Venezuela: il dilemma dell’opposizione

Perché c’è un settore dell’opposizione che chiede la revoca del blocco e la partecipazione politica?

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Prodotto delle politiche dell’opposizione venezuelana, negli ultimi 20 anni, sorge una tendenza in settori accademici ideologicamente affini che cerca di plasmare l’opinione pubblicata criticando la strategia di Washington sul Venezuela in chiara separazione dai fallimenti del cosiddetto “piano Guaidó”, uno che promuove le misure coercitive unilaterali (MCU) ed, in modo sotterraneo, la minaccia militare.

Si tratta di intellettuali che, negli ultimi mesi, hanno mantenuto una linea discorsiva che, pur insistendo nel mettere in criticare il carattere democratico del quadro istituzionale venezuelano, propugna sia la partecipazione politica che il dialogo o la negoziazione a diversi livelli e termini, collimando con la recente dichiarazione della Conferenza Episcopale Venezuelana che chiede la partecipazione alle prossime elezioni parlamentari.

Il fallimento USA, la sua disperazione e la dirigenza nulla

 

Uno degli elementi di spicco di queste dichiarazioni è la critica alla politica estera USA a cui Pedro Benítez, professore di Storia presso l’Università Centrale del Venezuela (UCV) ed operatore della defunta Mesa de la Unidad Democrática (MUD), accusa di aver “agito in maniera molto goffa e scoordinata”.

Anche Geoff Ramsey, del The Washington Office on Latin America (WOLA), afferma che gli annunci che il governo USA ha fatto sull’intervenire e sanzionare il Venezuela sono dovuti al fatto che Donald Trump, il suo presidente, “ha bisogno dell’appoggio di un certo settore della sua base nello stato della Florida”. Secondo lui, il falconato che lo sostiene vede il tema venezuelano come un passo per realizzare la transizione a Cuba.

Sebbene nell’antichavismo ci siano sempre state voci critiche verso gli USA, è una novità che si stia riconfigurando in alcuni dei suoi “esperti” il discorso verso i difetti d’origine che provengono da Washington, senza rinunciare al cambio di regime, alludono alla necessità di realizzare il lavoro interno affinché appaia una reale dirigenza dall’interno dell’antichavismo.

Da parte sua, Michael Penfold, membro del Wilson Center, di Washington e con sede a Caracas, avverte la necessità del dialogo e di cercare di raggiungere accordi “senza opportunismi” cosicché gli USA dovrebbero essere disposti a ritirare le MCU affinché il “regime chavista accetti di sedersi al tavolo anche sentendosi vincitore.

Il crocevia elettorale dell’anti-chavismo nel suo labirinto

 

Questi forgiatori di opinioni dell’anti-chavismo alludono anche allo scenario elettorale, concordando sulla necessità di fare politica, piuttosto che promuovere la pressione militare od economica.

Ramsey definisce il diritto di voto come lo strumento principale “per ottenere un cambio politico che ci porti ad una transizione” e Benítez critica il rifiuto dei partiti del G4 di partecipare alle prossime elezioni parlamentari di dicembre: “Se decido di non andare, devo spiegare la mia strategia. La gente ha bisogno di un messaggio”.

Quest’ultimo insiste, inoltre, sulla necessità di proporre il ritiro delle MCU in cambio di condizioni elettorali, aggiungendo che “bisogna trovare un modo per rompere la coalizione interna”, riferendosi alla coesione del chavismo come il problema fondamentale da risolvere.

C’è una notevole preoccupazione da parte di questo settore per gli effetti delle MCU sull’attuale situazione economica venezuelana, come evidenziano le loro dichiarazioni, in particolare gli aspetti che compongono la vita quotidiana e consentono di mantenere il tessuto sociale.

In questo modo, si va formando un blocco di personalità, nell’opposizione venezuelana, che discutono su uno scenario politico che protegga i diritti fondamentali della popolazione a scapito dell’attuale strategia di cambio di regime, evidentemente fallita.

Da ciò si appella, ad esempio, Penfold, il quale afferma che la pretesa di “continuità amministrativa” alla presidenza dell’attuale parlamento, da parte di Guaidò, ha “un fondamento giuridico e costituzionale debole”; detto questo, “i vari paesi avranno dubbi nel riconoscere la legittimità del governo in carica perché il suo mandato, secondo la Magna Carta, scade il 4 gennaio 2020”.

