Il suo è puro teatro

Reinier Cabrera Duardo  www.cubadebate.cu

Yunior García Aguilera è un giovane e noto drammaturgo cubano per il suo lavoro in scena, e lo inizia ad essere anche per la sua teatralità in politica. Sebbene dica che non è un politico, né di avere aspirazioni politiche, tutto ciò che ha fatto negli ultimi due anni è politica. Tutto quello che ha detto che farà è politica.

E sulla sua prestazione politica, Yunior ha ribaltato un arsenale drammaturgico, pieno di inganni, aggettivazioni, menzogne, manipolazioni e imprecisioni. Oggi sono stato testimone.

Stamattina ho preso il lavoro, che è anche punizione e disagio, per vedere la sua apparizione per intero davanti a decine di media internazionali, pronti ad amplificare il suo discorso da qualche parte a Madrid.

Mentre recitava il suo copione – una versione aggiornata di un vecchio copione – ho annotato più di una ventina di idee lanciate a raffica irresponsabili.

Non mi fermerò su tutte, questo testo sarebbe letargico. Commenterò il più assurde, le più contraddittorie, le più semplice. Possono dare un’idea dell’insieme di un atto che, sicuramente, lo vedremo ripetere nel suo periplo nei circuiti anticubani europei.

Il drammaturgo parte con un elogio a se stesso, che verrà ribadito senza vergogna negli oltre 60 minuti del suo intervento, scandito ripetutamente da paragoni apparentemente sottili, nientemeno che con José Martí. I commenti sono superflui.

“Le mie opere teatrali erano estremamente critiche… Oltre ad essere molto critico nei confronti della realtà nelle mie commedie, avevo bisogno di agire come cittadino, non come artista”, dice Yunior. Pochi giorni fa, l’amica argentina Laura Tedesco -che ha recentemente confessato di aver individuato dal 2017 il suo potenziale per affrontare il “regime” e quindi ha gestito corsi di preparazione all’estero- ha dichiarato che “Yunior è sempre stata una persona che faceva critiche e ha sempre avuto molte forti domande (nelle sue opere)”.

Comincio da qui, perché se un’azione si ripete nel discorso del drammaturgo, è etichettare Cuba come “dittatura” e “tirannia”. Strana dittatura, stupefacente tirannia che -pur non ammettendolo mai- gli ha permesso di collocare nelle sale più visitate della Capitale, tutte quelle opere critiche che rasentavano la controrivoluzione.

Né questo signore dice che fino alla sua partenza dal paese, lui è stato assunto dal Ministero della Cultura, e che non ha smesso di ricevere un solo peso (moneta cubana) durante tutta la pandemia, nemmeno nei mesi di agitazione politica antigovernativa, in che non ha neppure lavorato, salvo per sovvertire l’ordine stabilito.

Vale a dire, ha incassato senza contribuire socialmente, nella dittatura socialista di Cuba. Uno dei grandi drammi che artisti e drammaturghi come lui hanno vissuto, in altri paesi, durante la pandemia è stato quello di vedere chiudere i teatri e con esso i propri introiti, senza alcuno stato “paternalistico” a tutelarli.

Beata la dittatura che agisce così, come quella di Pinochet, vero? Sì, perché questa è stata una delle aberrazioni del libretto teatrale a cui abbiamo assistito stamattina.

In un atto di trasposizione malintenzionata di realtà molto diverse, Yunior ha descritto l’impatto del film cileno “No” – che la televisione cubana ha mostrato più di una volta – come un atto di massa di rifiuto della Rivoluzione. Secondo lui, “tutti” i cubani (così ha generalizzato) hanno commentato nelle loro reti che “la dittatura di Pinochet e la dittatura comunista cubana sono esattamente la stessa cosa”. Lo ha detto con enfasi e teatralità, in un’affermazione che, in primo luogo, pecca in quanto ignorante della storia.

Non è possibile definire diversamente il fatto che ignora questo aspirante a premi imperiali: molte degli oltre 3.000 vittime della dittatura di Pinochet sono state assassinate o sono scomparse per aver difeso gli ideali socialisti.

