L’imperdonabile solitudine di Julian Assange

Atilio A. Borón – Pagina 12

Julian Assange è sepolto dalla “Giustizia” inglese in un carcere di massima sicurezza. Quello di sepolto non è un ingannevole appello ad una parola che ci scuote, bensì una sobria descrizione della cella in cui -a poco a poco, ora dopo ora- il fondatore di WikiLeaks sta scontando la condanna a morte che gli hanno riservato.

La ragione? Aver fatto trapelare alla stampa centinaia di migliaia di documenti che provano gli innumerevoli assassinii, torture, bombardamenti e atrocità che Washington ha perpetrato in Iraq, Afghanistan e altri paesi, qualcosa che occultava con somma cura. Questo è stato il crimine di Assange: informare, dire la verità. E una tal cosa costituisce un imperdonabile affronto per l’impero che, da anni, persegue il giornalista.

Il coraggio del presidente Rafael Correa (già manifestato quando ha espulso le truppe USA dalla base di Manta) lo ha salvato da questa minaccia, concedendogli non solo asilo nell’ambasciata ecuadoriana a Londra bensì la cittadinanza ecuadoriana. La nauseante disabilità morale del suo corrotto successore, Lenin Moreno, ha privato Assange di entrambe le cose e lo ha consegnato, inerme, alle autorità britanniche; cioè nelle mani di uno dei più spregevoli luogotenenti della Casa Bianca. E lì continua, in attesa di quella che sembra una fine inevitabile: la sua estradizione negli USA. Lì il giornalista sarà esibito come un trofeo, torturato psicologicamente e fisicamente sino all’indicibile e poi, con maledetta astuzia, condannato a una dura pena, benché inferiore ai 175 anni richiesti dal pubblico ministero e condotto in un carcere dove, poco dopo, morirà pugnalato a morte in una ben orchestrata “rissa tra detenuti”. In un’infinita dimostrazione di ipocrisia, Washington si affretterà a dichiarare il suo rammarico per un esito così deplorevole e il presidente invierà le condoglianze ai suoi parenti. Morale che l’impero vuole registrare col fuoco su una pietra: “chiunque riveli i nostri segreti, pagherà con la vita”.

Parlavamo della solitudine di Assange in questi ultimi giorni del funesto 2021 e l’abbiamo qualificato come imperdonabile. Perché? Perché il calvario che ha martirizzato l’australiano non ha provocato, se non a Londra, massicce manifestazioni di solidarietà e sostegno alla sua causa. Sorprende e preoccupa che questa non sia stata assunta come propria dalla sinistra e dai movimenti popolari che sì hanno condotto grandi battaglie, alla fine del secolo scorso e all’inizio di questo, contro l’Accordo Multilaterale di Investimento -abortito, non appena le sue leonine clausole segrete sono state rivelate dagli hacker canadesi- o contro il neoliberalismo, l’ALCA, e gli accordi di libero scambio oggi non si mobilitano per esigere l’immediato rilascio di Assange. Credo che questa spiacevole situazione sia dovuta a diversi fattori:

primo, l’indebolimento e/o la disorganizzazione delle forze sociali che hanno combattuto quelle grandi battaglie, a seguito del permanente attacco sofferto per mano dei governi neoliberali;

in secondo luogo, per la suicida esclusività che le questioni economiche hanno nella costruzione dell’agenda dei movimenti di protesta, poiché queste non possono essere l’unica questione che convochi la sua militanza. La lotta anticapitalista e antimperialista ha diverse facce e la battaglia per l’informazione e la pubblicità degli atti del governo è una di queste. E in essa Assange è il nostro eroe, che resiste in solitudine.

A ciò va aggiunto un terzo fattore: il nefasto ruolo della “stampa libera”, cioè l’antidemocratica concentrazione dei poteri mediatici che non si sono mai assunti, non diciamo la difesa di un vero giornalista come Assange, ma anzi si sono adoperati nell’occultare l’informazione sul caso. La “canaglia mediatica”, che nulla ha a che fare con il nobile mestiere del giornalismo, si è allineata volontariamente per occultare i crimini denunciati da Assange e giustificare il suo incarceramento. In altre parole, si è fatto complice dei suoi carnefici.

Speriamo che la sinistra ed i movimenti popolari reagiscano per tempo e abbandonino la loro apatia su questo tema. Si può ancora fare molto per salvare la vita di Assange: da un tweet mondiale a sostegno della sua causa alla promozione di una massiccia ciber-militanza nelle reti sociali e nell’organizzare massicce manifestazioni di piazza nelle principali città del mondo reclamando la sua libertà e facendo pressioni sui governi affinché si solidarizzino con il giornalista imbavagliato… Siamo ancora in tempo. Le grandi organizzazioni popolari non possono e non devono essere complici del suo martirio. Non lascino la mano di Assange, non lo lascino solo!


