L’America Latina tra speranza e pericoli

Randy Alonso Falcon

La massiva ed emotiva investitura di Luiz Inacio Lula Da Silva in Brasile, il primo giorno dell’anno, e l’annuncio in Colombia dell’inizio di un cessate il fuoco con cinque organizzazioni armate in quel paese sono le notizie che illuminano di speranza l’inizio dell’anno in America Latina e nei Caraibi.

Lula assume per la terza volta la presidenza di un Brasile gravemente isolato e colpito dagli anni di Bolsonaro. L’ex leader sindacale dirige ora un Paese molto diverso da quello che ha ricevuto nel 2003, alla sua prima presidenza: economicamente indebolito dall’inflazione e dal debito, con una crescita esponenziale della povertà e delle disuguaglianze, estremamente polarizzato e con un Congresso di destra, con molta influenza del bolsonarismo.

“E’ necessario che le persone sappiano come abbiamo trovato questo paese. Hanno svuotato le risorse per la salute, smantellato l’istruzione e la cultura. Hanno distrutto l’ambiente. Non hanno lasciato risorse. Hanno disorganizzato la governabilità dell’economia, del finanziamento pubblico, il sostegno alle imprese e agli imprenditori. Hanno sperperato aziende statali e banche pubbliche. Hanno consegnato il patrimonio nazionale. Hanno lasciato un bilancio disastroso”, ha assicurato nel suo discorso alla cerimonia di insediamento presidenziale.

Per la Colombia, duramente colpita da decenni di conflitti, il passo compiuto per iniziare il 2023 è molto significativo. “Abbiamo concordato una cessazione bilaterale con l’ELN, la Segunda Marquetalia, lo Stato Maggiore Centrale, l’AGC e le Forze di Autodifesa della Sierra Nevada dal 1 gennaio al 30 giugno 2023, prorogabile a seconda dell’andamento dei negoziati”, ha scritto in un tweet il presidente Gustavo Petro. “La pace totale sarà una realtà”, ha promesso il presidente.

“Questo è un atto coraggioso. Il cessate il fuoco bilaterale obbliga le organizzazioni armate e lo Stato a rispettarlo. Ci sarà un meccanismo di verifica nazionale e internazionale”, ha aggiunto il presidente in un’altra pubblicazione.

Sono due testimonianze di ciò che la sinistra politica e il progressismo possono portare al cambiamento in un’America Latina che ha vissuto, negli ultimi anni, un periodo di restaurazione neoliberale per mano di governi di destra nello stile di Macri, Bolsonaro e Duque.

L’insediamento di Lula si completa un ciclo elettorale che ha permesso l’arrivo o la riaffermazione di governi progressisti in Messico, Bolivia, Cile, Nicaragua, Colombia, Perù, Honduras e Brasile. Ciascuno con proprie caratteristiche e differenti radicalità, ma tutti con la proiezione di una maggiore giustizia sociale e una vocazione all’integrazione.

A loro si uniscono i governi di Cuba e Venezuela, i cui processi politici si mantengono contro ogni avversità, nonostante le enormi pressioni di Washington.

Pertanto, le principali economie dell’America Latina sono governate da partiti di sinistra, il che rafforza la possibilità di una maggiore integrazione regionale e pianificare sforzi congiunti per affrontare la difficile situazione economica internazionale e gli inevitabili piani egemonici USA nella regione. Questi sono i due principali problemi da affrontare in questa rinascita del progressismo latinoamericano.

La nuova ondata progressista si verifica nel bel mezzo di un contesto economico che minaccia la governabilità e l’estensione dei programmi sociali. Uno scenario internazionale incerto con una combinazione di fattori che include rallentamento economico, inflazione, volatilità finanziaria e minori flussi di capitali, ha rallentato la crescita in America Latina e nei Caraibi nel 2022 e approfondirà ulteriormente questa tendenza al ribasso nel 2023, ha recentemente previsto la Commissione Economica per l’America Latina ed i Caraibi.

Nel suo nuovo rapporto Bilancio Preliminare delle Economie dell’America Latina e Caraibi, la CEPAL ha affermato che la regione crescerà del 3,7% nel 2022, quasi la metà del 6,7% registrato nel 2021; e solo l’1,3% l’anno prossimo.

Se le prospettive per il prossimo anno si concretizzassero, sarebbe il secondo decennio perduto dagli anni ’50, con una crescita regionale modesta dello 0,9% dal 2014. Nella cosiddetta ‘decade della crisi del debito’,  negli anni 80, l’economia è progredita di un 2%. Questa è stata, finora, la prestazione più bassa dal 1951.