Sarebbe un elementare dovere giornalistico chiedere a Yunior di denunciare un solo morto o scomparso durante i 62 anni della Rivoluzione Cubana. Cerchi con una lente di ingrandimento un cubano o residente a Cuba nella lista dei 59 giornalisti uccisi, nel 2020, nel mondo, di cui 22 in America Latina, secondo il dato ONU. Sa che non ne troverà nessuno, anche se siamo una delle nazioni più diffamate del pianeta.

Yunior pretende creare un’atmosfera di violenza e di repressione generalizzata intorno alla Rivoluzione, e su quell’aberrante disegno, invitare le sinistre di tutto il mondo di smettere di sostenere Cuba. Si spiazza e risponde fatalmente quando gli chiedono cos’altro dovrebbe accadere o fare il governo dell’isola perché quella sinistra “apra gli occhi”.

“Non so cosa aspettano veramente, non so cosa aspettano, dice in tono quasi infantile, mentre balbetta: ‘ehhh, che altro possono fare. Beh, potrebbero, sì, potrebbero uccidere qualcuno, ma hanno già ucciso qualcuno, cioè l’11 luglio è morta una persona, l’ha ucciso un poliziotto con un colpo alla schiena, con un colpo alla schiena, e penso che molti nel mondo non sono neppure capaci di dire il nome di quella persona che è morta: Yuvys Laurencio, e  dire quel nome non l’ho nemmeno visto molto sulla stampa ed era un giovane cubano che è stato colpito alla schiena, e che non si sa se qualche poliziotto sia stato processato e condannato per questo’.

Yunior allude a questo esempio in due occasioni e in nessuna delle due contestualizza, il che mostra la sua intenzione manipolativa. La morte del giovane a cui fa riferimento è avvenuta in uno scontro con una banda violenta, di cui la vittima faceva parte, che lanciava bottiglie incendiarie e pietre contro la polizia in un quartiere dell’Avana.

L’esito, fatale e deplorevole, perché non potremo mai accettare la morte violenta di nessuno, è avvenuto in quello scenario e sì, è stato un poliziotto, un uomo di fronte a una circostanza, dove può essere intervenuta la paura, l’agitazione, l’ansia. Ma mai, nessun comando militare cubano ha impartito l’ordine di sparare per uccidere.

Questo è l’ordine che sono sicuro Yunior e molti altri desideravano quell’11 luglio o questo 15 novembre se la sua marcia si fosse data. Che la prima cosa che gli venisse in mente nella risposta sia stata la speranza di un atto violento da parte dello Stato, è un’interessante proiezione psicologica di dove vanno le loro intenzioni.

Yunior vuole che il caso del giovane ucciso da un poliziotto, per legittima difesa, sia un evento rilevante o simbolico su scala mondiale. Difficilmente potrebbe esserlo in un mondo in cui gli omicidi per mano della polizia sono quotidiani.

Né, in questo caso cubano, c’è impunità. È emersa ed è pubblica l’informazione che, nonostante le circostanze che circondano il fatto e causa la legittima difesa, questo agente dell’autorità è stato indagato e le ultime informazioni sono che sarebbe stato portato dinanzi ai tribunali.

Ma la manipolazione dell’attore non si ferma qui, e l’indignazione ci avvolge ancora più quando si parla di vaccini. Lo lascio alle sue parole: “…un governo che ha usato i cinque candidati vaccini come una sorta di arma politica, non come un gesto di verità, interessato alla salute del popolo…” Ecco, se non vi stupite se siete arrivati con la lettura sino a qui, a chiare lettere l’ha detto e la registrazione è su YouTube.

Come si può non pensare o essere interessati alla salute del popolo e dispiegare tutti gli sforzi per ottenere in meno di un anno tre vaccini certificati dal nostro ente regolatore?

Come può non essere frutto della preoccupazione per il popolo aver vaccinato il 79,5% della popolazione fino ad oggi, con uno schema completo, e che prima della fine dell’anno sarà molto più del 95%?

Come può non esserci preoccupare per il popolo quando, anche senza finire di immunizzare l’intera popolazione, stiamo già iniziando una nuova campagna di rinforzo che durerà per i prossimi sei mesi?

