La Russia e l’interruttore principale

Rosa Miriam Elizalde www.cubadebate.cu

Fred Friendly, ex presidente di CBS News, ha chiarito che prima di pontificare sulla libertà di espressione, bisognerebbe rispondere a una semplice domanda: chi controlla l’interruttore principale?

Nella guerra tra Russia e Ucraina la risposta è abbastanza ovvia e ha lasciato la terribile sensazione di ciò che possono ottenere i poteri della manipolazione politica, della stupidità umana e della vendetta quando si mascherano da causa maggiore. Di come possono anche condizionare la giustizia e, ancor di più, la verità.

Quando parlo di interruttore principale, non alludo a una metafora. Nell’era di Internet, con mega-corporazioni padrone delle rotte e dei dati, esiste letteralmente un dispositivo che lascia passare o meno l’informazione e che si usa a discrezione contro milioni di persone.

Pochi hanno notato che i divieti ed i blocchi che le grandi aziende tecnologiche hanno applicato alla Russia hanno già avuto un poligono di prova: Cuba. Qui non funzionano Twitter, Facebook (ora Meta) né Google come nel resto del pianeta, e non è un caso che le pubblicazioni più popolari dell’isola compaiano nelle prime pagine referenziate dai motori di ricerca. Algoritmi progettati per ridurre o omettere la portata di media, parole e informazioni, mentre Apple, Spotify, Amazon e la maggior parte delle oltre 450 società USA che hanno sanzionato la Russia, non possono commerciare con Cuba a causa delle leggi del blocco USA.

Le fake news, gli attacchi informatici e la guerra per la conoscenza e l’informazione, così cara in questi giorni alla NATO, sono state valuta corrente degli USA per triturare l’isola caraibica e questo è avvenuto senza creare troppi allarmi.

La cortina di ferro digitale e informativa non è una nuova invenzione. Tuttavia, non ha precedenti che fornitori della cosiddetta spina dorsale di Internet disconnettano i propri clienti in un paese di 144 milioni di persone come la Russia. Lumen e Cogent, due giganti della spina dorsale più grande del mondo, lo hanno fatto. Queste società costituiscono l’esclusiva Transit Free Zone (TFZ), un piccolo gruppo di società di telecomunicazioni globali così grande che non pagano nessun altro per il transito (larghezza di banda internazionale).

Che l’interruttore sia entrato in scena dimostra che Internet non è il fantasma infinitamente elastico e virtuale che la gente immagina, bensì un’entità fisica che può deformarsi o rompersi a convenienza degli interessi di un gruppo, di un governo o di un conglomerato militare come NATO. In effetti, l’intervento dell’Occidente nel conflitto ha accelerato il rimodellamento di Internet, da un sistema globale a cui si è connesso il mondo intero, a un universo fratturato.

Gli esperti tremano perché la guerra in Ucraina sembra instaurare definitivamente la splinternet (frammentazione della rete), come è nota la frammentazione del cyberspazio in regni diversi controllati da blocchi politici autonomi. O modellati da qualche altro potere, come gli oligopoli della tecnologia e del commercio elettronico, o da paesi che cercano mantenere la distanza dal controllo USA.

L’ostracismo che punisce la Russia in realtà minaccia seriamente l’architettura di Internet, una rete globale di reti con potenza distribuita che non c’è modo di rompere in un angolo senza distruggere le rotte informative e senza congestionare le autostrade che rimangono in piedi.

Il grande paradosso di tutto questo è che, dopo aver dedicato così tanto tempo e sforzi, presumibilmente, cercando di rompere la cortina di ferro di russi e cinesi in nome della libertà, i disegnatori delle politiche occidentali e i falchi militari si stanno isolando dal mondo a marcia forzata, mentre smantellano la rete che loro stessi hanno creato. È più economico distruggere che costruire muri. La metafora del cyber muro per la Russia suggerisce, falsamente, che una volta eliminate le barriere digitali, si erigeranno, al loro posto, di nuove più convenienti per l’alleanza atlantica e che la reazione di Vladimir Putin a proteggere RusNet, rete nazionale, è sciocca e goffa. Niente è più lontano dalla realtà.

Indipendentemente da ciò che sorga dopo questo conflitto, è ormai morto l’Internet che conoscevamo. Coloro che hanno le mani sull’interruttore principale dovrebbero ammettere che stanno giocando con il fuoco e che, mentre dimostrano la loro vera indole autoritaria, rivelano, forse, la forma più costosa e inefficace di esercitare il potere.

