La sterile illusione di un cambiamento dall’alto

Raúl Zibechi* – https://nostramerica.wordpress.com

La Colombia, l’Ecuador e il Cile ci stanno mostrando processi relativamente simili. Governi della destra neoliberale affrontati da grandi rivolte popolari di lunga durata, che hanno aperto brecce nella dominazione e messo sotto scacco la governabilità. Il sistema politico ha risposto indirizzando la disputa verso il terreno istituzionale, con il beneplacito e l’entusiasmo delle sinistre.

Durante le rivolte si rafforzano le organizzazioni di base e se ne creano di nuove. In Cile, più di 200 assemblee territoriali e più di 500 mense comunitarie a Santiago quando scoppia la pandemia. In Ecuador, il Parlamento Indigeno e dei Movimenti Sociali, con più di 200 organizzazioni. In Colombia, decina di punti di resistenza, territori liberi dove i popoli creano nove relazioni fra di loro.

I risultati dell’opzione istituzionale in genere diventano visibili qualche tempo dopo, quando la potenza delle insurrezioni comincia a sfibrarsi e non restano quasi più le organizzazioni di base. Il Parlamento ecuatoriano non funziona più. Le assemblee cilene si sono indebolite per quantità e partecipazione. Lo stesso accade in Colòombia.

Il caso del Cile è il più drammatico, visto che tutta la potenza della rivolta è stata ben presto neutralizzata con la firma di un accordo per una nuova Costituzione, anche se sappiamo che l’obbiettivo finale era  togliere il popolo dalla piazza perché questo è la principale minaccia per il dominio delle élite economiche e politiche.

Il Cile è l’unico fra questi tre paesi in cui il processo elettorale ha premiato il candidato che ha detto di rappresentare la rivolta, l’attuale presidente Gabriel Boric. Che altro chiedere? Un giovane che è stato attivo nelle proteste studentesche e che fa parte della nuova sinistra raggruppata intorno a Apruebo Dignidad. Ma è la più grande delusione immaginabile per chi scommetteva su un cambio gestito dall’alto, sulle spalle della protesta. E’ stato Boric a firmare il patto con la destra e con il centro, con l’elitista classe politica, per convocare la costituente. E’ stato lui a dire più di una volta che le cose sarebbero cambiate con il suo governo e che avrebbe smilitarizzato il territorio Mapuche, Wall Mapu.

Due mesi dopo aver assunto la Presidenza ha deciso di promulgare lo stato di eccezione su quelle terre. Proprio come Sebastián Piñera, il presidente di destra odiato da mezzo Cile. Proprio come tutti i governi precedenti, incluso naturalmente il regime di Pinochet.

Lo stato di eccezione va contro l’attivismo mapuche che recupera terre e sabota le imprese estrattivee che distruggono la madre terra. In particolare, colpisce la Resistenza Mapuche Laykenche (RML), la Coordenadora Arauco-Malleco (CAMN) e la Liberación Nacional Mapuche (LNM), e va anche contro organizzazioni di resistenza territoriale autonome.

L’occupazione militare dell’Araucania risponde alle pressioni di camionisti e latifondisti. Per Héctor Llaitul, dirigente della CAM, è proprio l’espressione della dittatura militare che noi mapuche abbiamo sempre sopportato; la RML pensa che Boric abbia lasciato le nuove politiche repressive nelle mani del Partito Socialista, con l’avallo del crimine organizzato (https://bit.ly/31YSpSC).

Bisogna solo aggiungere che l’area economica è stata affidata a uno dei più noti difensori del neoliberalismo e dell’ortodossia economica, Mario Marcel. Non ci saranno cambiamenti. Appena qualche ritocco. La popolarità di Boric è crollata: 57% lo disapprovano appena due mesi dopo l’elezione (https://bit.ly/3x2dkcz).

Quella del Cile non è l’eccezione ma la regola. Qualcosa di simile accade in Ecuador, anche se la presidenza l’ha vinta il destrorso Guillermo Lasso. In Colombia, purtroppo, il movimento sociale è inciampato nelle urne disorganizzando i suoi territori urbani. Alcune riflessioni.

Primo: la politica elettorale dipende molto più dal marketing che da programmi e proposte. Così come il consumismo è una mutazione antropologica (Pasolini), il marketing elettorale rimodella da sopra a sotto le mappe e le condotte politiche.

Due: il potere, il vero potere, non nasce dalle urne e non sta né el parlamento né nei governi, ma lontano dalla visibilità pubblica, nel capitale finanziario ultraconcentrato, in quell’ 1% invisibile che controlla mezzi di comunicazione, forze armate e poliziesche, governi di qualsiasi livello e, soprattutto, i gruppi illegali narcoparamilitari che ridisegnano il mondo.

Tre: I governi eletti non possono –nell’ipotetico caso in cu9i ci provassero- toccare gli interessi dei veri poteri e dei potenti. Loro sono blindati dietro vari eserciti, sia statali che privati, di un opaco sistema giuridico e dei grandi media.

Quattro: si tratta di inforcare un’altra strada, di non insistere su quella che sappiamo che conduce solo a rilegittimare l’esistente e a indebolire i mondi altri che stanno nascendo. Non disputare il loro potere (né la salute, né i loro media, né la loro istruzione). Creare il nostro. E difenderlo.

*Saggista, giornalista uruguayanao

(La Jornada, 3 giugno 2022)

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