Come può non esserci preoccupazione per il popolo quando siamo il primo paese al mondo che è riuscito a immunizzare quasi tutta la sua popolazione in età pediatrica, maggiore di 2 anni?

Come può non esserci preoccupazione per il popolo con i sette protocolli di azione medica che vengono applicati nei nostri ospedali per curare il Covid, con farmaci avanzati, frutto della biotecnologia cubana?

Come può non esserci preoccupazione per il popolo quando Cuba ha avuto, in questi due anni, tassi di mortalità tra i più bassi al mondo addirittura nel momento peggiore della malattia, a metà di quest’anno?

Quello che dice Yunior non solo attacca lo Stato cubano, ma offende e disconosce, in primo luogo, una legione di medici e scienziati che, quest’anno, hanno rinunciato alle proprie vite personali pensando al popolo.

Yunior si concede il lusso di criticare la gestione dello Stato, ma dov’era lui che non lo abbiamo visto tra l’esercito di giovani, e meno giovani, che ha marciato verso le zone rosse per servire, nelle diverse funzioni, dentro gli ospedali e centri di isolamento?

Ma continua dicendo: “hanno concentrato, ancora una volta, tutte le loro forze su quei cinque candidati vaccini per alzare la bandiera che Cuba era una potenza medica, e in realtà non c’era una sola pastiglia per calmare il mal di testa degli ipertesi, non potevano calmare la pressione perché, a Cuba, non c’erano assolutamente medicine. Persino siamo rimasti senza ossigeno, cioè la gestione della pandemia è stata disastrosa”.

Sì Yunior, tutto questo è successo, meno la tua semplificazione della realtà con quell’aggettivo “disastrosa”.

Abbiamo attraversato un periodo molto difficile, nei mesi di giugno, luglio e agosto, quando si è registrato il picco della pandemia con l’aumento dei casi accertati. Cuba, come nessun paese al mondo, e l’ho volutamente posto in maiuscolo, era preparata in termini di infrastrutture mediche per una recrudescenza di tale portata.

Non è stato Cuba l’unico paese in cui gli ospedali hanno avuto una complessa situazione con la disponibilità di posti letto o dove scarseggiava l’ossigeno. La crisi dell’ossigeno, Yunior, è stata globale, che nel caso di Cuba è stata dovuta al guasto imprevisto della sua principale fabbrica, e tra l’altro il Governo che “non si preoccupa” del suo popolo ha erogato le pochissime risorse finanziarie disponibili per importare i pezzi necessari e risolvere la crisi nel più breve tempo possibile.

Sì, che ci è mancato l’ossigeno, e ci sono mancati e ci mancano i farmaci. Ma non hai mai menzionato l’effetto del blocco USA in questo sensibile settore. Non dici una parola di come intralci e ostacoli le convenzioni e gli accordi di Cuba per importare materie prime per la sua produzione, o parti di ricambio per la nostra industria farmaceutica. Non si fa alcun cenno al criminale tentativo di intralciare l’acquisto delle forniture necessarie per produrre i nostri vaccini e che è stato necessario superare ostacoli e spendere denaro, che non abbiamo, per poterle ottenere.

Di certo, durante la cosiddetta crisi dell’ossigeno ci sono state società regionali, di paesi vicini che avrebbero abbassato costi e accelerato la consegna, che si sono rifiutate di venderci ossigeno per paura delle sanzioni extraterritoriali del blocco, e negli USA abbiamo dovuto avere una licenza speciale, che non abbiamo mai avuto. Il blocco soffoca, e in questo caso non è stata una metafora.

Quello è il blocco, quello che ci fa spendere anche quello che non abbiamo, e impedisce di svilupparci ulteriormente.

Yunior dovrebbe ascoltare i genitori che hanno visto morire i propri figli o le decine di persone che vedono soffrire una persona cara, perché non hanno ricevuto medicinali o accessori sanitari che solo sono disponibili o producono negli USA.

Il blocco non esiste nel discorso teatrale di Yunior, che solo pone enfasi che “l’embargo è una scusa del governo cubano”. Embargo, perché lui non dice blocco come i cubani, egli dice embargo come piace agli yankee.

