Chiarendo dubbi sull’economia venezuelana

misionverdad.com

Il boom dell’attività economica in Venezuela, negli ultimi tempi, che si esprime nell’apertura di vari tipi di attività commerciali insieme a una maggiore circolazione di denaro nelle principali città del paese, riflette che l’economia nazionale è uscita dal pantano della recessione e inflazione che hanno caratterizzato l’ultimo lustro.

RIPRESA, TRA CONSENSO E CONFUSIONE

 

La parziale, progressiva ripresa dell’economia venezuelana, con una propria dinamica di avanzamenti e arretramenti nell’onda breve della sua evoluzione, è un dato indiscutibile, tanto che il dibattito sociale e politico sulla questione economica si svolge su un piano minimo di consenso su quanto resta da fare affinché questa ripresa si consolidi nel tempo e riesca a coprire il tema più complicato della situazione: salari e stipendi, soprattutto quelli della pubblica amministrazione.

In sintesi, la percezione generalizzata è che il Paese si trovi in ​​condizioni economiche migliori rispetto agli anni precedenti, una valutazione sostenuta da consumi familiari meno ristretti e da una crescente offerta di beni e servizi nei locali commerciali.

La ripresa economica non solo sta avvenendo a livello materiale ma anche nel cognitivo. Il quadro per la comprensione di questo fenomeno ha un’importanza equivalente alle cifre reali, e una dimostrazione di ciò sono i qualificativi di “Venezuela si sta aggiustando” o “Venezuela Premium”, proiettati come cornici semantiche per valutare la situazione attuale e schierarsi, o per ottimismo o per incredulità.

La nuova realtà economica del paese, poiché ha proprio questa caratteristica di novità, è accompagnata da confusione, alcune politicamente motivate -dagli interessati all’esistenza di un deficit di fiducia nelle politiche macroeconomiche attuate dal governo del presidente Nicolás Maduro-, altre frutto di una debolezza esplicativa nel tentativo di armonizzare teoria e realtà, stime e vita quotidiana, benefici conseguiti e loro portata.

Gran parte della confusione al riguardo è causata dallo scontro tra ciò che mostrano le cifre (che senza una corretta interpretazione restano numeri senza sostanza) e ciò che la gente, a seconda del posto che occupa all’interno della piramide del reddito, della ricchezza e dell’ingresso, estrae dalla vita reale sotto forma di significati e modi di rappresentare la realtà.

L’inesistenza di un solido ponte esplicativo tra i dati di crescita e ripresa presentati da imprese private, organismi multilaterali e lo stesso governo venezuelano e ciò che la società sperimenta materialmente ha, a sua volta, implicazioni politiche immediate.

Una di queste è l’apprezzamento che la crescita economica è distribuita in modo diseguale o che, pur avendo le risorse per effettuare un’equa distribuzione della ricchezza, questa una supposizione di correlazione diretta estratta dal movimento economico nelle strade, il governo resiste a un aumento generalizzato di salari e stipendi che renda degna la vita dei lavoratori pubblici.

Quando si affrontano altri temi essenziali, come la qualità dei servizi pubblici, del sistema sanitario o scolastico, o la manutenzione delle infrastrutture, la deduzione più o meno generalizzata va verso la stessa indicazione.

Le implicazioni politiche e narrative vanno persino oltre. L’espansione di locali commerciali dedicati alla vendita di prodotti di lusso, la mobilità sociale e consumistica di una classe medio-alta rafforzata economicamente, provoca che le sanzioni illegali, cioè lo stato ancora vigente di un’economia bloccata e vessata perda il suo potere esplicativo per situare l’origine del crollo economico degli ultimi anni, e per rendere conto di come queste misure di pressione continuino ad essere il fattore catalizzatore dello stretto margine di manovra per ricostruire salari e servizi pubblici.

LA PARTICOLARITA’ STORICA

 

Un buon punto di partenza per contribuire ad una interpretazione realistica dell’attuale quadro economico sono i dati presentati dal presidente Maduro nella Memoria y Cuenta all’Assemblea Nazionale dello scorso gennaio.

