Attori e scene nel pieno dell’offensiva imperiale: Bolivia e Cuba

Mision Verdad, 17 novembre 2021

L’assalto del Nord del mondo, guidato dagli USA e loro batteria di metodi di guerra non convenzionali, continua a incidere sulla stabilità dei paesi che non si allineano agli interessi delle élite interne e transnazionali. Ci sono varie scuse e congiunture che servono agli attori interni, sponsorizzati da agenzie e ONG che esercitano il soft power, per imporre scene in cui prevalgono caos e disobbedienza.

Questo coll’obiettivo che le organizzazioni internazionali attuino “sanzioni” che possano provocare un intervento militare e cercare l’istituzione di un governo alternativo. È un copione trito e ritrito in cui i cartelli dei media, e ora anche Big Tech, sono pezzi chiave in un quadro che alimenta malcontento e sfiducia nei governi e loro politiche, oltre a rafforzare il morale degli insorti. I casi della Bolivia e di Cuba, con governi costituiti e che rispettano gli obblighi costituzionali, meritano una revisione e un’analisi.

Camacho, perno dell’ingerenza e golpismo in Bolivia

Una legge anticorruzione fu la scusa per destabilizzare la vita della popolazione boliviana quando l’opposizione indisse scioperi e proteste. È la già abrogata Legge della Strategia nazionale per combattere la legittimazione dei profitti illeciti e il finanziamento del terrorismo (LGI/FT o 1386) proposta dal governo di Luis Arce Catacora, presidente dello Stato Plurinazionale della Bolivia, che ha respinto tali mobilitazioni costituendo, a suo avviso, “pretesti, bugie e inganni” stimolati dall’ambiente dell’ex-presidente di fatto Jeanine Áñez e dei suoi ex-ministri. Si riferiva al ministro dell’Interno Arturo Murillo; quello della presidenza Yerko Núñez; e Difesa,Luis Fernando López, legato ai crimini nel quadro del colpo di Stato del 2019 contro il governo dell’allora Presidente Evo Morales. In un incontro coi contadini a La Paz, Arce ricordava che, a fine novembre 2020, l’ex-deputata del Movimento al Socialismo (MAS), Lidia Patty, denunciò il leader del gruppo politico Creemos, Luis Fernando Camacho, e suo padre José Luis, per presunti reati di cospirazione, destabilizzazione, terrorismo e sedizione nell’ambito del colpo di Stato, sebbene tali casi non siano avanzati. La presenza di Camacho nella strategia golpista è costante, come è noto era a capo delle mobilitazioni che rovesciarono Morales insieme alle élite militari e della polizia. Un mese dopo il colpo di Stato, fu rivelato un video in cui lo stesso Camacho riconosceva che suo padre aveva concordato coi capi delle forze armate e della polizia quell’operazione. L’attuale governatore del dipartimento di Santa Cruz, roccaforte dell’opposizione, confessò che il patto includeva un capo minatore, che gli offrì 6000 minatori con la dinamite per rovesciare Morales dopo la sua rielezione.

“Quando chiudiamo con tutto e sabato, prima che Evo Morales si dimetta, il tizio dice ‘raduna tutta la gente, tutti i civici alla porta dell’albergo, vado a mostrare la mia faccia’. Fino a quel momento aveva solo parlato di aver già 6000 minatori con dinamite per entrare e togliere Evo Morales”, disse. Secondo lui, quel minatore era un doppiogiochista. La mattina di quel giorno, Morales lo chiamò per chiedergli di proteggere Plaza Murillo perché i militari gli avevano voltato le spalle, così come la polizia, e non permise al minatore di sostenere l’ex-presidente. Anche notò che suo padre gli disse che pensava di rovesciarlo e promise che sarebbe diventato presidente dopo Morales.

Alla missione di Camacho si unì il suo successore alla presidenza del Comitato Civico Pro Santa Cruz, Rómulo Calvo, che chiese a Forze Armate e Polizia boliviana di unirsi al “popolo”, come fece il suo predecessore. Sulla base di false informazioni, indirizzarono la loro “lotta” (disse più volte che questo è il suo terzo round o ultima possibilità di cercare “libertà e democrazia”). Spacciarono dubbi sulle norme fondamentali per la stabilità istituzionale persa durante il governo de facto di Ánhez e si giustificano nelle indiscrezioni sui social, come quella di una presunta mobilitazione di truppe, nonostante il chiarimento dell’Esercito Nazionale: le Forze le forze armate erano “presidiate” a reprimere lo sciopero dei sindacalisti, motivo per cui nei giorni scorsi mobilitarono truppe e armi negli ultimi giorni. Va ricordato chele stesse voci erano realtà del governo di fatto, sostenuto da Camacho e Calvo, che compì massacri il 15 novembre 2019 a Sacaba, Cochabamba, e il 19 novembre a Senkata, El Alto. Così come restano chiaramente intatte le linee di finanziamento per tale settore legato a golpe e terrore proveniente da Stati Uniti e altri ambiti del Nord globale; e il governatore mostra gravi limiti nell’applicare i vaccini anticovid alla popolazione che l’aveva eletto prefetto.

