Fidel Castro combattente contro l’oppressione

Salim Lamrani: “Fidel Castro è visto come l’archetipo del combattente contro l’oppressione”

 https://lapupilainsomne.wordpress.com

1386296937_849641_1386297548_noticia_normalVoice of America (VOA): Salim Lamrani, perché un tale coinvolgimento di Cuba in Africa? Forse i cubani hanno cercato di sfruttare le risorse naturali del continente?


Salim Lamrani (SL): Penso che dovremmo ricordare i tre aspetti che caratterizzano il personaggio Fidel Castro. In primo luogo è l’architetto della sovranità nazionale, che fece di Cuba una nazione indipendente. Poi è il riformatore sociale che pose al centro del suo progetto di società l’essere umano universalizzando l’accesso alla salute, istruzione, cultura, sport, tempo libero. Infine -e questa è la sua terza caratteristica- è un internazionalista che ha sempre steso una mano fraterna ai popoli del Sud ed in particolare ai popoli che lottavano per la loro emancipazione. Questo spiega l’intervento di Cuba in Africa.
Cuba ha giocato un ruolo chiave nella liberazione dell’Africa australe. Conviene ricordare quello che disse Nelson Mandela quando si recò a Cuba: “Quale altro paese può mostrare una storia di maggior disinteresse di quella che ha esibito Cuba nelle sue relazioni con l’Africa”. Credo che questa citazione di Nelson Mandela risponda in qualche modo alla sua domanda.
Al contrario di altre nazioni che intervennero in Africa per saccheggiare le ricchezze del continente, l’unico paese che intervenne per difendere il diritto degli africani all’autodeterminazione, alla dignità ed alla libertà, è la nazione cubana, è il popolo cubano ed è Fidel Castro.
Penso che questo spiega la popolarità di questo personaggio non solo in Africa, ma anche in America Latina ed in Asia. Fidel Castro è visto come l’archetipo del combattente contro l’oppressione.

VOA: Sì, ma è un personaggio controverso, Salim Lamrani -scusi se la interrompo- perché in Occidente molti si mostrano indignati per la pioggia di elogi dopo la morte di Fidel Castro. Per loro era una delle ultime dittature comuniste del pianeta, che si aggrappò al potere per quasi 50 anni, un uomo che fece regnare il terrore sulla sua isola e che è accusato di aver sottomesso gli 11 milioni di cubani alla povertà collettiva.

SL: Nessun dirigente al mondo può rimanere 30 anni alla testa di un paese -giacché Fidel Castro fu Presidente della Repubblica dal 1976 al 2006-, in un contesto di ostilità, di guerra larvata con gli USA, senza il sostegno maggioritario del popolo.
La diplomazia USA installata a Cuba ha mostrato molto lucidità al riguardo. Mi riferisco ad un memorandum del 2009 che redasse Jonathan Farrar, allora Capo della Sezione di Interessi USA all’Avana, in cui dice che “sarebbe un errore sottovalutare l’appoggio di cui dispone il Governo, in particolare tra le comunità popolari e gli studenti”. Penso che conviene ricordare questa realtà.
Per quanto riguarda la povertà -lei ha parlato di povertà- le istituzioni internazionali contraddicono il suo punto di vista. Secondo l’UNICEF, l’unico paese dell’America Latina e del Terzo Mondo nello sradicare la denutrizione infantile è Cuba.

VOA: Ricordiamo la storica stretta di mano tra il presidente Barack Obama e Raul Castro, nel dicembre 2013. Era a Soweto durante la cerimonia in onore di Nelson Mandela; un segnale che si scriveva un’altra pagina. In effetti, un anno dopo, si annunciò l’avvicinamento. Secondo lei, forse, la morte di Fidel Castro avvicinerà ancora più Cuba e gli USA?

