Bilancio attuale dell’economia venezuelana e prospettive per il 2022/23

Franco Vielma

Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha avvertito i paesi dell’America Latina che “il peggio deve ancora venire”, alludendo all’avvento di una recessione o, nel migliore dei casi, una stagnazione delle economie della regione per il 2023 L’eccezione sarà il Venezuela. Secondo l’ente finanziario, la sua economia crescerà del 6,5% l’anno prossimo.

Le previsioni del FMI possono essere classificate come modeste, intendendo che hanno calcolato, per quest’anno, una crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL) del 6%, ma nei primi due trimestri l’economia è già cresciuta del 17% e di un 18,7% comparati ai rispettivi trimestri del 2021, secondo i dati della Banca Centrale del Venezuela (BCV).

In realtà, il rilevante della notizia è che lo stesso FMI riconosca che l’economia venezuelana sarà quella che crescerà di più nella regione, contrariamente alle sue solite valutazioni estremamente fatalistiche.

Per ragioni non econometriche, ma sì per l’interpretazione politica che in molti casi si deve dare ai dati, ciò che la previsione del FMI avverte è il movimento al rialzo dell’economia venezuelana e l’espansione delle sue condizioni che continuano a migliorare, secondo le possibilità e scenari davanti al suo fronte esterno.

L’economia del Paese petrolifero è l’esatta espressione di come il contesto politico sia determinante per il suo sviluppo,poiché le Misure Coercitive Unilaterali (MCU) che hanno bloccato le principali fonti economiche del Paese continuano ad essere il fattore politico cruciale, e per il suo sviluppo c’è molto in gioco.

A fine 2022, e ancora con dati in attesa dalla BCV, le prospettive sono più che incoraggianti.

DATI, PER GUARDARE OLTRE AD ESSI

 

La Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (CEPAL) ha modificato, più volte, quest’anno le sue previsioni di crescita per la regione e i nostri paesi, a causa dell’evoluzione del conflitto russo-ucraino, dell’impatto globale delle “sanzioni” contro la Russia, la crisi inflazionistica e l’annuncio di altre misure in altri paesi, come l’aumento dei tassi di interesse negli USA.

I dati più recenti sono stati pubblicati lo scorso agosto e stimano che, in questo 2022, l’economia venezuelana crescerà del 10%, e quindi è quella che più crescerà nella regione iberoamericana, in modo significativo rispetto al continente sudamericano, che crescerà solo del 2,6%.

Il dato di crescita in Venezuela è fortemente legato a una crescita dell’attività economica interna. Dall’aprile di quest’anno sono stati riportati dati, come ad esempio che le esportazioni sono cresciute del 182% nel primo trimestre del 2022 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Ad aprile si è anche registrato un aumento dell’86% dell’attività commerciale interna, favorita dall’apertura di molti esercizi commerciali, come indicato dalla vicepresidente Delcy Rodríguez.

Anche all’interno di indicatori molto avversi, l’attività manifatturiera si è parzialmente ripresa. La Confederazione degli Industriali del Venezuela (Conindustria) ha dichiarato a metà anno che il settore manifatturiero del Paese ha operato al 28% della sua capacità installata nel primo trimestre del 2022. Ciò significa un incremento di nove punti percentuali rispetto allo stesso periodo di l’anno passato, quando si attestava al 19%.

L’attività manifatturiera è leggermente rimbalzata nel secondo trimestre, raggiungendo una produzione in linea con il 30,7% della sua capacità.

Tuttavia, l’aspetto che continua ad essere il principale modulatore dell’economia nazionale continua ad essere il petrolio. Dalla fine del 2021 e durante questo 2022 il Paese ha registrato una produzione di petrolio di circa 700mila bpd (barili al giorno).

L’impatto favorevole di questo livello ancora molto modesto di produzione di greggio è stato chiaramente accresciuto dall’aumento del prezzo del petrolio da prima dell’apice del conflitto tra Russia e Ucraina. Il rialzo generale dei prezzi è andato oscillando, sempre sopra il 50% rispetto a inizio 2021, e quest’anno si è raggiunto l’insolito tetto di 120 dollari al barile.