Legge anticorruzione, proteste e dialogo

Durante il primo anno di governo Arce, conclusosi l’8 novembre, seppe assolvere l’impegno al raggiungimento della stabilità politica e sociale della popolazione con crescita economica, industrializzazione con sostituzione delle importazioni e lotta strutturale alla pandemia di covid-19. L’affermava il presidente presentando il primo rapporto di governo all’Assemblea Legislativa Plurinazionale, l’organo legislativo del Paese. evidenziò che, tra novembre 2020 e settembre 2021, la Bolivia raggiunse un “avanzo commerciale” di 1576 milioni di dollari, una cifra senza precedenti dal 2014. Affermò che fu raggiunto grazie al “maggiore dinamismo delle esportazioni”, che contribuì nel Paese con un reddito medio mensile di 866 milioni di dollari. Spiegò che l’inversione del calo del prodotto interno lordo (PIL) di -12,9% e -12,6% nel secondo e terzo trimestre del 2020, lasciati dall’ex-presidentessa di fatto Jeanine Áñez, si ebbe dopo l’attuazione di diverse misure per “ricostruire l’economia” e trovare la “corretta gestione” della pandemia di covid-19. La LGI/FT, approvata ad agosto, rispose al compimento di un impegno dello Stato boliviano in ambito internazionale con ONU, International Financial Action Group (FATF) tra gli altri, in materia di prevenzione e lotta alla legittimazione dei profitti illeciti e finanziamento del terrorismo.

Fu proposto come sforzo da organi ed enti statali con approccio multidimensionale che significa affrontare yale problema da tre fronti: 1) prevenzione; 2) rilevamento e intelligenza; e 3) repressione e giustizia penale, compresa la considerazione di questioni trasversali che riguardano strategicamente tutte le aree di azione.

I media contrari incubarono la matrice del “pacchetto normativo” che avrebbe interessato trasportatori, commercianti, lavoratori autonomi o altri. I più moderati affermarono che la norma concederebbe potere illimitato alla cosiddetta Unità Investigativa Finanziaria (UIF) per indagare a discrezione su tutti i boliviani. Come è consuetudine della destra, incoraggiò settori salariati ed informali a difendere i privilegi delle élite finanziarie e dei latifondisti nel puro maccartismo che persegue da almeno 70 anni. Una delle critiche fu fatta all’allegato, sezione sugli aspetti essenziali della lotta contro LGI/FT. Lì, la prevalenza delle condizioni informali nell’economia è citata come vulnerabilità, consentendo alle organizzazioni criminali la possibilità di aprire attività commerciali e utilizzarle per immettere nell’economia i proventi delle attività criminali. A tal fine, la UIF, come altri enti statali, doveva “formare una commissione per sviluppare una diagnosi del settore informale che consenta di identificare l’entità delle attività informali e la loro incidenza sui rischi di LGI/FT nel settore”. I senatori dell’opposizione indicarono che, poiché l’economia della Bolivia è informale per l’80%, ciò genererà un regime repressivo, poiché tutte le persone che svolgono operazioni al di fuori del sistema finanziario sarebbero sospette. Con questo e altri argomenti simili, i comitati civici, gruppi di estrema destra, mobilitarono i datori di lavoro dei trasporti, commercio e sanità, che chiesero la paralisi delle attività nel Paese e il “rovesciamento del governo” con un’escalation di violenze dall’8 novembre fino all’abrogazione della cosiddetta “legge materna”. Secondo il segretario esecutivo della Confederazione nazionale dei lavoratori sindacali della Bolivia, Francisco Figueroa, se l’Esecutivo non abrogava la norma, ci sarebbe stato uno sciopero a tempo indeterminato.