Da lì, è possibile separare l’importante dall’accessorio, dando a ciascuna variabile il suo giusto posto e la sua giusta dimensione, al fine di comprendere perché, ad esempio, gli stipendi della pubblica amministrazione rimangono stagnanti, mentre altri fattori dell’economia mostrano una ripresa in ascesa e dinamismo, anche quando il blocco eserciti un peso oggettivo sull’andamento del Paese e sulle sue prospettive di sviluppo complessivo a medio e lungo termine.

A causa della matrice mineraria-esportativa dell’economia venezuelana, della secolare dipendenza dai petrodollari ad essa associata, la convenzione liberale non ha mostrato la sufficiente elasticità teorica quando si tratta di spiegare il comportamento di un corpo economico come il venezuelano, legato alla rendita e ai cambiamenti ciclici, sempre bruschi, del mercato petrolifero internazionale.

Una dimostrazione della fragilità teorica del liberalismo è stata la nevrosi accusatoria sullo “statalismo” venezuelano e l’uso di altri vocaboli dello stesso repertorio che non si applicano ad un paese dove lo Stato e il mercato non hanno avuto una traiettoria armoniosa e lineare, come di solito è pubblicizzata, a mò di mito, nei paesi del Nord Globale.

La precisazione in tal senso è opportuna per filtrare analiticamente gli indicatori sull’economia venezuelana, che vanno visti attraverso il prisma dell’economia politica, cioè con uno sguardo posto ai fattori di potere sui quali si organizza la produzione, distribuzione e reddito, nel mezzo di una dinamica di scontro e contraddizione permanente dove si regola l’accesso al reddito, e non per la “mano invisibile del mercato”.

CIO’ CHE SPIEGANO LE CIFRE

 

Secondo le cifre presentate dal presidente Maduro, l’economia venezuelana ha registrato una crescita, lo scorso anno, di circa il 15%. Ciò, sostanzialmente, si riferisce alla crescita del PIL, cioè all’insieme di beni e servizi prodotti nel Paese. Si tratta di una variabile che aggrega diversi settori di attività economica (quello petrolifero, industriale, commerciale, ecc.), che riflette la crescita della produzione di beni e servizi, concretizzatasi nel boom commerciale e produttivo degli ultimi anni.

La cifra della crescita economica ha un carattere generale che esprime il movimento positivo dell’economia, centrata sull’attività privata (commerciale o industriale), per cui non va valutato come un fondo monetario fisico di per sé che il governo può disporre direttamente in termini di spesa pubblica. È una stima generale che indica lo stato attuale dell’economia.

La crescita dell’economia, invece, influenza le variabili dell’occupazione, del reddito familiare e dei consumi, nella misura in cui una maggiore attività economica e commerciale accresce l’offerta di lavoro, alloca nuove risorse al salario (che nel settore privato è andato lentamente riprendendosi) e crea una dinamica di feedback tra offerta di beni e servizi e consumo.

Qui è importante evidenziare il ruolo delle rimesse nella riattivazione dei consumi della popolazione attraverso canali esterni al mercato del lavoro nazionale.

In definitiva, l’indicatore di crescita economica esprime che la strategia del governo volta a favorire la circolazione dei capitali e i flussi di investimento, come via alternativa di riattivazione economica alternativa di fronte al calo delle entrate petrolifere causato dal blocco, è risultata efficace per dinamizzare l’apparato economico e alleviare il malessere sociale del Paese offrendo una via di ripresa sostenuta nel tempo.

Sebbene la variabile PIL e gli ingressi del settore pubblico siano correlati, l’impatto non è direttamente proporzionale. Ciò significa che, sebbene l’economia sia in crescita, la pressione economica delle sanzioni illegali, ancora in vigore, incide negativamente nell’orizzonte di una ripresa equivalente. In altre parole, il fatto che l’economia  cresca non implica che, direttamente, lo Stato abbia definitivamente aggirato la forte restrizione esterna che grava su di esso in termini di ingressi.

Questo è ciò che spiega la coesistenza di un vasto universo di esercizi commerciali con salari depressi all’interno della pubblica amministrazione e un’inflazione che continua a generare incertezza.