Ma a questo punto conviene fermarsi nella lettura politica. Il Venezuela produce greggio entro quote possibili solo attraverso pratiche evasive del blocco. Fare riferimento ad un export minimo di greggio significa riferirsi ai barili che sono usciti, violando le “sanzioni” contro il Paese attraverso pratiche commerciali che sono state possibili solo attraverso la Legge Anti-Blocco del 2020.

Tuttavia, la vendita del greggio in modo evasivo ha un limite. Le società furtive, le imbarcazioni e le rivenditrici secondarie si muovono in relazione al Venezuela secondo rischi tollerabili, ma molto alti. Non c’è clientela né acquisti regolari che permettano di aumentare la quota dell’export, e quindi la quota di produzione. Ricordiamo che Il pompaggio del greggio dipende fondamentalmente dalla capacità di spedire e collocare greggio sul mercato internazionale.

Non necessariamente il prezzo internazionale del barile implica quell’introito completo per l’economia venezuelana. In altre parole, il tipo di attività evasivo del blocco implica che il Paese venda greggio a prezzi scontati e paghi anche il trasporto a costi maggiori, dato che le società svolgono operazioni ad alto rischio.

Ciò significa che gli ingressi per il Paese non sono nei normali margini commerciali e quindi non si può parlare di una base di ingressi prevedibile o facilmente misurabile. Gli introiti dell’economia venezuelana da attività petrolifera si basano su stime caratterizzate dal tipo di attività commerciale che elude il blocco.

LE CHIAVI ECONOMICHE CONTINUANO A STARE NEL BLOCCO

 

Conviene aggiungere che le stime di crescita del PIL venezuelano nel 2022 e nel 2023, sia del CEPAL che del FMI, si basano sulle condizioni attuali, cioè quelle di un’economia con le sue esportazioni di greggio bloccate.

Non si riferiscono a calcoli su possibili distensioni tra i governi del Venezuela e degli USA in materia petrolifera.

Da metà anno, USA e Unione Europea (UE) hanno preteso applicare l’insolita misura di fissare per decreto (tramite “sanzioni”) il prezzo del greggio russo. Questa misura ha ricevuto la risposta dell’OPEC+, coordinata da Arabia Saudita e Russia. Entrambi i paesi ridurranno la produzione di oltre 500000 bpd ciascuno, mentre la riduzione congiunta dei paesi OPEC+ sarà di 2 milioni di barili. Una cifra straordinaria.

È evidente che questi paesi tentano di inviare un messaggio ai paesi occidentali per fare pressione su di loro ed evitare il precedente che, per qualsiasi motivo,  si tenti di imporre il prezzo del barile a un paese in modo selettivo e arbitrario.

Da febbraio gli USA stanno facendo pressione sul mercato energetico rilasciando petrolio dalla sua riserva strategica. A fine agosto registravano 421,7 milioni di barili di riserve, ma solo un anno prima avevano un inventario di circa 621 milioni. In soli sette mesi hanno prosciugato il mercato di circa 200 milioni di barili di greggio e ora sono al livello più basso dal 1984.

Sarà impossibile per gli USA sostenere il tasso di collocamento del greggio della sua riserva strategica troppo a lungo, tanto meno adesso, quando l’autunno sta arrivando e l’inverno arriverà. Nei prossimi cinque mesi il consumo di greggio sarà maggiore e questo, necessariamente, richiede un aumento della produzione e del collocamento di greggio.

Gli eventi dovuti al prolungarsi del conflitto russo-ucraino, le MCU contro la Russia e il braccio di ferro petrolifero tra USA e OPEC+, impongono agli USA una situazione di urgenza. Le circostanze li costringono a dover guardare al Venezuela,  Paese che, essendo sotto blocco, è esentato dal rispettare le quote di taglio dell’OPEC.

Sebbene gli USA abbiano considerato di allentare il soffocamento del Venezuela, questo non ha avuto una reale consistenza. Mesi fa, si era autorizzata la Repubblica Bolivariana a spedire greggio in Europa, ma solo a condizione che questi servissero al pagamento del debito della statale PDVSA.

Il Venezuela ha sospeso le spedizioni. Il Paese ha preferito non assumersi i costi operativi per l’estrazione, senza ricevere in cambio contanti o carburante. Nell’industria petrolifera venezuelana non ci sono condizioni per assumere una misura chiaramente abusiva. Pertanto, per quanto riguarda il greggio, il blocco rimane intatto.