Inoltre, la Federazione dei Professionisti di Santa Cruz respinse l’elaborazione della Legge 342 e del Piano di sviluppo economico e sociale (PDES) 2021-2025, perché presumibilmente toglierebbe facoltà di pianificazione e finanziamento a governi e università dipartimentali e municipali, e l’esecuzione dei loro piani negata dal governo attraverso il Ministro dei Lavori pubblici Edgar Montaño. Il funzionario ricordò che la Costituzione boliviana stabilisce che lo Stato definisce la politica economica e la pianificazione nazionale, quindi “non viene violato assolutamente nulla”. A Potosí, il 9, il 22enne Basilio Titi Tipolo fu assassinato negli scontri con membri del Comitato Civico Potosinista (CONCIPO). Presero in ostaggio due indigeni, li picchiarono costringendoli a camminare assieme insultandoli. Ci furono 63 feriti, uno gravemente. Questo radicalizzò lo sciopero, mettendo in chiaro che la polizia non adempieva alla funzione di impedire scontri e inscenare gli elementi da rivoluzione colorata.

Il 12 novembre il Presidente Arce convocò una riunione tutti i sindacati del Paese, senza alcuna restrizione, per discutere e analizzare alcuni aspetti della LGI/FT, a cui la Confederazione Nazionale dei Sindacati della Bolivia pose come condizione l’abrogazione della norma per partecipare a qualsiasi incontro col governo. Il 13, dopo aver incontrato i sindacati, decise di abrogare la suddetta legge affermando: “Abbiamo deciso di abrogare la legge 1386, al fine di aprire la strada affinché non vi sia più pretesto per continuare a maltrattare, danneggiare e paralizzare la nostra economia”. Aggiunse che, nonostante i movimenti sociali chiedessero un dibattito sulla legge, i settori estremisti se ne sono serviti per destabilizzare: “C’è un’agenda politica in questa messa in discussione della legge, abbiamo ascoltato gli accordi firmati tra i ministri recatisi in nove dipartimenti con le organizzazioni sociali dove ci furono proposte di modifica degli articoli della legge”, aggiunse. In quella riunione, diverse rappresentanze sindacali (contadini, trasportatori e lavoratori) si espressero in difesa delle democrazia e costituzione del Paese andino. Allo stesso tempo, avvertirono che i cosiddetti comitati civici intendono compiere un altro colpo di Stato.

Cuba: la marcia (o messa in scena) che non c’è stata

L’assedio di Cuba, che dura da più di mezzo secolo, ha sbloccato un nuovo livello di attacchi che la Casa Bianca fa pochi sforzi per mascherarne suoi direzione e finanziamento. Forse la novità è il crescente risalto delle cosiddette Big Tech come twitter e facebook, che operavano direttamente nell’ultima ondata cospiratoria che ebbe come culmine la marcia fallita del 15 novembre. Il 12 ottobre, il drammaturgo Yunior García Aguilera, a capo della piattaforma Arcipelago, chiese il permesso alle autorità dell’Avana Vecchia du svolgere una marcia per “scopi pacifici”. Tale richiesta si basava sull’articolo 56 della Costituzione della Repubblica di Cuba, nonché su altre pretese a un’iniziativa civica e simultanea da attuare nel Paese. Fu la “Marcia per il cambiamento” descritta dai media cubani come un tentativo di generare un clima di insicurezza, destabilizzazione e ingovernabilità, proprio il giorno in cui il Paese avrebbe aperto i confini e più di 1600000 studenti tornavano a scuola. Sebbene il citato articolo 56 stabilisca che “i diritti di riunione, manifestazione e associazione per scopi leciti e pacifici, sono riconosciuti dallo Stato purché esercitati nel rispetto dell’ordine pubblico e delle prescrizioni stabilite dalla legge”, l’art. 45 stabilisce inoltre che “l’esercizio dei diritti è limitato solo dai diritti degli altri, sicurezza collettiva, benessere generale, rispetto di ordine pubblico, Costituzione e leggi”, pertanto la richiesta fu respinta.

Fu con la testimonianza di un agente della Sicurezza di Stato cubana, Carlos Leonardo Vázquez , che l’intenzione dei promotori della marcia fu resa pubblica. L’agente, che fu “Fernando” per 25 anni, rivelò i legami tra le organizzazioni terroristiche e i loro rappresentanti negli Stati Uniti cogli organizzatori. Insieme a García Aguilera, Vázquez partecipò a un seminario di formazione che la Saint Louis University (USA) programmò nel 2019 sul “ruolo delle forze armate in un processo di transizione”. C’era Richard Youngs, esperto del Carnegie Fund for International Peace di Washington su proteste pubbliche come metodo di cambiamento, politico e sociale, che presentò le “nuove forme di attivismo civico alla ricerca dell’instaurazione di un capitalismo fondamentalista e privatizzatore”, come pubblicato da Cubadebate.