SL: In ultima analisi tutto dipende dagli USA perché si deve ricordare che il conflitto tra Washington e L’Avana è asimmetrico. Da un lato c’è una potenza, gli USA, che impongono sanzioni a Cuba. L’aggressione e l’ostilità sono unilaterali. Sono gli USA che occupano, in modo illegale ed illegittimo, una parte del territorio sovrano di Cuba (Guantanamo). Sono gli USA quelli che esigono un cambiamento di regime.
Penso che il Presidente Barack Obama fece una costatazione molto lucida quando accettò di dialogare con L’Avana. Si rese conto che la politica di ostilità era anacronistica in quanto risale alla Guerra Fredda. E’ crudele, poiché le sanzioni economiche colpiscono le categorie più vulnerabili della popolazione. E’ anche inefficiente in quanto invece d’isolare Cuba sulla scena internazionale, ha isolato gli USA. Anche i più fedeli alleati degli USA esigono una revoca delle sanzioni economiche, che costituiscono il principale ostacolo allo sviluppo del paese.
Allora penso che si dovrà chiedere al prossimo presidente USA se desidera mantenere rapporti cordiali e pacifici con Cuba o se desidera tornare ad una politica di confronto e di ostilità.

VOA: C’è stato un avvertimento di Donald Trump. Ha minacciato di porre fine allo storico riavvicinamento con Cuba se l’Avana non dava più contropartite in termini di diritti umani e di apertura economica. Come va l’apertura economica di Cuba?

ddhh_trump-derechos_humanosSL: Permettimi una parola sulla questione dei diritti umani. Penso che il presidente Donald Trump, che esige modifiche alla situazione dei diritti umani a Cuba, dovrebbe leggere l’ultimo rapporto di Amnesty International su Cuba e confrontarlo con quello riguardante gli USA. Quando uno confronta le due relazioni si rende conto che il peggior alunno non è chi si pensa. Donald Trump e gli USA non hanno la legittimità necessaria per dissertare sul tema dei diritti umani.
In quanto al modello economico, conviene ricordare che Cuba è una nazione sovrana. Tocca, allora, ai cubani decidere il loro sistema politico, il loro modello sociale ed il loro modello economico. Non tocca a Donald Trump né agli USA imporre un modello e parlare di economia di mercato. Secondo il Diritto Internazionale, dal Congresso di Westfalia del 1648, c’è un’uguaglianza sovrana tra gli Stati. C’è un principio chiamato di non-ingerenza negli affari interni. Credo quindi che il sistema economico non deve essere imposto da una potenza straniera.

Servizio per l’Africa de Voice of America http://www.voaafrique.com/a/3619259.html

http://www.tiendaeditorialhiru.com/informe/336-cuba-palabra-a-la-defensa.html

Salim Lamrani: “Fidel Castro es visto como el arquetipo del combatiente contra la opresión”

Voice of America: Salim Lamrani, ¿por qué semejante implicación de Cuba en África? ¿Acaso los cubanos buscaban explotar los recursos naturales del continente?

Salim Lamrani: Creo que conviene recordar las tres facetas que caracterizan al personaje de Fidel Castro. Primero es el arquitecto de la soberanía nacional que logró hacer de Cuba una nación independiente. Luego es el reformador social que ubicó en el centro de su proyecto de sociedad al ser humano universalizando el acceso a la salud, a la educación, a la cultura, al deporte, a la recreación. Por fin –y ésta es su tercera característica– es un internacionalista que siempre extendió una mano fraterna a los pueblos del Sur y particularmente a los pueblos que luchaban por su emancipación. Ello explica la intervención de Cuba en África.

Cuba desempeñó un papel fundamental en la liberación del África austral. Conviene recordar lo que dijo Nelson Mandela cuando viajó a Cuba: “¿Qué otro país puede mostrar una historia de mayor desinterés que la que ha exhibido Cuba en sus relaciones con África?”. Creo que esta cita de Nelson Mandela responde de alguna forma a su pregunta.

Contrariamente a las demás naciones que intervinieron en África para saquear las riquezas del continente, el único país que intervino para defender el derecho de los africanos a la autodeterminación, a la dignidad y a la libertad, es la nación cubana, es el pueblo cubano y es Fidel Castro.

Creo que ello explica la popularidad de este personaje no sólo en África, sino también en América Latina y en Asia. Fidel Castro es visto como el arquetipo del combatiente contra la opresión.

VOA: Sí, pero es un personaje controvertido, Salim Lamrani –disculpe que lo interrumpa– porque en Occidente muchos se muestran indignados por la lluvia de elogios tras la muerte de Fidel Castro. Para ellos era uno de los últimos dictadores comunistas del planeta que se aferró al poder durante cerca de cincuenta años, un hombre que hizo reinar el terror en su isla y que es acusado de haber sometido a los 11 millones de cubanos a la pobreza colectiva.