Il media USA The Wall Street Journal ha rivelato che il governo di Joe Biden sta valutando la possibilità di autorizzare la transnazionale Chevron a riprendere a pompare petrolio greggio nel Paese. Naturalmente, questo fa parte di una trattativa tra la Casa Bianca e Miraflores, e non sono ancora noti ulteriori dettagli.

È altamente probabile che questo annuncio venga fatto dopo le elezioni di medio termine (midterm elections) sul suolo USA. Annunciare questo provvedimento darebbe per scontato il fallimento della “massima pressione” contro il chavismo e la capitolazione dei nordamericani -almeno in parte- nelle misure con la maggior forza che hanno messo in atto contro il Venezuela.

Alcune previsioni hanno evidenziato che la ripresa del pompaggio di petrolio da parte della Chevron comporterà un aumento della produzione di circa 200000 bpd nel breve termine. Ma quell’accordo, che potrebbe essere incrementale per la Chevron, aprirebbe l’opportunità affinché altre società possano riprendere le operazioni in Venezuela.

Nel loro abusivo progetto di MCU, e anche nella distensione che può verificarsi, gli statunitensi promuovono il rilancio delle loro attività in Venezuela, ma vogliono convenientemente mantenere vietate le attività petrolifere delle società cinesi e russe, il che rivela il loro chiaro interesse di posizionamento esclusivo sulle risorse nazionali.

Il Venezuela deve andare a questa trattativa tenendo conto delle sue necessità esistenziali, ma è evidente che il primo punto di rottura formale del blocco petrolifero deve avvenire proprio nei confronti degli USA e dei suoi operatori nel Paese.

LE PROSPETTIVE DI FINE 2022

 

Indipendentemente dall’esito dei negoziati tra Washington e Caracas, l’economia venezuelana attraverserà una ripresa significativa e indiscussa.

Per la vita quotidiana dei venezuelani restano in sospeso questioni come il recupero degli stipendi pubblici e l’impiego, più consistente, del bilancio pubblico nelle aree sensibili e nei servizi chiave. Il governo venezuelano è riuscito a tornare allo sviluppo di una gestione pubblica più vigorosa, ma entro i limiti di bilancio e con una sobrietà monetaria a cui sembra non rinunciare.

Conviene aggiungere che durante il 2022 il chavismo è riuscita a posizionare la governance dei cambi in modi senza precedenti, poiché il tasso di cambio è libero e si mantiene dentro un canone stabile, se confrontato con il ciclo precedente degli ultimi sei anni.

Da ottobre 2021 ad agosto 2022, il tasso di cambio parallelo è variato da 5,25 bolívares per dollaro a 6,01 bolívares. Ciò indica un deprezzamento della valuta di 0,76 bolivar rispetto alla valuta USA. E’ una cifra molto bassa se la si compara agli anni precedenti. Nonostante la moneta nazionale abbia perso terreno rispetto al dollaro, arrivando negli ultimi trimestri dell’anno a 8,09 bolivar per dollaro secondo il tasso BCV, è anche vero che è il tasso libero ufficiale che regola la maggior parte delle attività commerciali. Il valore politico di questo dato è incalcolabile se si comprendono i precedenti di sabotaggio diffuso che ha sofferto l’economia nazionale.

Per quanto riguarda l’inflazione, il tasso di variazione annuale del IPC (Indice dei Prezzi al Consumo) in Venezuela ad agosto 2022 è stato del 114,1%, ovvero 23 punti in meno rispetto al mese precedente. La variazione mensile dell’IPC è stata dell’8,2%, per cui l’inflazione accumulata nel 2022 è del 60,5%.

Benché ci sono coloro che stimano che l’inflazione, nel 2022, raggiungerà il 100% entro la fine dell’anno, nonostante questo dato elevato, sarà molto più bassa rispetto a quella del 2018, quando è esploso il blocco al suo massimo sviluppo. Quell’anno l’inflazione era del 130.000%. Nel 2021, l’inflazione da gennaio a dicembre è stata del 686%. Il paese ha rotto con l’iperinflazione.