Lo Stato venezuelano ha negli ingressi dalle esportazioni petrolifere e tasse interne i suoi due grandi canali di finanziamento, con i quali mantiene il libro paga della pubblica amministrazione, i sussidi ai servizi pubblici e altre spese correnti che corrispondono al settore pubblico. Prima del blocco, come è noto, i crescenti proventi delle rendite petrolifere avevano consentito di finanziare la spesa pubblica, drenare dollari a tasso agevolato per finanziare importazioni che incidevano sui consumi finali e gli investimenti in infrastrutture e servizi.

Il blocco economico imposto contro il Paese, dal 2014, ha troncato questo canale di ingresso, portandolo a limiti quasi distopici di ingressi a 700 milioni di $ nel 2020. Il taglio alla rendita petrolifera ha avuto un impatto distruttivo e generalizzato sull’intero funzionamento dell’economia: senza dollari sufficienti , è diventato insostenibile il flusso delle importazioni, la stabilizzazione del tasso di cambio e della produttività, provocando carenze, inflazione, riduzione dei salari e depressione dell’attività economica.

Di fronte a questo scenario, il governo ha attuato una strategia volta ad ossigenare l’economia dal settore privato, creando condizioni vantaggiose affinché immettessero  le loro riserve di valuta estera nel Paese sotto forma di importazioni, investimenti commerciali e servizi, condizionando l’evoluzione di questo movimento verso un obiettivo più alto di preservazione della stabilità politica e del riconoscimento politico della presidenza Maduro.

Nel 2022 le importazioni sono cresciute del 106%, finanziate in larga misura dal settore privato, dato che, di fatto, implica che la strategia del governo sia riuscita, da un lato, a sopprimere la dipendenza dai petrodollari dello Stato nel funzionamento economico del Paese e, dall’altro, aprire spazi per un’accumulazione economica interna che si autofinanzi.

Nonostante la graduale ripresa della produzione petrolifera e delle esportazioni, rivalorizzate dal conflitto geopolitico in Ucraina, abbia portato a una ricomposizione degli introiti (nel 2022 la PDVSA ha erogato alla repubblica 4578 milioni di $), risulta ancora insufficiente a finanziare gli stanziamenti lavorativi, dei servizi pubblici e investimenti in infrastrutture di proprietà dello Stato.

Anche la base di riscossione interna dello Stato attraverso le imposte è stata favorita dalla crescita raggiungendo, nel 2022, una base di 4744 milioni di $. Una stima prudente delle dimensioni del libro paga statale e delle entrate correnti, fornita dall’economista dell’opposizione José Guerra, indica che per aumentare gli stipendi della pubblica amministrazione a 100 $, ci vorrebbero circa 7 miliardi di $ l’anno per poterli finanziare.

La matematica dei dati esposti è cruda, poiché tutte le entrate dello Stato sarebbero al limite con la proposta, escludendo sussidi, investimenti nei servizi pubblici e altre spese correnti dello Stato, oltre alle riserve che la Banca Centrale del Venezuela deve avere disponibile per iniettare valuta estera ai tavoli di cambio come risorsa di emergenza per contenere l’inflazione, che provengono direttamente dai proventi dell’esportazione petrolifara.

L’impegno a rafforzare la crescita economica si basa sul calcolo che, nel medio termine, una maggiore riscossione fiscale consentirà di ottenere le risorse necessarie, senza esercitare pressioni eccessive sull’ascesa dell’attività commerciale per sostenerne l’espansione, con le quali finanziare un aumento dei salari sostenibile nel tempo (unitamente alla stabilità del cambio) e intraprendere investimenti urgenti nei servizi pubblici.

A questo si aggiungono gli avanzamenti nel Tavolo di Dialogo e Negoziazione in Messico in vista di disporre di risorse fresche (ricordiamo i 3 miliardi di $ non ancora sbloccati, come concordato da entrambe le parti alla fine dello scorso anno) che consentano di disporre di fondi per consolidare la ripresa economica sono fondamentali per la ripresa, soprattutto in ambito sociale e nel settore delle infrastrutture. Parimenti, una maggiore flessibilità delle “sanzioni”, impegno fondamentale del presidente Maduro, consentirebbe che anche le entrate petrolifere si rafforzino in vista di finanziare una ricomposizione del benessere dei lavoratori.