Pubblicato originariamente su La Jornada, del Messico


Rusia y el interruptor principal

Por: Rosa Miriam Elizalde

Fred Friendly, ex presidente de CBS News, dejó en claro que, antes de pontificar sobre la libertad de expresión, habría que responder una pregunta simple: ¿Quién controla el interruptor principal?

En la guerra entre Rusia y Ucrania la respuesta es bastante obvia y ha dejado la sensación terrible de lo que pueden lograr los poderes de la manipulación política, la estupidez humana y la venganza cuando se disfrazan de causa mayor. De cómo pueden, incluso, condicionar la justicia y, más aún, la verdad.

Cuando hablo de interruptor principal no aludo a una metáfora. En la era de Internet, con megacorporaciones dueñas de las rutas y de los datos, existe literalmente un dispositivo que deja pasar o no la información, y que se usa a discreción contra millones de personas.

Pocos han reparado en que las prohibiciones y bloqueos que las grandes tecnológicas han aplicado a Rusia ya tuvieron un polígono de pruebas: Cuba. Aquí no funcionan Twitter, ni Facebook (ahora Meta), ni Google como en el resto del planeta, y ni por casualidad las publicaciones más populares de la isla aparecen en las primeras páginas referenciadas por los buscadores. Algoritmos diseñados para reducir u omitir los alcances de medios, palabras e informaciones, mientras Apple, Spotify, Amazon y la mayoría de las más de 450 compañías estadunidenses que han sancionado a Rusia, no pueden comerciar con Cuba por las leyes del bloqueo estadunidense.

Las fake news, los ciberataques y la guerra por el conocimiento y la información, tan cara en estos días a la OTAN, han sido moneda corriente de Estados Unidos para triturar a la isla del Caribe y esto ha ocurrido sin causar demasiada alarma.

El telón de acero digital e informativo no es un invento nuevo. Sin embargo, no tiene precedentes que proveedores de la llamada espina dorsal de Internet desconecten a sus clientes en un país de 144 millones de habitantes como Rusia. Lo hicieron Lumen y Cogent, dos gigantes de la red troncal ( backbone) más grande del mundo. Estas empresas integran la exclusiva Zona de Tránsito Libre (TFZ, por sus siglas en inglés), un pequeño grupo de compañías de telecomunicaciones globales tan grandes que no pagan a nadie más por el tránsito (ancho de banda internacional).

Que el interruptor haya entrado en escena demuestra que Internet no es el fantasma infinitamente elástico y virtual que la gente imagina, sino una entidad física que puede deformarse o romperse a conveniencia de los intereses de un grupo, un gobierno o un conglomerado militar como la OTAN. De hecho, la intervención de Occidente en el conflicto ha acelerado la remodelación de Internet, de un sistema global al que se ha conectado todo el mundo, a un universo fracturado.

Los expertos tiemblan porque la guerra en Ucrania parece instaurar definitivamente la splinternet, como se conoce la fragmentación del ciberespacio en reinos dispares intervenidos por bloques políticos autónomos. O configurados por cualquier otro poder, como los oligopolios de la tecnología y el comercio electrónico, o por países que intentan mantener distancia del control estadunidense.

El ostracismo que castiga a Rusia en realidad amenaza seriamente la arquitectura de Internet, red de redes mundial con poder distribuido que no hay manera de romper en una esquina sin destruir rutas de información y sin congestionar las autopistas que quedan en pie.

La gran paradoja de todo esto es que, tras haber dedicado tanto tiempo y esfuerzo supuestamente a intentar romper el telón de acero de los rusos y los chinos en nombre de la libertad, los diseñadores de políticas occidentales y los halcones militares se están aislando del mundo a marcha forzada, mientras desmantelan la red que ellos mismos crearon. Es más barato destruir que construir muros. La metáfora del cibermuro para Rusia sugiere falsamente que, una vez eliminadas las barreras digitales, se erigirán en su lugar otras nuevas más convenientes a la alianza atlántica y que la reacción de Vladimir Putin de blindar RusNet, la red nacional, es alocada y torpe. Nada más lejos de la realidad.

Independientemente de lo que surja después de este conflicto, ya murió el Internet que conocimos. Los que tienen en sus manos el interruptor principal deberían admitir que están jugando con fuego y que, mientras enseñan su verdadero talante autoritario, revelan quizás la forma más costosa e ineficaz de ejercer el poder.

Publicado originalmente en La Jornada, de México

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