Il bilancio olistico offerto dall’economia venezuelana in cifre e a fine 2022, è quello di un’economia in ripresa, che cresce nel suo PIL in modo molto significativo, che stabilizza il valore della sua moneta, contenendo l’estrema turbolenza e che sta riducendo l’inflazione a passi lenti ma molto consistenti.

È un’economia con contraddizioni, ma che è migliorata con le condizioni avverse più dure e formidabili contro di essa.


BALANCE ACTUAL DE LA ECONOMÍA VENEZOLANA Y PERSPECTIVAS PARA 2022-2023

Franco Vielma

El Fondo Monetario Internacional (FMI) advirtió a los países de América Latina que “lo peor está por venir”, aludiendo al advenimiento de una recesión o, en el mejor de los casos, un estancamiento de las economías en la región para el año 2023. La excepción será Venezuela. Según el ente financiero, su economía crecerá 6,5% el próximo año.

La previsión del FMI puede catalogarse de modesta, entendiendo que han calculado un crecimiento del Producto Interno Bruto (PIB) de 6% para este año, pero en los primeros dos trimestres la economía ya ha crecido un 17% y un 18,7% comparados con los respectivos trimestres de 2021, según cifras del Banco Central de Venezuela (BCV).

En realidad la mayor relevancia de la noticia es que el mismo FMI reconozca que la economía venezolana será la que más crecerá en la región, a contracorriente de sus usuales valoraciones extremadamente fatalistas.

Por razones no econométricas, pero sí por la interpretación política que en muchos casos hay que darle a los datos, lo que advierte la previsión del FMI es el movimiento en ascenso de la economía venezolana y la ampliación de sus condiciones que siguen mejorando, acorde a las posibilidades y escenarios de cara a su frente externo.

La economía del país petrolero es expresión exacta de cómo el contexto político es determinante a su desarrollo, pues las Medidas Coercitivas Unilaterales (MCU) que han bloqueado las fuentes económicas medulares del país, siguen siendo el factor político crucial, y por su desarrollo hay mucho en juego.

Al cierre del año 2022, y aún con cifras pendientes por parte del BCV, las perspectivas son más que alentadoras.

DATOS, PARA MIRAR MÁS ALLÁ DE ELLOS

La Comisión Económica para América Latina y el Caribe (CEPAL) ha modificado su previsión de crecimiento para la región y nuestros países en varias oportunidades este año, a causa de la evolución del conflicto ruso-ucraniano, el impacto global de las “sanciones” contra Rusia, la crisis inflacionaria y el anuncio de otras medidas en otros países, como el aumento de las Tasas de Interés en Estados Unidos.

El dato más reciente fue publicado en agosto pasado y estima que, en este 2022, la economía venezolana crecerá 10%, y por ende es la que más crecerá en la región iberoamericana, significativamente si se compara con el continente sudamericano, el cual solo crecerá 2,6%.

La cifra de crecimiento en Venezuela está sumamente vinculada a un crecimiento de la actividad económica interna. Desde abril de este año se vienen reportando datos, como que las exportaciones crecieron un 182% en el primer trimestre de 2022 respecto al mismo periodo del año pasado.

En abril se registró también un aumento de 86% de la actividad comercial interna, aupado por la apertura de muchos establecimientos comerciales, según lo indicó la vicepresidenta Delcy Rodríguez.

Aún dentro de indicadores muy adversos, la actividad manufacturera se ha recuperado de manera parcial. La Confederación de Industriales de Venezuela (Conindustria) afirmó a mediados de año que el sector manufacturero del país operó a 28% de su capacidad instalada durante el primer trimestre de 2022. Lo que significa un incremento de nueve puntos porcentuales respecto al mismo periodo del año pasado, cuando se ubicó en 19%.

La actividad manufacturera repuntó un tanto para el segundo trimestre, alcanzando una producción acorde a 30,7% de su capacidad.

Sin embargo, el aspecto que continúa como modulador principal de la economía nacional sigue siendo el petróleo. Desde finales de 2021 y durante este 2022, el país ha registrado una producción petrolera que ronda los 700 mil bpd (barriles por día).

El impacto favorable de este todavía muy modesto nivel de producción de crudo ha sido incrementado claramente por el aumento del precio petrolero desde antes del auge del conflicto entre Rusia y Ucrania. El alza general de precios ha estado oscilando, siempre arriba de 50% comparado con inicios de 2021, y este año se alcanzó el tope insólito de 120 dólares por barril.