Senza questi elementi, la comprensione del momento economico, di quanto ottenuto finora, che va preservato, ma anche degli ostacoli che persistono e limitano una completa inversione di tendenza della situazione salariale, viene distorta, dando luogo a una lettura errata della realtà economica e della strategia a lungo termine attuata dal governo venezuelano per forzare il suo ritorno a una soddisfacente  normalità per le maggioranze.


DESPEJANDO DUDAS SOBRE LA ECONOMÍA VENEZOLANA

El auge de la actividad económica en Venezuela en el último tiempo, que se expresa en la apertura de establecimientos comerciales de diverso tipo a la par de una mayor circulación de dinero en las principales ciudades del país, refleja que la economía nacional salió del atolladero de recesión e inflación que caracterizó el último lustro.


RECUPERACIÓN, ENTRE EL CONSENSO Y LA CONFUSIÓN

La recuperación parcial, progresiva, de la economía venezolana, con su dinámica propia de avances y retrocesos en la onda corta de su evolución, es un hecho incontestable, a tal punto que el debate social y político en torno al tema económico ocurre sobre un piso mínimo de consenso sobre lo que falta por hacer para que esa recuperación se consolide en el tiempo y consiga abarcar el asunto más complicado de la coyuntura: los sueldos y salarios, especialmente los de la administración pública.

En resumen, la percepción generalizada es que el país está en mejores condiciones económicas que en años anteriores, una apreciación sustentada en un consumo familiar menos restringido y en una oferta creciente de bienes y servicios en locales comerciales.

La recuperación económica no solo se desarrolla en el plano material sino también en el cognitivo. El marco de comprensión de este fenómeno tiene una importancia equivalente a las cifras reales, y una muestra de ello son los calificativos de “Venezuela se está arreglando” o “la Venezuela Premium”, proyectados como encuadres semánticos para evaluar la coyuntura actual y tomar partido, bien sea por el optimismo o el descreimiento.

La nueva realidad económica del país, por tener precisamente esa característica de novedad, viene aparejada de confusiones, unas motivadas políticamente -por los interesados en que exista un déficit de confianza en las políticas macroeconómicas implementadas por el gobierno del presidente Nicolás Maduro-, otras producto de una debilidad explicativa cuando se intenta armonizar teoría y realidad, estimaciones y vida cotidiana, beneficios conquistados y el alcance de los mismos.

Buena parte de la confusión en este sentido está originada por el choque entre lo que exponen las cifras (que sin una debida interpretación quedan como números sin sustancia) y lo que la gente, según el lugar que ocupe dentro de la pirámide de renta, riqueza e ingreso, extrae de la vida real a modo de significados y modos de representar la realidad.

La inexistencia de un puente explicativo sólido entre las cifras de crecimiento y recuperación expuestas por firmas privadas, organismos multilaterales y el propio gobierno venezolano y lo que la sociedad experimenta materialmente tiene, a su vez, implicaciones políticas inmediatas.

Una de ellas es la apreciación de que el crecimiento económico se distribuye desigualmente, o que, aún teniendo los recursos para llevar a cabo una repartición igualitaria de la riqueza, esta una suposición de correlación directa extraída del movimiento económico en las calles, el gobierno se resiste a un aumento generalizado de sueldos y salarios que dignifique la vida de los trabajadores públicos.

Cuando se abordan otros temas esenciales como la calidad de los servicios públicos, del sistema de salud o educativo ,o el mantenimiento de infraestructuras, la deducción más o menos generalizada va dirigida hacia el mismo señalamiento.

Las implicaciones políticas y narrativas van incluso más allá. La expansión de locales comerciales dedicados a la venta de productos de lujo, la movilidad social y de consumo de una clase media-alta empoderada económicamente, provoca que las sanciones ilegales, es decir, el estado aún vigente de una economía bloqueada y acosada, pierda su poder explicativo para situar el origen del desplome económico de los últimos años, y para dar cuenta de cómo estas medidas de presión siguen siendo el factor catalizador del estrecho margen de maniobra para recomponer los salarios y los servicios públicos.

LA PARTICULARIDAD HISTÓRICA

Un buen punto de partida para contribuir a una interpretación realista del cuadro económico actual son las cifras expuestas por el presidente Maduro en la Memoria y Cuenta ante la Asamblea Nacional el pasado mes de enero.

