Non ci sono luoghi per deliri neo plattisti

Centoventi anni dopo, lo spirito di coloro che applaudirono l’avvento della Repubblica, il 20 maggio 1902, ammanettata da una potenza straniera, somma apertamente, a volte,  altre in maniera insidiosa nelle azioni e negli atteggiamenti che non devono passare inavvertiti.

Pedro de la Hoz

Centoventi anni dopo, lo spirito di coloro che applaudirono l’avvento della Repubblica, il 20 maggio 1902,  ammanettata da una potenza straniera, soma apertamente a volte  un’altra maniera insidiosa nelle azioni e negli atteggiamenti che non devono passare inavvertiti.

L’ Emendamento  Platt mutilò la Repubblica di Cuba dal suo stesso inizio, alla sua nascita.

Circa un anno prima, il 12 giugno del 1901, il Congresso USA aveva sanzionato una progenie legale attaccata alla Costituzione della nascente entità, che assegnava al vicino del nord la potestà d’intervenire nei temi interni dell’Isola.

Addio ai sogni di Martí, di Maceo e dei  mambì dell’Esercito di Liberazione. Dalla colonia al protettorato.

Il governatore yankee installato a L’Avana dalle forze d’occupazione, Leonardo Wood, scrisse senza il minimo pudore in una lettera a Theodore Roosevelt: «A Cuba è stata lasciata poca o nessuna indipendenza con l’Emendamento Platt e la sola cosa indicata adesso è cercare l’annessione».

Già si sa che quest’ultima non è stata possibile e si sa anche che l’appendice costituzionale è stata disattivata nel 1934, chiaramente, quando per la soggezione di Cuba all’orbita della Casa Bianca esistevano altri meccanismi.

Ma non è casuale che nella stessa lettera di Wood, il proconsole fece scivolare un’idea che va considerata a quest’altezza: «L’ Isola si americanizzerá gradualmente e, a tempo debito conteremo con una dei più ricchi e desiderabili possessi che ci siano nel mondo».

I circoli di potere di Washington, ora con il concorso del nucleo duro dell’industria anticubana alloggiato in questo paese, non hanno rinunciato nè a «emendamentare» la nostra sovranità nè ad americanizzare l’Isola.

Cosa implicano la Legge Torricelli (1992), o la Legge Helms-Burton (1997)–eufemisticamente battezzate una come Dichirazione per la democrazia in Cuba, e l’altra come dichiarazione per  la libertà e la solidarietà democratica cubana–, se non versioni riciclate delle determinazioni plattiste?

Nessuna è stata derogata. E nemmeno il  programma nettamente interventista che George W. Bush volle mettere in marcia nel 2004 per «assistere una Cuba libera», ossia, per ricolonizzarci.

Di fronte al minor spiraglio dell’attuale amministrazione della Casa Bianca per moderare la scalata anti cubana senza precedenti adottata dal governo precedente, come recenti decisioni, di portata molto limitata, ma positive, i neo plattisti agitano odio e rancori.

Non dimentichiamo che l’anno scorso, dopo i fatti del 11 luglio, ci furono domande d’interventi di fuoco dai quattro lati da lì, ocn eco tra i sipoy domestici.

Questi non vogliono nemmeno un 20 maggio del 1902, ma uno status prevalente durante l’occupazione.

C’è un’altra maniera d’essere neoplattisti, anche da là con certe eco qui: darci ad intendere che senza gli Stati Uniti ossia senza capitalismo,  Cuba non sarà possibile, che la prosperità e il successo dipendono dal seguito delle formule ne liberali, che l’americanizzazione del modo di vita  del quale parlava Wood è il meglio che ci possa passare.

Completare la Repubblica martiana in una società  socialista, partecipativa, pienamente democratica, assolutamente indipendente e sovrana, giusta, autentica, non ricattabile,  creativa e degna è la miglior risposta a tali deliri.

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