Pero en este punto conviene detenernos en la lectura política. Venezuela produce crudo dentro de cuotas solo posibles mediante prácticas evasivas del bloqueo. Referir un mínimo de exportación de crudo significa referir barriles que han salido, violentando las “sanciones” contra el país mediante prácticas comerciales que han sido solo posibles mediante la Ley Antibloqueo de 2020.

Sin embargo, la venta de crudo de manera evasiva tiene un tope. Las empresas a hurtadillas, embarcaciones y comercializadoras segundarias se desplazan relacionándose con Venezuela acorde a riesgos tolerables, pero muy altos. No hay una clientela ni compras regulares que permitan elevar la cuota de exportación, y por ende la cuota de producción. Recordemos que el bombeo de crudo depende fundamentalmente de la capacidad de despachar y colocar crudo en el mercado internacional.

No necesariamente el precio internacional del barril implica ese ingreso íntegro a la economía venezolana. En otras palabras, el tipo de negocios evasivo al bloqueo implica que el país vende crudo a descuento y también pagando fletes a costos superiores, dado que las empresas realizan operaciones con alto riesgo.

Esto quiere decir que los ingresos para el país no están en los márgenes comerciales regulares y por ende no se puede hablar de una base de ingreso predecible o fácil de medir. Los ingresos en la economía venezolana por actividad petrolera se basan en estimaciones signadas por el tipo de actividad comercial evasiva al bloqueo.

LAS CLAVES ECONÓMICAS SIGUEN ESTANDO EN EL BLOQUEO

Conviene agregar que las estimaciones de crecimiento del PIB venezolano en 2022 y 2023, tanto de la CEPAL como del FMI, se basan en las condiciones actuales, es decir, las de una economía con sus exportaciones de crudo bloqueadas.

No refieren cálculos sobre posibles distensiones entre los gobiernos de Venezuela y Estados Unidos en materia petrolera.

Desde mediados de año, Estados Unidos y la Unión Europea (UE) han pretendido aplicar la insólita medida de fijar por decreto (vía “sanciones”) el precio del crudo ruso. Esta medida recibió la respuesta de la OPEP+, coordinada por Arabia Saudí y Rusia. Ambos países harán una reducción de la producción superior a los 500 mil bpd cada uno, mientras que la reducción conjunta de los países OPEP+ será de 2 millones de barriles. Una cifra extraordinaria.

Es evidente que estos países intentan enviar un mensaje a los países occidentales para presionarlos y evitar el precedente de que, por cualquier razón, se le intente imponer el precio del barril a un país de manera selectiva y arbitraria.

Estados Unidos está pulseando en el mercado energético liberando crudo de su reserva estratégica desde febrero. A finales de agosto registraron 421,7 millones de barriles de reservas, pero apenas un año antes tenían en inventario de unos 621 millones. En apenas siete meses drenaron al mercado unos 200 millones de barriles de crudo y ahora están en su nivel más bajo desde 1984.

Para Estados Unidos será imposible sostener el ritmo de colocación de crudo de su reserva estratégica por demasiado tiempo, menos ahora, cuando entra el otoño y vendrá el invierno. Durante los próximos cinco meses el consumo de crudo será superior y ello, necesariamente, demanda un aumento de producción y de colocación de crudo.

Los eventos por el alargue del conflicto ruso-ucraniano, las MCU contra Rusia y el pulseo petrolero de Estados Unidos con la OPEP+, imponen una situación de urgencia para los norteamericanos. Las circunstancias los obligan a tener que mirar a Venezuela, país que por estar bajo bloqueo está exceptuado de cumplir con las cuotas de recorte de la OPEP.

Aunque Estados Unidos ha barajado el aflojamiento de la asfixia a Venezuela, ello no ha tenido consistencia real. Hace meses se había autorizado a la República Bolivariana efectuar despachos de crudo a Europa, pero solo con la condición de que estos sirvieran para el pago de deuda de la estatal PDVSA.

Venezuela suspendió los envíos. El país prefirió no asumir costos operacionales por extracción, sin recibir cash o combustible a cambio. En la industria petrolera venezolana no hay condiciones para asumir una medida claramente abusiva. Por lo tanto, en cuanto al crudo, el bloqueo sigue intacto.