Desde allí es posible separar lo importante de lo accesorio, otorgándole a cada variable su justo lugar y su justa dimensión, con el fin de comprender por qué, por ejemplo, los salarios de la administración pública siguen estancados, mientras los demás factores de la economía muestran una recuperación en ascenso y dinamismo, aun cuando el bloqueo ejerce un peso objetivo en el desempeño del país y en sus perspectivas de desarrollo integral en el mediano y largo plazo.

Por la matriz minero-exportadora de la economía venezolana, la secular dependencia de los petrodólares asociado a ella, la convención liberal no ha mostrado la suficiente elasticidad teórica a la hora de explicar el comportamiento de un cuerpo económico como el venezolano, atado al rentismo y a los cambios cíclicos, siempre abruptos, del mercado petrolero internacional.

Una demostración de la fragilidad teórica del liberalismo ha sido la neurosis acusatoria sobre el “estatismo” venezolano y el uso de otros vocablos del mismo repertorio que no aplican en un país donde Estado y mercado no han tenido una trayectoria armónica y lineal, como suele ser promocionada, a modo de mito, en los países del Norte Global.

La aclaración en este sentido viene a cuento para filtrar analíticamente los indicadores sobre la economía venezolana, los cuales deben ser vistos bajo el prisma de la economía política, es decir, con la mirada puesta en los factores de poder sobre los cuales se organiza la producción, la distribución y el ingreso, en medio de una dinámica de choque y contradicción permanente donde se dirime el acceso a la renta, y no en la “mano invisible del mercado”.

LO QUE EXPLICAN LAS CIFRAS

Acorde a las cifras presentadas por el presidente Maduro, la economía venezolana registró un crecimiento el año pasado de 15% aproximadamente. Esto, básicamente, se refiere al crecimiento del PIB, es decir, al conjunto de bienes y servicios que se producen en el país. Se trata de una variable que agrega distintos sectores de actividad económica (el petrolero, industrial, comercial, etc.), la cual refleja el crecimiento de la producción de bienes y servicios, materializado en el auge comercial y productivo de los últimos años.

La cifra del crecimiento económico tiene un carácter general que expresa el movimiento positivo de la economía, con centro en la actividad privada (comercial o industrial), por lo cual no debe ser evaluado como un fondo de dinero físico per se del cual puede disponer el gobierno para su uso directo en términos de gasto público. Es una estimación general que indica el estado actual de la economía.

El crecimiento de la economía, por otro lado, influye en las variables de empleo, ingreso familiar y consumo, en la medida en que una mayor actividad económica y comercial eleva la oferta laboral, asigna nuevos recursos al salario (que en el sector privado ha ido recuperándose lentamente) y crea una dinámica de retroalimentación entre oferta de bienes y servicios y consumo.

Aquí es importante destacar el papel de las remesas en la reactivación del consumo de la población por vías externas al mercado de trabajo nacional.

En definitiva, el indicador de crecimiento económico expresa que la estrategia del gobierno dirigida a fomentar la circulación de capitales y flujos de inversión, como una vía alternativa de reactivación económica alternativa frente al declive del ingreso petrolero originado por el bloqueo, ha resultado efectiva para dinamizar el aparato económico y aliviar el malestar social del país ofreciendo una ruta de recuperación sostenida en el tiempo.

Aunque la variable PIB y los ingresos del sector público están correlacionados, el impacto no es directamente proporcional. Esto quiere decir que, si bien la economía crece, la presión económica de las sanciones ilegales aún vigentes impacta negativamente en el horizonte de una recuperación equivalente. Es decir, que la economía crezca no implica que, directamente, el Estado haya sorteado definitivamente la fuerte restricción externa que pesa sobre éste en términos de ingresos.

Esto es lo que explica la coexistencia de un amplio universo de establecimientos comerciales con salarios deprimidos dentro de la administración pública y una inflación que sigue generando incertidumbre.