Sulla mancata mobilitazione (o messa in scena), che mantenne la convocazione nonostante non avesse l’approvazione delle autorità dell’isola, Vázquez disse il 1 novembre che “chiedeva la marcia che diceva pacifica, ma sapeva che non lo era. Perché nel laboratorio paramilitare a cui abbiamo partecipato c’erano due generali. Yunior García Aguilera cerca lo scontro delle forze armate col popolo e non lo permetteremo”. Il 10, il Ministero degli Esteri cubano affermò che l’amministrazione Biden era direttamente coinvolta nella promozione di future mobilitazioni, nonostante la sua ambasciata nell’isola “da anni non svolga alcun ufficio diplomatico” e i suoi funzionari agiscano “come baby sitter di esponenti controrivoluzionari e provocatori”. García Aguilera formò un gruppo su Facebook che conta più di 33000 follower, compresi chi denunciava molestie per il loro attivismo, lamentandosi di essere seguiti da agenti della sicurezza statale in borghese e di ricevere minacce da funzionari governativi. Mentre altri lanciavano messaggi minacciosi e violenti che non vengono censurati dai social network.

Negli eventi dell’11 luglio, García Aguilera si recò all’Istituto Cubano di Radio e Televisione per un intervento di 15 minuti, rispettando i manuali di guerra non convenzionale usati in Venezuela, Nicaragua e Jugoslavia. In quell’occasione, gruppi anti-castristi, incoraggiati dai social network di Miami, scesero in piazza per protestare “per la mancanza di cibo e medicine”, mentre il Paese attraversa una grave crisi economica a causa dell’intensificarsi delle “sanzioni” degli Stati Uniti, inasprite dall’amministrazione Trump (supportata da Biden) e aggravate dalla pandemia di covid-19. Il gruppo Cubalex, di Miami, denunciò 1175 cubani arrestati dopo le proteste che chiedevano al governo di abbandonare il potere e minacciavano di creare violenze fin quando ciò non fosse avvenuto. Il governo dichiarò di aver detenuto i manifestanti che attaccarono la polizia e saccheggiarono negozi, mentre molti agenti dei media si lamentavano di essere stati arrestati per aver marciato pacificamente o semplicemente aver filmato le proteste. I sostenitori del gruppo virtuale accusavano anche la compagnia statale di telecomunicazioni cubana di impedirgli di inviare messaggi con la parola arcipelago o la data della loro protesta.

Ad ottobre, il governo USA respinse la decisione del governo cubano di negare il permesso alla “protesta pacifica” sulla base del fatto che “rifiutando di consentire tali manifestazioni, il regime cubano dimostra chiaramente di non essere disposto a onorare o difendere i diritti. diritti e le libertà fondamentali dei cubani”. In un altro discorso, il portavoce del dipartimento di Stato Ned Price disse, a rischio di sembrare sarcastico, che “il regime cubano non soddisfa i bisogni più elementari della gente. Ciò include il cibo e le medicine. Ora è un’opportunità ascoltare il popolo cubano e apportare un cambiamento positivo, “avvertendo il governo cubano che se impedisce lo svolgimento della marcia, l’isola potrà affrontare nuove sanzioni economiche”. Alla fine di lunedì 15, i media indicarono il fallimento della mobilitazione sostenuta da noti personaggi di estrema destra come Marco Rubio, María Elvira Salazar e Orlando Gutiérrez Boronat, sempre coll’epopea vittimistica che li accompagna quando falliscono, ma che si ringalluzziscono quando la Casa Bianca attua un’altra misura genocida.

Operatori di colpi morbidi

García Aguilera si recò in Argentina all’inizio del 2018 per partecipare a un evento coordinato dal progetto “Tempo di cambiamenti e nuovo ruolo delle forze armate a Cuba” i cui obiettivi, secondo il sito dell’Universidad Torcuato Di Tella, erano: “Dare continuità allo studio delle FAR, sia attraverso interviste, analisi delle informazioni circolanti, sia contatti via mail per poter trasmettere adeguatamente agli attivisti possibili scenari e presunti futuri alleati. Collaborare cogli attori cubani affinché possano generare attività che permettano di collegarsi con membri delle FAR aperti a processi di cambiamento. Incoraggiare gli attori della società civile a diffondere conoscenza e attività sulle FAR”. Il sito Razones de Cuba rivelò che in tale incontro il capo di Arcipelago ebbe uno scambio coi capi del piano “Dialogo su Cuba”, le accademiche Ruth Diamint e Laura Tedesco. Vázquez anche riferì: “Nel settembre 2019 partecipammo a un evento sul ruolo delle forze armate nel processo di transizione”, aggiungendo che “i partecipanti erano tutti cubani di diversi settori, medici, giornalisti, storici”. “Yunior García Aguilera era presente in quel seminario (…) a cui ho partecipato, era un piano attuato da esperti di diverse parti del mondo. Ci sono molte organizzazioni finanziate dagli Stati Uniti Stati come NED, Institute for Freedom (IPL), People In Need, CADAL, il cui obiettivo è rovesciare la rivoluzione cubana”.

