Chi costruisce l’agenda della Piattaforma Unitaria?

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Il rapporto “Venezuela nel 2023 ed oltre: tracciando un percorso diverso”, del Woodrow Wilson International Center for Scholars (Wilson Center), suggerisce un percorso politico affinché la Casa Bianca orienti i partiti e le organizzazioni legate all’opposizione venezuelana. Si tratta di un documento che ha l’avallo di altri 19 analisti e ricercatori del think-tank USA inserito nel circuito di interessi che promuovono e finanziano il cambio di regime in vari Paesi del mondo, compreso il Venezuela.

Abbiamo precedentemente pubblicato in questo forum un’analisi dettagliata della prima parte di detto rapporto, con la consapevolezza che la strategia della “massima pressione” e l’etichetta “progetto Guaidó” hanno costretto la Casa Bianca a correggere la sua tabella di marcia sul Venezuela.

In questo senso, il Wilson Center ha formulato alcune raccomandazioni all’amministrazione di Joe Biden per riorganizzare la sua posizione e linea d’azione davanti al governo del presidente Nicolás Maduro, direttrici che sembra essere applicate a causa dei documenti esistenti in termini di movimenti finanziari delle principali agenzie delle ONG statunitensi, nuovi portavoce nazionali e regionali che esprimono la loro opinione sulla realtà venezuelana e, inoltre, un incoraggiamento a continuare nel Tavolo di Dialogo e Negoziazione (MDN) installato in Messico che prima non esisteva nel discorso statunitense, anche se con un obiettivo di fondo che non può descriversi come sorprendente.

IL TAVOLO DI DIALOGO COME STRUMENTO PER LA “TRANSIZIONE”

 

La parte finale del rapporto pubblicato da detto think-tank stabilisce alcune linee guida senza perdere il linguaggio analitico. In primo luogo, esorta il settore dell’antichavismo rappresentato nella Piattaforma Unitaria Democratica (PUD) che partecipa attivamente alla MDN ad “affrontare questo processo con strategie e aspettative realistiche, a sostegno di trattative oneste, rispettose e ardue”, che presenta  quell’istanza di incontro politico e decisionale come un presunto spazio opportuno per risolvere il conflitto che gli USA hanno imposto e sostengono contro l’intera repubblica.

Incoraggia inoltre “a continuare a partecipare al processo negoziale e a non lasciare che deragli per la miopia o l’ambizione personale”. Infatti, nel rapporto si sostiene che, fino ad ora, l’amministrazione Biden si è mostrata reticente a spiegare in dettaglio la sua politica sul Venezuela. Tuttavia, definisce “controproducente” l’approccio della “massima pressione”. Questo è stato implementato dal governo Donald Trump, ma applicato con minore intensità dall’amministrazione Biden.

Gli autori concepiscono la MDN come un mezzo per la cosiddetta “transizione”, pur riconoscendo che il governo venezuelano ha dei vantaggi che gli permetterebbero mantenere il dialogo. Si riferiscono sia alla “modesta” ripresa dell’economia sia al “controllo del territorio nazionale e di tutti i programmi e istituzioni governative”. Ciò è traducibile nel fatto che lo spazio politico di negoziazione in Messico non è un fine in se stesso bensì uno strumento per il nuovo percorso che cerca un cambio di regime, in linea con quanto affermato nell’articolo precedente: “A Washington c’è una discussione di metodo e formato sulla strategia sul Venezuela, e non un cambio di paradigma nelle relazioni”.

Uno degli accordi raggiunti nel MDN è stato l’esborso di 3 miliardi di $ per far fronte alle carenze della sanità e dell’istruzione, recuperare la carente rete elettrica e far fronte all’emergenza generata dalle piogge che hanno causato le inondazioni nell’ultimo trimestre del 2022. A tre mesi dal detto accordo, l’accesso della popolazione venezuelana a queste risorse non si è concretizzato, mentre i media “indipendenti” e le ONG alimentano le proteste di diverse corporazioni contro la carenza di risorse per salari e infrastrutture di base dei servizi pubblici.

L’amministrazione di tali risorse sarebbe a carico dell’ONU e non direttamente dello Stato venezuelano. Tuttavia, la elusiva gestione del PUD per esercitare pressione sulle istituzioni che detengono il denaro in entità bancarie all’interno del circuito finanziario USA ed europeo è stata carente e lenta. L’opposizione riunita in tale istanza ha addotto ragioni procedurali per il ritardo finanziario, anche quando le misure coercitive che hanno creato il quadro giuridico per il congelamento dei beni venezuelani all’estero hanno una chiara sfumatura politica.

La gestione deve essere politica; tutto sembra indicare che gli  USA ed i suoi accoliti di nazionalità venezuelana potrebbero star cercando di guadagnare tempo e dilatare gli spazi tra un negoziato e l’altro mentre si va calibrando la strategia USA per una presunta “transizione” nel Paese.