Nemmeno su questo tema ha dimostrato di poter essere autentico.

Le sue diatribe sui corsi preparatori che ha frequentato all’estero, in vista di farlo diventare quello che è oggi, lo dimostrano sempre meno credibile. Gli è rimasto solo, come difesa, il vano tentativo di legittimare la figura dell’ex presidente del governo spagnolo, Felipe González, con cui il suo gruppo ha avuto un incontro a porte chiuse a Madrid. Lo stesso Felipe che, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, tentò, in più di un’occasione, di persuadere Fidel a dare una svolta alla Rivoluzione cubana, e a rovinarla verso un modello neoliberale.

Questo è stato il motivo principale per cui Fidel ha rotto con Felipe González e Yunior non lo ha mai menzionato. Capisco che risulti difficile farlo. Qualcuno dubita che il Felipe González che ha avuto l’audacia di insistere affinché Fidel mettesse fine alla sua stessa Rivoluzione, non farebbe lo stesso o non darebbe ricette peggiori a Yunior e al gruppo che lo ha accompagnato a un corso in Spagna?

Stiamo parlando dello stesso Felipe González che era capo del governo, a metà degli anni 80, quando in Spagna sono stati creati i Gruppi Antiterroristi di Liberazione (GAL), unità paramilitari che hanno assassinato, fatto sparire o torturato centinaia di indipendentisti baschi. Sebbene i tribunali iberici lo abbiano assolto, documenti della CIA declassificati, diversi anni dopo, e che sono pubblici e hanno generato una tempesta in Spagna, hanno confermato il suo legame con il GAL.

Con un tale insegnante nel suo corso, non sorprende che in seguito abbiamo visto Yunior difendere, con veemenza, le persone che sono in carcere perché l’11 luglio hanno commesso atti violenti e vandalici a Cuba, o ricevere, senza prendere le distanze, chiamate da un terrorista, famigerato e persino riconosciuto dalla stampa nordamericana come tale: Ramón Saúl Sánchez.

E qui mi voglio fermarmi per una evidente gaffe nelle dichiarazioni del drammaturgo. Ha assicurato che tutti i suoi telefoni a Cuba, il cellulare, quello di casa, quelli di sua moglie, suocera, cognato, ecc., sono stati, in queste settimane, da quando ha lanciato il suo appello, tagliati dalle autorità cubane. Non poteva farne uso. Aveva una linea di emergenza, ha detto, che nessuno conosceva e che usava per casi specifici.

Mi sorgono allora nuove domande: come può, sotto quell’assedio, avere la conversazione già nota con Ramón Saúl e farla passare per una delle tante, quando diceva che riceveva centinaia di telefonate al giorno? Forse il terrorista aveva la sua linea più privata?

Ma ancora più interessante, se non poteva usare i suoi cellulari, come è possibile allora che quegli stessi numeri che dice essere stati bloccati hanno continuato a ricevere sontuose ricariche dagli USA, che evaporavano all’istante e sembravano più una passarella di pagamento, che il normale consumo nelle comunicazioni?

Sono molte e sue incongruenze ed è grande il suo dramma teatrale. Cerca giustificare la sua sconfitta, che è quella di non essere riuscito a mobilitare il popolo. È rimasto solo. È possibile che si possa trattenere centinaia di persone affinché non lascino la propria casa, ma migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia, milioni, non esiste modo umano o repressivo possibile per impedire loro di uscire se lo volessero.

Dice che il governo è già finito e che ha perso la maggioranza. Ma, allo stesso tempo, dice che restare a Cuba significava morire in vita. Contraddizione. Non è che gli è rimasto poco? Perché se n’è andato? E quelli che ha lasciato, quelli non sono morti viventi?

Tutte le sue maschere cadono una ad una.

Yunior cerca di coprire il tradimento dei suoi compagni, persino dei suoi seguaci nelle reti. Li ha ingannati nel modo più goffo possibile. Mentre il 12 novembre li arringava a marciare, ognuno a modo suo il giorno 15, stava già facendo le valigie e gestendo la sua via di fuga verso la Spagna.