In queste circostanze, saranno minori le risorse per finanziare i programmi sociali che queste nazioni richiedono e che hanno proposto i governi che sono saliti al potere con agende di benessere popolare.

Un altro pericolo concreto per i governi progressisti è che in alcuni casi, come nello stesso Brasile, Perù o Cile, i parlamenti sono dominati dalla destra, che cerca di ostacolare i piani del governo e sabotare le proposte che implichino un cambiamento significativo nello status quo di dominio del capitale.

Il rifiuto della nuova Costituzione in Cile, la defenestrazione di Castillo da Presidente in Perù e la manipolata sentenza giudiziaria contro Cristina Fernández sono segni del potere che le forze conservatrici nella regione conservano.

Le pretese di rafforzare i processi integrazionisti, come può favorire il nuovo scenario regionale, affrontano la sfida degli scopi di dominazione USA, chiaramente stabiliti nella Strategia di Sicurezza Nazionale dell’amministrazione Biden.

La strategia afferma che nessuna regione ha un impatto più diretto sugli USA  dell’emisfero occidentale e afferma che gli USA continueranno a costruire la “sicurezza regionale” sostenendo gli sforzi per affrontare sia le minacce interne quanto le minacce della criminalità organizzata, sia le minacce esterne di “maligni attori” che cercano di stabilire una presenza militare o di intelligence nella regione, in chiaro riferimento a Cina e Russia.

La Cina è oggi il principale partner commerciale di diverse economie latinoamericane e ha un’alleanza con la CELAC che si è approfondita negli ultimi anni.

A ciò si aggiunge il ruolo svolto dall’OSA, su mandato di Washington, per dividere la regione e sabotare i processi popolari in vari paesi.

Al di là di queste minacce, è indubbio che vi sia una promettente correlazione politica in America Latina e nei Caraibi, che possa rimettere in carreggiata i processi di integrazione, dare forza alla voce regionale e mitigare il duro impatto che sui settori popolari sta avendo la crisi economia internazionale crisi e le politiche di esclusione applicate dai governi di destra nella regione.

L’abilità e la volontà politica saranno decisive nel corso degli eventi. La leadership di Lula, López Obrador, Fernández e Petro, insieme alla forza dei governi dell’ALBA, possono fare la differenza.

(Originariamente pubblicato su Al Mayadeen)


América Latina entre la esperanza y los peligros 

Por: Randy Alonso Falcón

 

La multitudinaria y emotiva toma de posesión de Luiz Inacio Lula Da Silva en Brasil, el primer día del año, y el anuncio en Colombia del inicio del alto al fuego con cinco organizaciones armadas en ese país son las noticias que iluminan de esperanza el inicio del año en América Latina y el Caribe. 

Lula asume por tercera vez la presidencia de un Brasil duramente aislado y golpeado por los años de Bolsonaro. El otrora líder sindical dirige ahora un país muy diferente al que recibió en 2003, en su primera presidencia: debilitado económicamente por la inflación y la deuda, con un crecimiento exponencial de la pobreza y las inequidades, extremamente polarizado y con un Congreso derechizado, con mucha influencia del bolsonarismo. 

“Es necesario que las personas sepan cómo encontramos a este país. Vaciaron los recursos de la salud, desmantelaron la educación y la cultura. Destruyeron el medio ambiente. No dejaron recursos. Desorganizaron la gobernabilidad de la economía, del financiamiento público, el apoyo a las empresas y emprendedores. Dilapidaron a las estatales y bancos públicos. Entregaron el patrimonio nacional. Dejaron un desastre presupuestario”, aseguró en su discurso en la ceremonia de asunción presidencial. 

Para Colombia, duramente golpeada por décadas de conflictos, el paso dado para iniciar 2023 es muy significativo. “Hemos acordado un cese bilateral con el ELN, la Segunda Marquetalia, el Estado Mayor Central, las AGC y las Autodefensas de la Sierra Nevada desde el 1 de enero hasta el 30 de junio de 2023, prorrogable según los avances en las negociaciones”, escribió el presidente Gustavo Petro en un tuit. “La paz total será una realidad”, prometió el mandatario. 

“Este es un acto audaz. El cese bilateral de fuego obliga a las organizaciones armadas y al Estado a respetarlo. Habrá un mecanismo de verificación nacional e internacional”, agregó el presidente en otra publicación. 