Nel discorso di questi settori dell’opposizione, contrari a Guaidó, si è inserita una difesa dell’istituzionalità, in riferimento ai tentativi di minarla a livello internazionale. Il vuoto e la nozione di “nessun paese” offerti dal “piano Guaidó” stanno minando il loro sostegno in questi ed in altri fattori che richiedono, continuamente, dialogo e partecipazione politica di fronte al chavismo al governo.

Interessi e posizioni contrapposte

 

Alcuni settori preponderanti della borghesia finanziaria venezuelana, attraverso analisti ed opinionisti, iniziano a prendere le distanze dagli errori strategici commessi da Leopoldo López e Julio Borges e da chi rappresentano.

È opportuno ricordare che in tutte queste analisi, incentrate sulla proposta di revoca delle “sanzioni” economiche-finanziarie-commerciali contro il Venezuela, si sottolinea la responsabilità di Guaidó (e degli USA, per parapetto) nella quasi scomparsa dell’opposizione politica nel paese ed, allo stesso tempo, la circolazione del capitale e dei prodotti della rendita stanno precipitando, anche quando non smettono di ritenere responsabile il presidente Maduro.

Lo scorso marzo, l’economista venezuelano Francisco Rodríguez, portavoce dei detentori del debito, ha proposto che l’Assemblea Nazionale (AN) (di Guaidó, l’unica che riconosce “legittima”) sollecitasse gli USA di sollevare le MCU sul paese per affrontare le conseguenze della pandemia di Covid-19, al contempo ha richiesto anche, a Juan Guaidó, sia le informazioni precise sulle risorse disponibili nei conti (congelati) dello Stato venezuelano all’estero sia il piano per il loro utilizzo in caso di emergenza; dando ad intendere un segnale di poca trasparenza da parte degli interessi di Guaidó e della sua gente.

Al riguardo, il media La Tabla ha sottolineato il pragmatismo dei settori rappresentati da Rodríguez al cercare di evitare il collasso venezuelano per la pandemia istituendo un’amministrazione tutelata dall’ONU attraverso “agenzie internazionali” e gli interessi dei creditori (compresi i clan familiari-imprenditoriali della borghesia finanziaria-latifondista) per poter riscuotere i propri crediti.

La Tabla si riferisce anche alla disputa tra lo strato finanziario-latifondista della borghesia venezuelana, vittorioso nell’acuirsi delle contraddizioni contro la borghesia commerciale-importatrice, sua storica avversaria di classe.

Due pietre miliari chiarificatrici di tale scontro sono il “colpo di stato” del 30 aprile 2019, dopo il quale l’AN di Guaidó ha approvato il pagamento degli interessi sul titolo del 2020 e l’uscita di Ricardo Hausmann dal “governo ad interim”, nell’agosto di quell’anno, con lo smantellamento dello schema di riconoscimento paritario del debito commerciale.

Il Venezuela si trova in un momento in cui sia i fondi avvoltoi internazionali che le élite locali combattono per le loro ricchezze (e debiti) anche quando la Repubblica si trova assediata ed in una franca ristrutturazione della politica istituzionale che consenta la stabilizzazione verso un quadro economico-sociale molto più sano di quello attuale sperimentato dalla popolazione venezuelana.

In questo quadro di lotta inter elite e politica contro il chavismo si inseriscono gli intellettuali qui citati.

Cosa non si dice del treno deragliato

 

È chiaro, quindi, che in questi settori dell’opposizione si propone una diversa strategia di sloggiamento dal chavismo dal potere, in cui prevale la piena partecipazione politica, senza trinceramenti o timori di patti, rendendo presente un fattore che si separa dall’estremismo violento e pirata che ha caratterizzato la performance dell’anti-chavismo.

I disastrosi effetti del “piano Guaidó”, sommati alla caduta di Trump nei sondaggi di fronte alla candidatura del democratico Joe Biden alle prossime elezioni USA, toccano interessi politici e commerciali nei settori che sponsorizzano o sono alleati di fatto di questi intellettuali; quindi è chiaro che si vedono fuori da uno scenario di ricostruzione post intervento e desiderano posizionarsi di fronte ad un’eventuale vittoria democratica.

Tuttavia poco o nulla dicono sulle risorse rubate al Venezuela, né sulle minacce di intervento ancora vigenti, né sul piano dietro le cortine politiche dell’anti-chavismo chiaramente espresse nel contratto con i mercenari della SilverCorp e nella fallita incursione armata di alcuni mesi fa.