Al drammaturgo è mancato il coraggio e il carattere per affrontare il disprezzo, ma soprattutto le conseguenze legali delle sue azioni. Sì, perché, benché non ha marciato, ha commesso un reato dal momento in cui ha ignorato o disatteso la risoluzione comunale che vietava la marcia e l’ha portata avanti fino alla fine.

Come ha potuto uscire per viaggiare, chi non poteva uscire per marciare? Quello di Yunior è puro teatro.


Lo suyo es puro teatro

Por: Reinier Cabrera Duardo

Yunior García Aguilera es un joven y reconocido dramaturgo cubano por su obra sobre las tablas, y lo empieza a ser también por su teatralidad en la política. Aunque él dice que no es político, ni tiene aspiraciones políticas, todo lo que ha hecho en los últimos dos años es política. Todo lo que ha dicho que hará es política.

Y sobre su actuación política, Yunior ha volcado un arsenal dramatúrgico, plagado de engaños, adjetivaciones, mentiras, manipulaciones e inexactitudes. Hoy fui testigo.

Esta mañana me tomé el trabajo, que también es castigo e incomodidad, de ver íntegramente su comparecencia ante decenas de medios internacionales, dispuestos a amplificar su discurso desde algún lugar de Madrid.

Mientras iba recitando su libreto – versión actualizada de un viejo guión- apunté más de una veintena de ideas tiradas en ráfagas de manera irresponsable.

No me voy a detener en todas, sería un letargo este texto. Comentaré las más absurdas, las más contradictorias, las más simples. Ellas pueden dar una idea del conjunto de un acto que, seguramente, le veremos repetir en su periplo por circuitos anticubanos europeos.

Arranca el dramaturgo con loas a sí mismo, que se reiterarán sin pudor durante los más de 60 minutos de su intervención, salpicada una y otra vez por comparaciones, aparentemente sutiles, nada menos que con José Martí. Sobran los comentarios.

“Mis obras de teatro eran extremadamente críticas… Además de ser muy crítico con la realidad en mis obras, necesitaba actuar como ciudadano, no como artista”, dice Yunior. Hace unos días, su amiga argentina Laura Tedesco -quien recientemente confesó que desde el 2017 identificó su potencial para confrontar al “régimen” y por ello le gestionó cursos de preparación en el exterior- declaró que “Yunior siempre fue una persona que hacía críticas y siempre tenía cuestionamientos muy fuertes (en sus obras)”.

Empiezo por aquí, porque si una acción se reitera en el discurso del dramaturgo es etiquetar a Cuba como “dictadura” y “tiranía”. Rara dictadura, asombrosa tiranía que -aunque él jamás lo reconozca- le permitió poner en las salas más visitadas de la Capital, todas esas obras críticas que rozaban la contrarrevolución.

No dice tampoco este señor que hasta su salida del país, él estaba contratado por el Ministerio de Cultura, y que no dejó de recibir un solo peso durante toda la pandemia, ni siquiera en los meses de agitación política antigubernamental, en los cuales tampoco trabajó, salvo para subvertir el orden establecido.

Es decir, cobró sin aportar socialmente, en la dictadura socialista de Cuba. Uno de los grandes dramas que vivieron, durante la pandemia, artistas y dramaturgos como él, en otros países, fue ver cerrarse los teatros y con ello sus ingresos, sin ningún estado “paternalista” que les amparase.

Benditas sea la dictadura que actúa así, como la de Pinochet, ¿no? Si, porque esta fue una de las aberraciones del libreto teatral al que asistimos esta mañana.

En un acto de traspolación malintencionada de realidades muy distintas, Yunior describió el impacto de la película chilena, “No” -que la televisión Cubana ha exhibido más de una vez- como un acto masivo de rechazo a la Revolución. Según él, “todos” los cubanos (así generalizó) comentaron en sus redes que “la dictadura de Pinochet y la dictadura comunista cubana son exactamente lo mismo”. Lo dijo con énfasis y teatralidad, en una afirmación que en primer lugar peca de ignorante de la historia.