El Estado venezolano tiene en los ingresos por exportación petrolera e impuestos internos sus dos grandes canales de financiamiento, con las cuales sostiene la nómina de la administración pública, los subsidios a los servicios públicos y otros gastos corrientes que corresponden al sector público. Antes del bloqueo, como es sabido, los ingresos por renta petrolera en ascenso habían permitido financiar el gasto público, drenar dólares a tasa subsidiada para financiar importaciones que impactaron en el consumo final y la inversión en infraestructura y servicios.

El bloqueo económico impuesto contra el país desde 2014 trancó este canal de ingreso, llevándolo a límites casi distópicos de ingresos a 700 millones de dólares en el año 2020. El corte a la renta petrolera tuvo un impacto destructivo y generalizado sobre todo el funcionamiento de la economía: sin dólares suficientes se hizo insostenible el flujo de importaciones, la estabilización del tipo de cambio y la productividad, ocasionando desabastecimiento, inflación, merma de salarios y depresión de la actividad económica.

Frente a ese escenario, el gobierno implementó una estrategia orientada a oxigenar la economía desde el sector privado, creando condiciones de rentabilidad para que inyectaran sus reservas de divisas en el país en forma de importaciones, inversión comercial y de servicios, condicionando la evolución de este movimiento a un objetivo superior de preservación de la estabilidad política y el reconocimiento político de la presidencia de Maduro.

En 2022, las importaciones crecieron en 106%, financiadas en buena medida por el sector privado, un dato que, de facto, implica que la estrategia gubernamental ha logrado, por un lado, suprimir la dependencia de los petrodólares del Estado en el funcionamiento económico del país y, por otro, abrir espacios para una acumulación económica interna que se financie a sí misma.

Aunque la recuperación paulatina de la producción petrolera y de las exportaciones, revalorizadas por el conflicto geopolítico en Ucrania, ha supuesto un recomposición de los ingresos (en 2022, PDVSA entregó a la república 4 mil 578 millones de dólares), todavía resulta insuficiente para financiar los compromisos laborales, de servicios públicos e inversión en infraestructura que posee el Estado.

La base de recaudación interna del Estado a través de impuestos también se ha visto favorecida por crecimiento, llegando, en 2022, a una base de 4 mil 744 millones de dólares. Un cálculo conservador sobre el tamaño de la nómina estatal y los ingresos actuales, proveído por el economista opositor José Guerra, indica que, para subir los sueldos de la administración pública a 100 dólares, se necesitarían alrededor de 7 mil millones de dólares al año para poder financiarlos.

La matemática de los datos expuestos es cruda, ya que todos los ingresos del Estado estarían al límite con la propuesta, dejando por fuera subsidios, inversión en servicios públicos y otros gastos corrientes del Estado, además de las reservas que debe tener disponible el Banco Central de Venezuela para inyectar divisas a las mesas de cambio como recurso de urgencia para la contención de la inflación, que provienen directamente de los ingresos por exportación petrolera.

La apuesta a fortalecer el crecimiento económico está basada en el cálculo de que, a mediano plazo, una mayor recaudación tributaria permitirá obtener los recursos necesarios, sin presionar demasiado el auge de la actividad comercial para sostener su expansión, con los cuales financiar un aumento de los salarios sostenible en el tiempo (combinándolo con estabilidad del tipo de cambio) y acometer inversiones urgentes en los servicios públicos.

Aunado a esto, los avances en la Mesa de Diálogo y Negociación en México con miras a disponer de recursos frescos (recordar los 3 mil millones de dólares que aún no se liberan, según lo acordado por ambas partes a finales del año pasado) que permitan contar con fondos para consolidar la recuperación económica son fundamentales para la recuperación, sobre todo en el ámbito social y en el sector infraestructural. Asimismo, una mayor flexibilización de las “sanciones”, la apuesta fundamental del presidente Maduro, permitiría que los ingresos petroleros también se fortalezcan con miras a financiar una recomposición del bienestar de los trabajadores.

Sin estos elementos, la comprensión del momento económico, de lo logrado hasta ahora, que debe ser preservado, pero también de los obstáculos que persisten y limitan un giro total de la situación salarial, se distorsiona, dando pie a una equivocada lectura de la realidad económica y de la estrategia de largo aliento implementada por el gobierno venezolano para forzar su regreso a una normalidad satisfactoria para las mayorías.

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