Son dos testimonios de lo que la izquierda política y el progresismo le pueden aportar de cambio a una Latinoamérica que vivió en los útimos años un periodo de restauración neoliberal de la mano de gobiernos derechistas al estilo de Macri, Bolsonaro y Duque. 

Con la asunción de Lula se completa un ciclo electoral que ha permitido la llegada o la reafirmación de gobiernos progresistas en México, Bolivia, Chile, Nicaragua, Colombia, Perú, Honduras y Brasil. Cada uno de ellos con sus propias características y diferente radicalidad, pero todos con la proyección de una mayor justicia social y una vocación integradora. 

A ellos se unen los gobiernos de Cuba y Venezuela, cuyos procesos políticos se mantienen contra viento y marea, pese a las enormes presiones de Washington. 

Así, las principales economías de Latinoamérica están gobernadas por partidos de izquierda, lo que fortalece la posibilidad de una mayor integración regional y de plantearse esfuerzos conjuntos para enfrentar la difícil situación económica internacional y los infaltables planes hegemónicos de EE.UU. en la región. Esos son los dos principales problemas a enfrentar en este renacer del progresismo latinoamericano. 

La nueva ola progresista sobreviene en medio de un contexto económico que atenta contra la gobernabilidad y la extensión de los programas sociales. Un escenario internacional incierto con una combinación de factores que incluye desaceleración económica, inflación, volatilidad financiera y menor flujo de capital, ha ralentizado el crecimiento de América Latina y el Caribe en 2022 y profundizará aún más esa tendencia a la baja en 2023, predijo recientemente la Comisión Económica Para América Latina y el Caribe.

En su nuevo informe Balance preliminar de las Economías de América Latina y el Caribe, la CEPAL dijo que la región crecerá un 3,7 por ciento en 2022, casi la mitad del 6,7 por ciento registrado en 2021; y sólo un 1,3 por ciento el año próximo. 

De concretarse las perspectivas previstas para el año próximo, se trataría de la segunda década perdida desde los años 50, con un magro crecimiento regional del 0,9 por ciento desde 2014. En la llamada “década de la crisis de la deuda”, en los años 80, la economía avanzó un dos por ciento. Ese era hasta ahora el menor desempeño desde 1951. 

En esas circunstancias, serán menores los recursos para solventar los programas sociales que requieren estas naciones y que se han propuesto los gobiernos que llegaron al poder con agendas de bienestar popular 

Otro peligro concreto para los gobiernos progresistas es que en algunos casos como en el propio Brasil, Perú o Chile, los parlamentos están dominados por la derecha que busca obstaculizar los planes gubernamentales y sabotea las propuestas que impliquen un cambio significativo del statuos quo de dominio del capital. 

El rechazo a la nueva Constitución en Chile, la defenestración como Presidente de Castillo en Perú y la manipulada condena judicial contra Cristina Fernández son muestras del poder que conservan las fuerzas conservadoras en la región. 

Las pretensiones de reforzar los procesos integracionistas, como puede propiciar el nuevo escenario regional, enfrentan el desafío de los propósitos de dominación estadounidenses, claramente establecidos en la Estratagia de Seguridad Nacional de la administración Biden. 

La estrategia afirma que ninguna región impacta más directamente a Estados Unidos que el hemisferio occidental y establece que Estados Unidos continuará construyendo “seguridad regional” al apoyar esfuerzos para enfrentar tanto amenazas domésticas como las del crimen organizado, y las externas provenientes de “actores malignos” que buscan establecer presencia militar o de inteligencia en la región, en clara referencia a China y Rusia. 

China es hoy el principal socio comercial de varias economías latinoamericanas y tiene una alianza con CELAC que ha sido profundizada en los ultimos años. 

A ello se une el papel desempeñado por la OEA, bajo el mandato de Washington, para dividir a la región y sabotear los procesos populares en varios países. 

Más allá de esas amenazas, no hay dudas que hay una correlación política esperanzadora en América Latina y el Caribe, que puede volver a encarrilar los procesos integradores, darle fortaleza a la voz regional y atenuar el duro impacto que en los sectores populares está teniendo la crisis económica internacional y las políticas excluyentes que aplicaron los gobiernos de derecha en la región. 

La habilidad y la voluntad política serán decisivas en el curso de los acontecimientos. El liderazgo de Lula, López Obrador, Fernández y Petro, junto a la fortaleza de los gobiernos del ALBA pueden marcar la diferencia. 

(Publicado originalmente en Al Mayadeen)

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