SL: Ningún dirigente en el mundo puede quedarse 30 años a la cabeza de un país –ya que Fidel Castro fue Presidente de la República de 1976 a 2006– en un contexto de hostilidad, de guerra larvada con Estados Unidos, sin un apoyo mayoritario del pueblo.

La diplomacia estadounidense instalada en Cuba ha mostrado mucha lucidez al respecto. Me refiero a un memorándum de 2009 que redactó Jonathan Farrar, entonces Jefe de la Sección de Intereses Norteamericanos en La Habana, en el cual dice que “sería un error subestimar el apoyo del cual dispone el Gobierno, particularmente entre las comunidades populares y los estudiantes”. Creo que conviene recordar esta realidad.

En cuanto a la pobreza –usted habló de pobreza– las instituciones internacionales contradicen su punto de vista. Según la UNICEF, el único país de América Latina y del Tercer Mundo en erradicar la desnutrición infantil es Cuba.

VOA: Recordamos el apretón de manos histórico entre los presidentes Barack Obama y Raúl Castro en diciembre de 2013. Era en Soweto durante la ceremonia de homenaje a Nelson Mandela; una señal de que se escribía otra página. En efecto, un año más tarde, se anunció el acercamiento. Según usted ¿acaso la muerte de Fidel Castro acercará aún más a Cuba y Estados Unidos?

SL: En definitiva todo depende de Estados Unidos porque conviene recordar que el conflicto entre Washington y La Habana es asimétrico. Por una parte hay una potencia, Estados Unidos, que impone sanciones a Cuba. La agresión y la hostilidad son unilaterales. Es Estados Unidos el que ocupa de modo ilegal e ilegítimo una parte del territorio soberano de Cuba (Guantánamo). Es Estados Unidos el que exige un cambio de régimen.

Creo que el Presidente Barack Obama hizo una constatación muy lúcida cuando aceptó dialogar con La Habana. Se dio cuenta de que la política de hostilidad era anacrónica pues se remonta a la Guerra Fría. Es cruel, ya que las sanciones económicas afectan a las categorías más vulnerables de la población. Además es ineficiente ya que en vez de aislar a Cuba en la escena internacional, ha aislado a Estados Unidos. Incluso los más fieles aliados de Estados Unidos exigen un levantamiento de las sanciones económicas, que constituyen el principal obstáculo al desarrollo del país.

Entonces creo que habrá que preguntar al próximo presidente de Estados Unidos si desea mantener relaciones cordiales y pacíficas con Cuba o si desea volver a una política de confrontación y hostilidad.

VOA: Hubo una advertencia de Donald Trump. Amenazó con poner fin al acercamiento histórico con Cuba si La Habana no daba más contrapartidas en términos de derechos humanos y de apertura económica. ¿Cómo va la apertura económica de Cuba?

SL: Permítame una palabra sobre la cuestión de los derechos humanos. Creo que el presidente Donald Trump, quien exige cambios a nivel de la situación de los derechos humanos en Cuba, debería leer el último informe de Amnistía Internacional sobre Cuba y compararlo con el de Estados Unidos. Cuando uno compara los dos informes se da cuenta de que el peor alumno no es quien uno piensa. Donald Trump y Estados Unidos no tienen la legitimidad necesaria para disertar sobre la cuestión de los derechos humanos.

En cuanto al modelo económico, conviene recordar que Cuba es una nación soberana. Les toca entonces a los cubanos decidir su sistema político, su modelo social y su modelo económico. No le toca a Donald Trump ni a Estados Unidos imponer un modelo y hablar de economía de mercado. Según el Derecho Internacional, desde el Congreso de Westfalia de 1648, hay una igualdad soberana entre los Estados. Hay un principio que se llama la no injerencia en los asuntos internos. Creo entonces que el sistema económico no debe ser impuesto por una potencia extranjera.

Servicio para África de Voice of America http://www.voaafrique.com/a/3619259.html

*Doctor en Estudios Ibéricos y Latinoamericanos de la Universidad Paris Sorbonne-Paris IV, Salim Lamrani es profesor titular de la Universidad de La Reunión y periodista, especialista de las relaciones entre Cuba y Estados Unidos. Su último libro se titula Cuba, ¡palabra a la defensa!, Hondarribia, Editorial Hiru, 2016.

http://www.tiendaeditorialhiru.com/informe/336-cuba-palabra-a-la-defensa.html

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