Venezuela. I mercenari attaccano per mare

di Geraldina Colotti

“Ci dichiariamo in ribellione e allerta permanente contro l’imperialismo”. Così ha affermato il ministro della Difesa venezuelana, Vladimir Padrino López dopo il tentativo di invasione per mare, attraverso la città di Macuto, nello stato di La Guaira, respinto dalla Forza Armata Nazionale Bolivariana.

Un gruppo di 300 mercenari, proveniente dalla Colombia, ha cercato di entrare via mare in Venezuela, usando lance veloci, ma è stato respinto. Tra questi – ha fatto sapere Diosdado Cabello in una conferenza stampa – c’era un ex militare disertore, nome di battaglia “il Pantera”, che è stato ucciso insieme ad altri assalitori. Era uno di quelli che stavano appoggiando le strategie di aggressione alla repubblica bolivariana, portate avanti dagli USA.

Per distogliere l’attenzione dal disastro provocato dalle sue politiche neoliberiste che antepongono gli interessi del mercato a quelli della vita, Donald Trump ha infatti cercato di accusare il governo bolivariano di essere uno stato “narcotrafficante”, arrivando persino a mettere una taglia sulla testa del presidente Maduro e dei dirigenti chavisti.

La battaglia tra due modelli – quello capitalista e quello socialista – che si va configurando in questa gigantesca operazione di smascheramento del capitalismo costituita dal coronavirus, è senza quartiere. Richiede l’utilizzo di traditori ai quali la rivoluzione ha fatto l’onore di attribuire un ruolo, e che oggi si prestano come megafoni di un sistema di sfruttamento nefasto e fallimentare.

Il governo bolivariano ha denunciato che uno dei mercenari, lanciati in questa nuova operazione di aggressione, ha confessato essere un agente della DEA, l’agenzia antidroga USA che, come la storia, ci ha insegnato, è stata la principale azionista di tutte le operazioni destabilizzanti in America Latina, e non solo.

Questo attacco non è una novità, come non sono una novità le strategie di aggressione e di invasione tentate dall’imperialismo nordamericano mediante le sue agenzie. Dalla vittoria di Hugo Chavez alle elezioni del 6 dicembre 1998 a oggi, l’imperialismo nordamericano ha attivato tante volte la vena golpista dell’opposizione venezuelana, per riportare sotto il suo completo controllo quello che ha sempre considerato come il proprio cortile di casa.

Il film Operación Orion, di Ruben Hernandez, ispirato all’operazione della Finca Daktari, dalla quale partirono 300 paramilitari organizzati per uccidere Chávez, illustra bene un modello che continua a essere all’ordine del giorno, soprattutto oggi in cui i falchi del Pentagono sembrano volersi giocare le ultime carte, puntando su un cavallo perdente, quello dell’autoproclamato Juan Guaidó.

A quasi sessant’anni dall’invasione della Baia dei Porci a Cuba, il Venezuela bolivariano sta vivendo un’aggressione analoga a quella che, nell’aprile del 1961 gli Usa hanno scatenato contro la rivoluzione cubana, per mezzo di anticastristi basati a Miami.  La differenza, però, sta nella qualità della guerra ibrida scatenata dopo la caduta dell’Unione Sovietica.

Una guerra permanente e continuata, che fa della rivoluzione bolivariana un laboratorio di pratiche e di esperienze, utili per tutti i popoli che intendano costruire il proprio futuro senza tutele. Di fronte all’aggressione imperialista – ha detto il 1° maggio, il presidente Nicolas Maduro, rivolgendosi alle lavoratrici e ai lavoratori – noi rispondiamo così: “lavoro, salute, fucile”.

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