Allo stesso seminario, patrocinato dall’Università di Saint Louis di Madrid, partecipavano il mentore dei movimenti golpisti nel continente ed ex-presidente spagnolo Felipe González, lo stesso che nel 1983 creò i Gruppi di Liberazione Antiterrorismo (GAL), responsabile di rapimenti, torture e omicidi. Anche Manuel Cuesta Morúa, che lavora per la NED dal 2014 e orchestrò le provocazioni contro i vertici della Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi a L’Avana, e il Vertice delle Americhe a Panama, nel 2015, a García Aguilera confessò che “ammirava la sua figura di dissidente politico e che potrebbero essere contattato a un certo punto per affrontare alcune questioni”. Nel novembre 2020, il capo di Arcipelago si è presentò al Ministero della Cultura, nell’ambito della mobilitazione promossa dal Movimento San Isidro, per “convocare creatori e intellettuali insoddisfatti della gestione delle istituzioni del settore non rispettando la legge”, schermatosi dietro una presunta posizione artistica. Inoltre, la sua ansia di negare legami con organizzazioni o agenzie sovversive finanziate dal governo degli Stati Uniti è evidente quanto la sua identificazione, dal 2017, col Carnegie Fund for International Peace, guidato fino allo scorso marzo da William Joseph Burns, l’attuale capo della CIA. García Aguilera riconobbe la sua relazione coll’incaricato d’affari dell’ambasciata di Washington all’Avana, Timothy Zúñiga Brown, ma non i suoi legami con un visitatore abituale a Cuba: Alexander Augustine Marceil. Si tratta di un funzionario degli affari cubani del dipartimento di Stato che visitò l’isola tre volte dal 2019 al 2021 per incontrare schegge dell’opposizione anti-castrista.

Ci sono altri agenti:

– Ramón Saúl Sánchez Rizo, presidente del Movimento Democrazia legato ad organizzazioni terroristiche come Alpha 66, Omega 7 (considerato dall’FBI “l’organizzazione terroristica più pericolosa degli Stati Uniti”), Coordinamento delle Organizzazioni Rivoluzionarie Unite (CORU) e Fronte Nazionale di Liberazione di Cuba, accusato nel 1982 di aver partecipato all’attentato contro Raúl Roa Kourí, ambasciatore di Cuba presso le Nazioni Unite.

– Saily González Velázquez, portavoce della piattaforma Archipiélago di Villa Clara, che in un’intervista ad ADN Cuba disse che “quello che faccio è informarmi con persone come Omar López, altre persone che ci consigliano sul tema della resistenza pacifica e lotta non-violenta”.

– Omar López Montenegro è il direttore dei diritti umani della Fondazione nazionale cubano-americana, protettore dei terroristi Luis Posada Carriles e Orlando Bosh Ávila, autori dell’attentato all’aereo Cubana de Aviación in cui persero la vita 73 passeggeri, compresa una squadra giovani schermitori.

Sintesi dell’offensiva imperiale

Il flusso di fondi, le agende golpiste, gli agenti interventisti e le pressioni moleplici sono il metabolismo della guerra ibrida che sembra richiedere tempo e non si ferma davanti elezioni o leggi, per quanto genuine e legittime possano essere. Nel caso della Bolivia, la “Legge Madre” ha costituito una minaccia a tale danza di denaro che interferisce, aspetto curioso che ritarda la lotta alla corruzione mentre gli Stati Uniti “sanzionano” i Paesi per presunta corruzione nei loro governi. Da parte sua, a Cuba la sfilata di agenti e operatori che si aggiunge ad agende sovversive costate migliaia di dollari e che rinnovavano aggiungendo movimenti culturali in ruoli organizzativi e di leadership non sembra finire. L’abbandono dell’esercizio della politica nel territorio per rifugiarsi nel caos e violenza è forse il dato più critico di tale nuova dottrina golpista a cui sono sottoposti gli Stati visti come sovrani integrali.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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