El medio estadounidense The Wall Street Journal reveló que el gobierno de Joe Biden está considerando autorizar a la trasnacional Chevron reanudar el bombeo de crudo en el país. Por supuesto, esto forma parte de una negociación entre la Casa Blanca y Miraflores, y aún no se conocen mayores detalles.

Es altamente probable que ese anuncio se haga luego de las elecciones de medio término (midterm elections) en suelo estadounidense. Anunciar esta medida daría por sentado el fracaso de la “máxima presión” contra el chavismo y la capitulación de los norteamericanos -al menos de manera parcial- en las medidas con mayor pie de fuerza que han ejecutado contra Venezuela.

Algunas previsiones han apuntado que el reinicio del bombeo de crudo por Chevron significará un aumento de la producción en unos 200 mil bpd en el corto plazo. Pero ese acuerdo, que podría ser incremental para Chevron, abriría oportunidades para que otras empresas puedan reanudar sus operaciones en Venezuela.

En su abusivo diseño de MCU, e igualmente en la distensión que puede darse, los estadounidenses promueven el relanzamiento de sus negocios en Venezuela, pero convenientemente quieren mantener vetadas las actividades petroleras de las empresas chinas y rusas, lo que revela su claro interés de posicionamiento exclusivo sobre los recursos nacionales.

Venezuela tiene que acudir a esta negociación atendiendo sus necesidades existenciales, pero es evidente que el primer punto de ruptura formal del bloqueo petrolero debe darse justamente frente a Estados Unidos y sus operadores en el país.

LAS PERSPECTIVAS A FINALES DE 2022

Independientemente del desenlace de las negociaciones entre Washington y Caracas, la economía venezolana transitará por una recuperación significativa e indiscutida.

Para la cotidianidad del venezolano hay asuntos pendientes, como la recuperación de los salarios públicos y el despliegue del presupuesto público de manera más consistente en áreas sensibles y servicios clave. El gobierno venezolano ha logrado retornar al desarrollo de una gestión pública más vigorosa, pero dentro de límites presupuestarios y con una sobriedad monetaria a la cual parece no va a renunciar.

Conviene agregar que durante 2022 el chavismo logró posicionar la gobernanza cambiaria de maneras inéditas, pues el tipo de cambio está liberado y se mantiene dentro de un canon estable, si se le compara con el ciclo precedente de los últimos seis años.

Desde octubre de 2021 hasta agosto de 2022, el tipo de cambio paralelo varió de 5,25 bolívares por dólar a los 6,01 bolívares. Esto indica una depreciación de la moneda de 0,76 bolívares frente a la divisa estadounidense. Es una cifra muy baja si se le compara con años anteriores.

Aunque la moneda nacional ha perdido terreno frente al dólar, para los últimos trimestres del año alcanzando los 8,09 bolívares por dólar acorde a la tasa BCV, es también cierto que es la tasa oficial liberada la que rige la mayoría de las actividades comerciales. El valor político de este dato es incalculable si se entienden los precedentes de sabotaje generalizado que ha sufrido la economía nacional.

Sobre la inflación, la tasa de variación anual del IPC (Índice de Precios al Consumo) en Venezuela en agosto de 2022 ha sido de 114,1%, es decir, 23 puntos inferior a la del mes anterior. La variación mensual del IPC ha sido de 8,2%, de forma que la inflación acumulada en 2022 es de 60,5%.

Aunque hay quienes estiman que la inflación de 2022 llegue a 100% a fin de año, pese a lo alto de esta cifra, será mucho más baja si se compara con la de 2018, cuando detonó el bloqueo en su máximo desarrollo. Ese año la inflación fue de 130.000%. En 2021, la inflación de enero a diciembre fue de 686%. El país rompió con la hiperinflación.

El balance holístico que ofrece la economía venezolana en cifras y al cierre de 2022, es el de una economía que se recupera, que crece en su PIB de manera muy significativa, que estabiliza el valor de su moneda conteniendo la extrema turbulencia y está reduciendo la inflación a pasos lentos pero muy consistentes.

Es una economía con contradicciones, pero que ha mejorado con las condiciones adversas más duras y formidables en contra.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.