La imperdonable soledad de Julian Assange

Atilio A. Borón – Página 12

Julian Assange está enterrado por la “Justicia” inglesa en una cárcel de máxima seguridad. Lo de enterrado no es una tramposa apelación a una palabra que nos estremece sino un sobria descripción de la celda en la cual -de a poco, hora tras hora- el fundador de WikiLeaks va cumpliendo la sentencia de muerte que la tienen reservada.

¿La razón? Haber filtrado a la prensa cientos de miles de documentos probatorios de la infinidad de asesinatos, torturas, bombardeos y atrocidades que Washington perpetró en Irak, Afganistán y en otros países, cosa que ocultaba con sumo cuidado. Ese fue el crimen de Assange: informar, decir la verdad. Y tal cosa constituye una afrenta imperdonable para el imperio que persiguió al periodista por años.

La valentía del presidente Rafael Correa (ya manifestada cuando expulsó a las tropas de Estados Unidos de la base de Manta) lo puso a salvo de esa amenaza concediéndole no sólo asilo en la embajada del Ecuador en Londres sino la ciudadanía ecuatoriana. La nauseabunda discapacidad moral de su corrupto sucesor, Lenín Moreno, privó a Assange de ambas cosas y lo entregó inerme a las autoridades británicas; es decir, a manos de uno de los más despreciables lugartenientes de la Casa Blanca. Y ahí sigue, esperando lo que parece un final ineludible: su extradición a Estados Unidos. Allí el periodista será exhibido como un trofeo, torturado psicológica y físicamente hasta lo indecible y luego, con maldita astucia, condenado a una dura sentencia, aunque menor a los 175 años pedidos por el fiscal y enviado a una cárcel, en donde poco después morirá descosido a puñaladas en una bien orquestada “riña de reclusos.” En un infinito alarde de hipocresía Washington se apresurará a declarar su pesar por tan lamentable desenlace y el presidente enviará condolencias a sus deudos. Moraleja que el imperio desea grabar a fuego sobre una piedra: ”quien revele nuestros secretos lo pagará con su vida.”

Hablábamos de la soledad de Assange en estos días finales del aciago 2021 y la calificábamos de imperdonable. ¿Por qué? Porque el calvario que ha martirizado al australiano no ha provocado, salvo en Londres, masivas manifestaciones de solidaridad y apoyo a su causa. Sorprende y preocupa que ésta no haya sido asumida como propia por la izquierda y los movimientos populares que sí libraron grandes batallas a finales del siglo pasado y comienzos de éste en contra del Acuerdo Multilateral de Inversiones –abortado, ni bien sus leoninas cláusulas secretas fueron reveladas por hackers canadienses- o contra el neoliberalismo, el ALCA, y los tratados de libre comercio hoy no se movilizan para exigir la inmediata liberación de Assange. Creo que esta desgraciada situación obedece a varios factores: primero, el debilitamiento y/o desorganización de las fuerzas sociales que libraron aquellas grandes batallas, producto del permanente ataque sufrido a manos de los gobiernos neoliberales; segundo, por la suicida exclusividad que en la construcción de la agenda de los movimientos contestatarios tienen los temas económicos, siendo que éstos no pueden ser el único asunto que convoque a su militancia. La lucha anticapitalista y antiimperialista tiene varias facetas, y la batalla por la información y la publicidad de los actos del gobierno es una de ellas. Y en ella Assange es nuestro héroe, que resiste en soledad. A lo anterior hay que agregar un tercer factor: el nefasto papel de la “prensa libre”, es decir, la antidemocrática concentración de poderes mediáticos que jamás asumió no digamos la defensa de un periodista de verdad como Assange sino que se esmeró en ocultar la información sobre el caso. La “canalla mediática”, que nada tiene que ver con el noble oficio del periodismo, se alineó voluntariamente para ocultar los crímenes denunciados por Assange y justificar su encarcelamiento. Es decir, se hizo cómplice de sus verdugos.

Ojalá que la izquierda y los movimientos populares reaccionen a tiempo y abandonen su abulia en este tema. Mucho puede aún hacerse para salvar la vida de Assange: desde un tuitazo mundial apoyando su causa hasta fomentar una masiva cibermilitancia en las redes sociales y organizar multitudinarias manifestaciones callejeras en las principales ciudades del mundo reclamando su libertad y presionando a los gobiernos para que se solidaricen con el periodista amordazado.. Todavía se está a tiempo. Las grandes organizaciones populares no pueden ni deben ser cómplices de su martirio. ¡No le suelten la mano a Assange, no lo dejen solo!

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