La verità è che, parallelamente alla riconfigurazione della politica e del quadro istituzionale in Venezuela dentro emergono personalità che cercano di inserirsi in quell’ambito in cui sono propizie le alternative a quanto stabilito da Washington alla dirigenza egemonica anti-chavista.

Sembra che nelle sue file alcuni ricordino che la motivazione di tutto ciò che è accaduto negli ultimi 20 anni, alla fine, rimane politica.


¿Por qué hay un sector de la oposición que pide el levantamiento del bloqueo y la participación política?

Producto de las políticas de la oposición venezolana en los últimos 20 años, surge una tendencia en sectores académicos ideológicamente afines que trata de amoldar la opinión publicada criticando la estrategia de Washington sobre Venezuela en claro deslinde de los fracasos del llamado “plan Guaidó”, uno que impulsa las medidas coercitivas unilaterales (MCU) y, de manera soterrada, la amenaza militar.

Se trata de intelectuales que han mantenido una línea discursiva en los últimos meses que, aunque insiste en cuestionar el carácter democrático de la institucionalidad venezolana, propugna tanto la participación política como el diálogo o la negociación en niveles y plazos distintos, colindando con el reciente comunicado de la Conferencia Episcopal Venezolana que llama a la participación de las venideras elecciones parlamentarias.

El fracaso de Estados Unidos, su desesperación y el liderazgo nulo

Uno de los elementos resaltantes de estas declaraciones es la crítica a la política exterior de Estados Unidos a la que Pedro Benítez, profesor de Historia en la Universidad Central de Venezuela (UCV) y operador de la extinta Mesa de la Unidad Democrática (MUD), acusa de haber “actuado de una manera muy torpe y descoordinada”.

También Geoff Ramsey, de The Washington Office on Latin America (WOLA), afirma que los anuncios que ha hecho el gobierno estadounidense sobre intervenir y sancionar a Venezuela se debe a que Donald Trump, su presidente, “necesita el apoyo de cierto sector de su base en el estado de Florida”. En su opinión, el halconato que lo respalda ve el tema venezolano como un paso para lograr la transición en Cuba.

Aunque en el antichavismo siempre ha habido voces críticas hacia Estados Unidos, es novedoso que se esté reconfigurando en algunos de sus “expertos” el discurso hacia las fallas de origen que vienen desde Washington, sin renunciar al cambio de régimen hacen alusión a la necesidad de realizar el trabajo interno para que aparezca un liderazgo real desde adentro del antichavismo.

Por su parte Michael Penfold, miembro del Centro Wilson de Washington y radicado en Caracas, advierte la necesidad del diálogo y a tratar de lograr acuerdos “sin oportunismos” por lo que Estados Unidos tendría que estar dispuesto a retirar las MCU para que el “régimen chavista acceda a sentarse en la mesa aun sintiéndose ganador”.

La encrucijada electoral del antichavismo en su laberinto

Estos forjadores de opinión del antichavismo también hacen alusión al escenario electoral coincidiendo en la necesidad de hacer política, más que impulsar la presión militar o económica.

Ramsey define al derecho a votar como la principal herramienta “para lograr un cambio político que nos lleve a una transición” y Benítez critica la negativa de los partidos del G4 a participar en las próximas elecciones parlamentarias de diciembre: “Si decido no ir, tengo que explicar mi estrategia. La gente necesita un mensaje”.

Este último insiste, además, en la necesidad de plantear el retiro de las MCU a cambio de condiciones electorales, agregando que “tienes que buscar cómo romper la coalición interna”, refiriéndose a la cohesión del chavismo como el problema básico a resolver.

Existe una preocupación notable por parte de este sector respecto a los efectos de las MCU sobre la actual situación económica venezolana, así lo han evidenciado sus declaraciones, en particular los aspectos que conforman la cotidianidad y permiten mantener el tejido social.

De esta manera se va conformando un bloque de personalidades en la oposición venezolana que arguyen en torno a un escenario político que resguarde los derechos básicos de la población en detrimento de la actual estrategia de cambio de régimen, notablemente fallida.

De ello se agarra, por ejemplo, Penfold, quien dice que la pretensión de una “continuidad administrativa” en la presidencia del actual parlamento, por parte de Guaidó, tiene “un basamento legal y constitucional débil”; ante ello, “los diversos países tendrán dudas para reconocer la legitimidad del gobierno encargado porque su período, de acuerdo con la Carta Magna, se vence el 4 de enero de 2020”.