No es posible definir de otra manera el hecho que soslaya este aspirante a premios imperiales: muchas de las más de 3000 víctimas mortales de la dictadura de Pinochet, fueron asesinadas o desaparecidas por defender ideales socialistas.

Sería de elemental deber periodístico, pedir a Yunior que reporte un solo muerto o persona desaparecida a lo largo de 62 años de Revolución cubana. Que busque con lupa a algún cubano o residente en Cuba dentro de la lista de los 59 periodistas asesinados en el 2020 en el mundo, de ellos 22 en América Latina, según cifra de la ONU. Sabe que no encontrará a ninguno, a pesar de que somos una de las naciones sobre las que más se difama en todo el planeta.

Yunior pretende crear un ambiente de violencia y represión generalizada en torno a la Revolución, y sobre ese dibujo aberrante, convocar a las izquierdas de todo el mundo para que dejen de apoyar a Cuba. Se descoloca y responde fatal cuando le preguntan qué más debía pasar o hacer el gobierno de la isla para que esa izquierda “abra los ojos”.

“No sé qué esperan de verdad, no sé que esperan, dice en tono casi infantil, mientras balbucea: ‘ehhh, qué más pueden hacer. Bueno, podrían, sí, podrían matar a alguien, pero ya mataron a alguien, es decir el día 11 de julio murió una persona, lo mató un policía con un tiro por la espalda, con un tiro por la espalda, y creo que muchos en el mundo ni siquiera son capaces de decir el nombre de esa persona que murió: Yuvys Laurencio, es decir ese nombre ni siquiera lo he visto demasiado en la prensa y fue un joven cubano al que mataron con un tiro en la espalda, y del que no se sabe si algún policía ha sido juzgado y condenado por eso’.

Yunior alude a este ejemplo en dos ocasiones y en ninguna de ellas contextualiza, lo que evidencia su intención manipuladora. La muerte del joven al que se refiere, se produjo en un enfrentamiento con una pandilla violenta, del cual él formaba parte, que lanzaba botellas incendiarias y piedras contra la policía en un barrio habanero.

El desenlace, fatal y lamentable, porque nunca podremos aceptar la muerte violenta de nadie, se produjo en ese escenario y sí, fue un policía, un hombre frente a una circunstancia, donde pudo mediar el miedo, agitación, ansiedad. Pero nunca, de ningún mando militar cubano salió la orden de disparar a matar.

Esa es la orden que estoy seguro Yunior y muchos más anhelaban aquel 11 de julio, o este 15 de noviembre si su marcha se hubiera dado. Que lo primero que viniera a su mente en la respuesta fue la esperanza de un acto violento por parte del Estado, es una interesante proyección psicológica de por donde andan sus intenciones.

Quiere Yunior que el caso del joven ultimado por un policía, en defensa propia, sea un suceso relevante o simbólico a escala mundial. Difícilmente podría serlo en un mundo en el que los asesinatos a manos de policías resultan cotidianos.

Tampoco, en este caso cubano, hay impunidad. Ha trascendido y es pública la información, de que a pesar de las circunstancias que rodearon el hecho y mediar la legítima defensa, este agente de la autoridad resultó investigado y la última información es que sería llevado ante los tribunales.

Pero la manipulación del actor no queda aquí, y la indignación nos envuelve aún más cuando llega al tema de las vacunas. Lo dejo en sus palabras: “… un gobierno que utilizó los cinco candidatos vacunales como una especie de arma política, no como un gesto de verdad, interesado por la salud del pueblo…” Sí, no se asombren si han llegado en la lectura hasta aquí, con todas sus letras lo dijo y en Youtube está la grabación.

¿Cómo se puede no pensar o estar interesado en la salud del pueblo y desplegar todos los esfuerzos para obtener en menos de un año tres vacunas certificadas por nuestra entidad regulatoria?

¿Cómo puede no ser fruto de la preocupación por el pueblo haber vacunado hasta el día de hoy, con esquema completo, al 79.5% de la población y que antes de que acabe el año será mucho más del 95%?

¿Cómo puede no haber preocupación por el pueblo cuando aún sin acabar de inmunizar a toda la población, ya estamos comenzando una nueva campaña de refuerzo que se extenderá los próximos seis meses?

