Come ha vinto la sinistra del Cile?

Francisco Dominguez, Orinoco Tribune 23 dicembre 2021

La vittoria di Gabriel Boric in Cile è la rivendicazione del movimento di massa sceso in piazza nel 2019 e indica un Paese pronto a seppellire per sempre l’eredità di Pinochet. Poche settimane fa, quando il candidato neofascista José Antonio Kast stava vincendo al primo turno delle elezioni presidenziali del Paese, la ribellione del Cile del 2019, volta a seppellire il neoliberismo, sembrava essere alla fine. Ma fu rinvigorita dalla vittoria schiacciante del candidato Apruebo Dignidad (“I Vote For Dignity”) Gabriel Boric Font, che otteneva il 56 percento dei voti al secondo turno, quasi cinque milioni di voti e la più grande maggioranza nella storia del Paese.

A 35 anni, Gabriel è il presidente più giovane di sempre. Quel risultato sarebbe stato maggiore se non fosse stato per la politica della ministra dei trasporti Gloria Hutt Hesse, che deliberatamente evitò servizi di trasporto pubblico, soprattutto autobus nei quartieri poveri, nella speranza di costringere gli elettori a rinunciare e tornare a casa. Il giorno delle elezioni, ci furono notizie costanti nei media mainstream con persone nel Paese, in particolare a Santiago, che si lamentavano di dover aspettare due o anche tre ore gli autobus per i seggi elettorali. C’erano quindi timori giustificati che le elezioni sarebbero state truccate, ma la determinazione dei poveri elettori era tale che la mossa fallì.

La campagna di Kast, con la complicità di destra e media mainstream, fu una delle più sporche nella storia del Paese, ricordando la “propaganda terroristica” finanziata e guidata dagli Stati Uniti contro il candidato socialista Salvador Allende nel 1958, 1964, e 1970. Attraverso allusioni e social media, il campo di Kast vomitò una grossolana propaganda anticomunista, accusò Boric di aiutare il terrorismo e suggerì che avrebbe installato un regime totalitario in Cile. La campagna cercò d’instillare la paura nella piccola borghesia prevedendo ripetutamente che tossicodipendenza, criminalità e narcotraffico avrebbero perso il controllo se Boric fosse diventato presidente, e persino insinuando che lo stesso Boric si drogasse. I media assalirono Boric con domande insidiose su Venezuela, Nicaragua e Cuba, a cui non diede le risposte più impressionanti. Ma la massa della popolazione ce l’ha fatta, sicura che il voto fosse l’unico modo per impedire al pinochetismo di impossessarsi della presidenza. Ne avevano abbastanza del presidente Piñera. Sapevano anche che, date le circostanze, il modo migliore per garantirsi gli obiettivi della ribellione sociale dell’ottobre 2019 era sconfiggere Kast e il suo puro pinochetismo.

Mentre la campagna elettorale si svolgeva, Kast fece marcia indietro su alcune sue dichiarazioni più virulente pinochetiste, ma la gente sapeva che se avesse vinto, non avrebbe esitato ad attuarle pienamente. Tra le altre chicche, Kast dichiarò l’intenzione di abolire il ministero per le donne, i matrimoni tra persone dello stesso sesso e l’aborto (le cui leggi sono già molto restrittive); eliminare i finanziamenti al Museo in Memoria delle vittime della dittatura e al Centro Gabriela Mistral per la promozione delle arti, letteratura e teatro; ritirare il Cile dalla Commissione Internazionale dei Diritti Umani e chiudere l’Istituto Nazionale dei Diritti Umani; cessare le attività del FLACSO (il prestigioso centro latinoamericano di indagine sociologica); costruire una fossato nel nord del Cile, al confine con Bolivia e Perù, per fermare l’immigrazione clandestina; e conferire al presidente l’autorità legale per detenere persone in luoghi diversi da stazioni di polizia e carceri, ovvero ripristinare le procedure illegali dell’oscura polizia di Pinochet. Le intenzioni di Kast non lasciavano dubbi su quale fosse la scelta giusta nelle elezioni. Tuttavia, fui sbalordito da varie analisi di sinistra che si opponevano al voto, in un caso perché “[non c’era] alcuna differenza essenziale tra Kast e Boric”. Peggio ancora, un altro suggerì che “il dilemma tra fascismo e democrazia era falso” perché la democrazia cilena è difettosa. La mia disperazione su questo “atteggiamento di principio”, probabilmente dettato dalle migliori intenzioni politiche, divenne shock quando il giorno stesso delle elezioni un corrispondente di Telesur a Santiago intervistò un attivista cileno che attaccava Boric, il messaggio principale del servizio era che “chiunque vince, il Cile perde’.