Se ha insertado en estos sectores opositores contrarios a Guaidó una defensa de la institucionalidad en su discurso, en referencia a los intentos de socavarla desde el plano internacional. El vacío y la noción de “no país” que ofrece el “plan Guaidó” está minando su apoyo en estos y otros factores que continuamente piden diálogo y participación política frente al chavismo gobernante.

Intereses y posiciones contrapuestas

Algunos sectores preponderantes de la burguesía financiera venezolana, a través de analistas y opinadores, comienzan a marcar distancia de errores estratégicos cometidos por Leopoldo López y Julio Borges y a quienes representan.

Es oportuno recordar que en todos estos análisis, centrados en proponer el levantamiento de las “sanciones” económicas-financieras-comerciales contra Venezuela, se recalca la responsabilidad de Guaidó (y Estados Unidos, por mampuesto) en la casi desaparición de la oposición política en país al mismo tiempo que la circulación de capital y los productos de la renta van en picada, aun cuando no dejan de responsabilizar al presidente Maduro.

En marzo pasado el economista venezolano Francisco Rodríguez, vocero de los tenedores de deuda, propuso que la Asamblea Nacional (AN) (de Guaidó, la única que reconoce “legítima”) solicitara a Estados Unidos el levantamiento de las MCU sobre el país para enfrentar las secuelas de la pandemia del Covid-19, asimismo solicitó a Juan Guaidó tanto la información precisa sobre los recursos disponibles en las cuentas (congeladas) del estado venezolano en el exterior como el plan para su uso en la emergencia, dando a entender un señalamiento de poca transparencia por parte de los intereses de Guaidó y su gente.

Al respecto, el medio La Tabla señaló el pragmatismo los sectores representados por Rodríguez al intentar evitar el colapso venezolano por la pandemia estableciendo una administración tutelada por la ONU a través de “agencias internacionales” y los intereses de los acreedores (incluidos clanes familiares-empresariales de la burguesía financiera-terrateniente) para poder cobrar sus acreencias.

La Tabla también hace referencia a la disputa entre la capa financiera-terrateniente de la burguesía venezolana, vencedora en la agudización de las contradicciones frente a la burguesía comercial-importadora, su adversario clasista histórico.

Dos hitos esclarecedores de tal confrontación son el “golpe” del 30 de abril de 2019, tras el cual la AN de Guaidó aprobó el pago de intereses del bono 2020 y la salida de Ricardo Hausmann del “gobierno interino” en agosto de ese año con el desmontaje del esquema de reconocimiento paritario de la deuda comercial.

Venezuela se encuentra en un momento en el que tanto fondos buitre internacionales como elites locales se pelean por sus riquezas (y deudas) aun cuando la República se encuentra sitiada y en franca reestructuración de la política institucional que permita la estabilización hacia un marco económico-social mucho más saludable que el actual experimentado por la población venezolana.

En ese cuadro de pugna interelite y política contra el chavismo se insertan los intelectuales aquí nombrados.

Lo que no se dice del tren descarrilado

Queda claro, entonces, que se plantea una estrategia de desplazamiento del chavismo del poder distinta en estos sectores opositores, en la que prevalece la participación política en pleno sin atrincheramientos ni temor a los pactos, haciendo presente un factor que se deslinda del extremismo violento y pirata que ha caracterizado la actuación del antichavismo.

Los efectos desastrosos del “plan Guaidó”, sumados a la caída de Trump en las encuestas frente a la candidatura del demócrata Joe Biden para las próximas elecciones estadounidenses, tocan intereses políticos y mercantiles en los sectores que patrocinan o son aliados fácticos de estos intelectuales, por lo que es claro que se ven fuera de un escenario de reconstrucción post-intervención y desean posicionarse ante un eventual triunfo demócrata.

Sin embargo, poco o nada dicen de los recursos robados a Venezuela, ni de las amenazas de intervención aún vigentes, ni del plan tras las cortinas políticas del antichavismo claramente expresado en el contrato a los mercenarios de SilverCorp y la fallida incursión armada de hace unos meses.

Lo cierto es que, paralelo a la reconfiguración de la política y la institucionalidad Venezuela adentro, surgen personalidades que tratan de insertarse en ese marco donde son propicias las alternativas a lo establecido por Washington a la dirigencia antichavista hegemónica.

Pareciera que en sus filas algunos recuerdan que la motivación de todo lo ocurrido en los últimos 20 años, al final, sigue siendo política.

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