¿Cómo puede no haber preocupación por el pueblo cuando somos el primer país del mundo que ha logrado inmunizar a casi toda su población en edad pediátrica, mayor de 2 años?

¿Cómo puede no haber preocupación por el pueblo con los siete protocolos de actuación médica que se aplican en nuestros hospitales para atender la Covid, con fármacos avanzados, fruto de la biotecnología cubana?

¿Cómo puede no haber preocupación por el pueblo cuando Cuba ha tenido en estos dos años tasas de letalidad entre las más bajas del mundo, incluso en el peor momento de la enfermedad a mediados de este año?

Lo que Yunior dice no solo ataca al Estado cubano, ofende y desconoce en primer lugar a una legión de médicos y científicos que han renunciado a sus vidas personales este año pensando en el pueblo.

Yunior se da el lujo de criticar la gestión del Estado, pero, ¿dónde estaba él que no lo vimos entre el ejército de jóvenes, y no tan jóvenes, que marchó a las zonas rojas para servir en las más disímiles funciones dentro hospitales y centros de aislamiento?

Pero continúa diciendo: “volvieron a concentrar todas las fuerzas en esos cinco candidatos vacunales para levantar la bandera de que Cuba era una potencia médica, y en realidad no había una sola pastilla para calmar el dolor de cabeza de los hipertensos, no podían calmar la presión porque no había absolutamente ningún medicamento en Cuba. Incluso, nos quedamos sin oxígeno, o sea la gestión de la pandemia fue desastrosa”.

Sí Yunior, todo eso pasó, menos tu simplificación de la realidad con ese calificativo de “desastrosa”.

Pasamos por un momento muy duro, durante los meses de junio, julio y agosto, cuando se registró el pico pandémico con el incremento de casos confirmados. Cuba, como ningún país del mundo, y lo pongo en mayúscula con intención, estuvo preparada en infraestructura médica para un rebrote de esa magnitud.

No fue Cuba el único país en que los hospitales tuvieron una compleja situación con la disponibilidad de camas o donde escaseó el oxígeno. La crisis del oxígeno, Yunior, ha sido global, lo que en el caso de Cuba se debió a la rotura imprevista de su principal fábrica, y por cierto el Gobierno que “no se preocupa” por su pueblo erogó los poquísimos recursos financieros disponibles para importar la pieza necesaria y resolver la crisis en el menor tiempo posible.

Sí que nos faltó oxígeno, y también nos faltaron y faltan medicamentos. Pero no mencionas jamás el efecto del bloqueo norteamericano en este sensible sector. No dices una letra de cómo entorpece y obstaculiza convenios y acuerdos de Cuba para importar materias primas para su producción, o piezas para nuestra industria farmacéutica. No hay mención alguna al criminal intento de torpedear la compra de insumos necesarios para producir nuestras vacunas y que hubo que sortear obstáculos y gastar dineros que no tenemos, para poder conseguirlo.

Por cierto, durante la llamada crisis del oxígeno hubo empresas regionales, de países cercanos que hubieran abaratado costos y agilizado la entrega, que se negaron a vendernos oxígeno por miedo a las sanciones extraterritoriales del bloqueo, y dentro de Estados Unidos debíamos disponer de una licencia especial, que nunca tuvimos. El bloqueo ahoga, y en este caso no fue una metáfora.

Ese es el bloqueo, el que nos hace gustar hasta lo que no tenemos, e impide desarrollarnos más.

Debería escuchar Yunior a los padres que han visto morir a sus hijos o de las decenas de personas que ven sufrir a un ser querido, porque no les han llegado medicamentos o aditamentos de salud que solo se consiguen o producen en Estados Unidos.

El bloqueo no existe en el discurso teatral de Yunior, que solo pone el énfasis en que “el embargo es una excusa del gobierno cubano”. Embargo, porque él no le dice bloqueo como los cubanos, le dice embargo como le gusta a los yanquis.

Ni siquiera en este tema ha demostrado que puede ser auténtico.

