cánones del neoliberalismo. Mucho más abajo en ese ranking necrológico está el Uruguay, con 7 muertos por millón, una performance notable, sin duda, igual a la que exhibe Japón. Pero mucho más meritorio es que esa misma cifra sea la que tiene Cuba, tan denostada por el hechicero neoliberal. Igual que Uruguay y el Japón pero sin que ninguno de estos dos países sufra la asfixia de un encarnizado bloqueo que se extiende a lo largo de sesenta años, que los maleantes que gobiernan Estados Unidos sólo atinaron a endurecerlo aún más en el medio de la pandemia.

Implacable crítico de Alberto Fernández –“lamentaremos la derrota de Macri”, dijo el escritor poco después de la victoria del candidato del Frente de Todos- y los gobiernos “populistas” de la Argentina, Vargas Llosa debería saber que con sus 717 víctimas de la plaga este país exhibe una tasa de letalidad de 16 muertos por millón de habitantes, muy lejos de los valores que registran España y Perú, inclusive de Estados Unidos con sus 348 por millón.

Y que en el país que gobierna su amigo Sebastián Piñera, este índice es ocho veces mayor que el de la Argentina. En efecto, en el más antiguo experimento neoliberal de América Latina y en donde la privatización de la salud ha sido llevada a sus extremos durante casi medio siglo el índice llega a 130 por millón.

Conclusión: la pandemia exige para su control una fuerte presencia del Estado para proteger a la población, cosa que no se logra cuando la salud y los medicamentos son onerosas mercancías. La experiencia actual refuta los funestos delirios de los mentores intelectuales de Vargas Llosa: Popper, von Hayek, Berlin, Revel y compañía, responsables indirectos de políticas que sólo en los Estados Unidos produjeron más de 115 000 muertos. Afiebrados delirios que contrastan con los sobrios números de Cuba, Uruguay, China, Vietnam y Venezuela. Sí, la bloqueada república bolivariana que, como el Uruguay, también tuvo apenas 23 muertos por el COVID-19.

Sólo que cuando se estandardiza esta medida por millón de habitantes la tasa en ese país no alcanza siquiera al 1 por millón, contra el muy plausible 7 del Uruguay. Pero todas estas cosas las calla el escritor, y no creo que sea porque desconozca algo tan elemental. Ha dado sobradas pruebas de que ignora las complejidades teóricas de la Economía Política y los fundamentos matemáticos de la Estadística. Pero cálculos tan simples como los que hemos expuesto más arriba están al alcance de cualquier persona que conozca las cuatro operaciones básicas de la aritmética.

Me niego a admitir que Vargas Llosa sea incapaz de tan elemental tarea. Pero su fanatismo lo lleva, una y otra vez, a mentir para defender una causa perdida. No parece haber caído en cuenta de que aparte de las cuantiosas pérdidas humanas el COVID-19 hizo algo más: descerrajarle el tiro de gracia al neoliberalismo como fórmula de gobernanza. ¡Game over!

Y si no me cree que por favor se dedique a leer los diarios de la mal llamada “comunidad financiera internacional” (en realidad una tropa de truhanes y bandidos de “cuello blanco”) que allí le explicarán con pelos y señales sus planes para el mundo que amanecerá cuando la pandemia haya sido controlada. Y en ese mundo el neoliberalismo se convirtió en una mala palabra que, si se la pronuncia, se lo hace en voz baja y mirando de reojo a los costados.

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