La coalizione di centrosinistra Concertación, che nel 1990-2021 ha governato la nazione per ventiquattro anni e ha grave responsabilità su mantenimento e perfezionamento del sistema neoliberista, espresse apertamente la preferenza per Boric, cercando assiduamente il suo sostegno nel secondo turno. Chi crede che non ci sia differenza tra Kast e Boric lo fa non solo da una posizione di estrema sinistra, ma anche trovando Boric colpevole per associazione, anche se non ancora ebbe la possibilità di commettere un crimine. Questo ci porta a una questione politica centrale: cosa significano l’eredità della ribellione dell’ottobre 2019 e le sue conseguenze positive per la classe operaia cilena? Ciò che si pone ora in Cile è la lotta non per il potere, ma per le masse che per decenni furono indotte ad accettare, anche se a malincuore, il neoliberismo come dato di fatto. La ribellione del 2019 fu la prima mobilitazione di massa che cercò non solo di opporsi, ma anche di sbarazzarsi del neoliberismo. La ribellione ottenne dalla classe dirigente concessioni straordinarie, compreso il referendum per una Convenzione costituzionale a cui legalmente fosse affidato il compito di redigere una costituzione anti-neoliberista in sostituzione di quella del 1980 promulgata dal governo di Pinochet. Il referendum approvò la proposta di nuova costituzione e l’elezione di una Convenzione rispettivamente col 78 e 79% nell’ottobre 2020. L’elezione della Convenzione diede alla destra cilena solo 37 seggi su 155, appena il 23%, mentre i favorevoli ai radicali del cambiamento ottennero in totale 118 seggi, ovvero il 77%. Più evidentemente, Socialisti e Democratici Cristiani, i vecchi partiti della Concertación, ottennero in totale 17 seggi. Il problema più grande resta la frammentazione delle forze emergenti che puntano al cambiamento. Insieme detengono quasi tutti i posti rimanenti, ma sono strutturati in almeno 50 gruppi diversi. Tuttavia, in sintonia col contesto politico, la Convenzione elesse presidente Elisa Loncón Antileo, leader indigena mapuche, e 17 seggi riservati esclusivamente alle nazioni indigene ed eletti solo da loro: uno sviluppo di enorme importanza.

La ribellione del 2019 ottenne anche altre concessioni da governo e parlamento, tra cui la restituzione del 70 per cento dei contributi pensionistici degli “amministratori delle pensioni” privati, che i cileni giustamente vedono come massiccia truffa che perdura da più di tre decenni. Questo inferse un duro colpo al capitale finanziario del Cile. Una proposta in parlamento per la restituzione del restante 30 per cento alla fine di settembre 2021 non fu approvata per un margine di voti molto ridotto, ma sono certo che non si è sentito l’ultima parola sulla questione. Lo scenario descritto si è improvvisamente confuso dai risultati del primo turno delle elezioni presidenziali, che non solo vide uscire primo Kast (il 27 per cento contro il 25 di Boric), ma che anche elesse deputati e senatori per le due camere parlamentari cilene. Sebbene Apruebo Dignidad abbia fatto molto bene con 37 deputati (su 155) e cinque senatori (su 50), la destra Podemos Más (sostenitori di Piñera) ottenne 53 deputati e 22 senatori, e la vecchia Concertación 37 deputati e 17 senatori. Ci sono diverse dinamiche al lavoro qui. Sulle elezioni parlamentari, si applicano i meccanismi tradizionali e le relazioni coi clienti, con politici esperti che esercitano un’influenza locale e vengono eletti. Al contrario, la maggior parte dei membri eletti della Convenzione sono un gruppo emergente di gruppi di pressione eterogenei organizzati su campagne monotematiche (AFP, la privatizzazione dell’acqua, prezzo del gas, abuso delle società di servizi pubblici, difesa delle terre ancestrali Mapuche, corruzione e così via) e non si candidavano a un seggio parlamentare.

Il 19 dicembre, Boric si era pubblicamente impegnato a sostenere e lavorare insieme alla Convenzione costituzionale per la nuova costituzione nel suo discorso della vittoria. Questo dava e darà enorme impulso agli sforzi per sostituire costituzionalmente l’attuale modello economico neoliberista. Ciò che la classe operaia cilena deve ora affrontare è la mancanza di leadership politica. Manca di un Fronte di Resistenza Popolare (FNRP) come quello organizzato dal popolo dell’Honduras per combattere il golpe che cacciò Mel Zelaya nel 2009. Il FNPR, composto da molti e vari movimenti sociali e politici, si è evoluto nel partito Libre che riusciva ad eleggere Xiomara Castro, la prima donna presidente del Paese. L’ovvia strada possibile per affrontare questa carenza potenzialmente pericolosa sarà riunire in una conferenza nazionale tutti i gruppi a tema unico insieme ai movimenti sociali e correnti politiche desiderose di istituire un Fronte Popolare per la Costituzione anti-neoliberista. Dopotutto, scesero in piazza per due anni per seppellire il modello neoliberista oppressivo, abusivo e sfruttatore, ed è sempre più chiaro con cosa dovrebbero sostituirlo: un sistema basato su una nuova costituzione che permetta la nazionalizzazione di tutte le utenze e risorse naturali, punire i corrotti, rispettare le terre ancestrali dei Mapuche e garantire salute, istruzione e pensioni dignitose. La strada sarà accidentata, ma hanno vinto le masse; ora, con un governo solidale in carica, si può avviare la trasformazione dello Stato e costruire un Cile migliore.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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