Sus diatribas sobre los cursos de preparación a los que asistió en el exterior, con vistas a convertirlo en lo que es hoy, lo muestran cada vez menos creíble. Solo le ha quedado como defensa, el intento vano por legitimar la figura del expresidente del gobierno español, Felipe González, con quien su grupo tuvo un encuentro a puertas cerradas en Madrid. El mismo Felipe que entre finales de la década del 80 e inicios del 90, intentó persuadir a Fidel en más de una ocasión para que diera un golpe de timón a la Revolución cubana, y la errumbara hacia un modelo neoliberal.

Fue esa la razón de principio por la que Fidel rompió con Felipe González y Yunior jamás lo ha mencionado. Entiendo que le resulte difícil hacerlo. ¿Alguien duda de que el Felipe González que tuvo la osadía de insistirle a Fidel para que acabara con su propia Revolución, no haría lo mismo o daría recetas peores a Yunior y el grupo que le acompañó a un curso en España?

Estamos hablando del mismo Felipe González que era jefe de gobierno, a mediados de la década del ochenta, cuando se crearon en España los Grupos Antiterroristas de Liberación (GAL), unidades paramilitares que asesinaron, desaparecieron o torturaron a centenares de independentistas vascos. Aunque los tribunales ibéricos lo absolvieron, documentos de la CIA desclasificados varios años después y que son públicos y generaron un vendaval en España, confirmaron su vinculación a los GAL.

Con tal maestro en su curso, no sorprende que después viéramos a Yunior defender con vehemencia a las personas que guardan prisión porque el 11 de julio cometieron actos violentos y vandálicos en Cuba, o recibir sin tomar distancia, llamadas de un terrorista, connotado y hasta reconocido por la prensa norteamericana como tal: Ramón Saúl Sánchez.

Y aquí quiero detenerme por un gazapo evidente en las declaraciones del dramaturgo. Aseguró que todos sus teléfonos en Cuba, el celular, el de la casa, los de su esposa, suegra, cuñado, etcétera, estuvieron durante estas semanas, desde que lanzó su convocatoria, cortados por las autoridades cubanas. No podía hacer uso de ellos. Tenía una línea de emergencia, dijo, que nadie conocía y utilizaba para casos específicos.

Me surgen entonces nuevas preguntas: ¿Cómo pudo, bajo ese asedio, tener la conversación ya conocida con Ramón Saúl y hacerla pasar como una más, al decir que él recibía cientos de llamadas diarias? ¿Acaso tenía el terrorista su línea más privada?

Pero más interesante aún, si no podía utilizar sus celulares, ¿cómo es posible entonces que esos mismos números que él dice estaban bloqueados siguieran recibiendo fastuosas recargas desde Estados Unidos, que se evaporaban al instante, y parecían más una pasarela de pago, que el consumo normal en comunicaciones?

Son muchas sus incongruencias y es grande su drama teatral. Busca justificar su derrota, que es la de no haber logrado movilizar al pueblo. Se quedó solo. Es posible que se pueda contener a cientos de personas para que no salgan de su casa, pero miles, decenas de miles, cientos de miles, millones, no hay forma humana ni represiva posible de impedirles que salgan si quisieran.

Dice que el gobierno ya está acabado y que perdió la mayoría. Pero al mismo tiempo dice que quedarse en Cuba era morir en vida. Contradicción. ¿No es que ya queda poco? ¿Por qué se fue? ¿Y los que dejó atrás, esos no están muertos en vida?

Se le caen una a una todas sus máscaras.

Yunior intenta tapar la traición a sus compañeros, incluso sus seguidores en redes. Los engañó de la manera más trapera posible. Mientras el día 12 de noviembre los arengaba a marchar, cada uno a su manera el día 15, ya él estaba haciendo las maletas y gestionando su vía de escape a España.

Al dramaturgo le faltó valor y carácter para enfrentar el desprecio, pero sobre todo las consecuencias legales de su actuar. Sí, porque, aunque no marchó él delinquió desde el minuto en que desoyó o desacató la resolución municipal que prohibía la marcha y la siguió alentando hasta el final.

¿Cómo pudo salir para viajar, quien no podía salir a marchar? Lo de Yunior es puro teatro.

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