ONG: UN BINARIO PER IL PERCORSO ELETTORALE?

 

Il Wilson Center raccomanda inoltre che Washington e al PUD “accettare le date delle elezioni e devono onorare tale accordo”. Il processo elettorale che si svolgerà nel 2024, come previsto dalla Costituzione, rappresenterebbe un punto di svolta per gli USA e per il settore politico che ne attua le linee guida sul territorio nazionale.

Il riscaldamento di questo scenario di “elezioni libere ed giuste che potrebbero benissimo portare alla fine del governo Maduro” è iniziato con la diffusione di sondaggi che posizionano i precandidati alle primarie (se si debbano farle, punto di discussione in questo momento all’interno delle opposizioni) e con l’accentuazione delle proteste corporative contro gli effetti che le misure coercitive unilaterali provocano sull’economia nazionale, sebbene tali derivazioni non siano riconosciute dal portavoce antichavista (il mancato riconoscimento delle conseguenze negative e persino fatali delle “sanzioni”: il blocco).

In questo senso, il rafforzamento delle ONG per rimettere a galla la base politica di opposizione appare come un’opzione di fronte al deterioramento della percezione pubblica dei partiti di opposizione. La perdita di radicamento nell’elettorato antichavista è una delle dimensioni più gravi della crisi dell’opposizione, soprattutto perché sono direttamente collegate agli scandali di corruzione che hanno accelerato il declino del “progetto Guaidó” e, inoltre, perché quegli stessi attori hanno esaurito “tutte le forme di lotta” sino allo sfinimento  provocando un esaurimento che si è installato come clima politico nella base della popolazione che sosteneva gli sforzi di “cambio di regime” in Venezuela.

Sotto questa correlazione, le ONG si sono affermate come attori che potrebbero nucleare parte della popolazione dell’opposizione non attiva nell’agenda elettorale negli ultimi anni, quella settore di età che è insoddisfatta della gestione della dirigenza MUD che ha deciso di non partecipare allo scenario politico. Tra queste organizzazioni, Foro Cívico si distingue per la sua chiara impronta politica, strettamente associata ai percorsi tipici dell’attivismo partitico.

Come parte dello sforzo di controllo dei danni, pochi giorni dopo che il Wilson Center ha pubblicato il rapporto che commentiamo, il suo presidente e CEO, Mark Green, ha pubblicato una colonna intitolata “In riconoscimento del coraggio di Juan Guaidó”, in cui fa un percorso storico del piano attuato dalla Casa Bianca che aveva come figura visibile l’ex deputato.

Green è stato amministratore dell’Agenzia USA per lo Sviluppo Internazionale (USAID), tra il 2017 e il 2020, e ha svolto un ruolo di primo piano nell’erogazione di risorse a sostegno di quello che il rapporto chiama “l’approccio della massima pressione”.

L’anche ex ambasciatore USA difende “il legato di coraggio personale e politico di Guaidó” descrivendo come Washington abbia collaborato “con il suo governo ad interim e con il resto della coalizione di partiti politici del G4, composta da Acción Democrática, Primero Justicia, Un Nuevo Tiempo e Voluntad Popular”.

Inoltre, insiste nel dimostrare l’uso trasparente dei cosiddetti “aiuti umanitari” e il sostegno ai “difensori dei diritti umani, media indipendenti e alle organizzazioni della società civile all’interno del Venezuela”, spiegando che è stato l’USAID, e non Guaidó, ad amministrare 1,2 miliardi di $ per detti “aiuti”. Il testo non chiarisce se si tratti dei fondi a cui fa riferimento Mike Pompeo nel suo libro ‘Non ho mai ceduto un centimetro’.

Il rapporto esorta il settore dell’opposizione rappresentato nel MDN a ottenere “progressi su temi che probabilmente producano un accordo negoziato che abbia un ampio sostegno in Venezuela”, per cui è possibile che le ONG, più che i partiti, dispieghino tattiche e meccanismi di diffusione politica e propagandistico come “aiuti umanitari ampliati” (sic) che recuperino la fiducia dell’elettorato di opposizione nella sua dirigenza.

E’ nota la sinergia esistente tra le agenzie multilaterali come le Nazioni Unite (ONU) e alcune ONG, per cui un unico fondo fiduciario per ampliare le misure di protezione potrebbe aumentare la consueta capacità di queste organizzazioni di attrarre fondi. Una normativa che favorisca la trasparenza nell’utilizzo di tali fondi potrebbe mettere alla prova l’oleato metabolismo esibito da Green in cui finiscono per essere finanziate le agende dell’opposizione, come è accaduto, da due decenni, con finalità già esposte e note.


¿QUIÉN LE FABRICA LA AGENDA A LA PLATAFORMA UNITARIA?

 

El informe “Venezuela en 2023 y más allá: trazando un rumbo distinto”, del Woodrow Wilson International Center for Scholars (Wilson Center), sugiere una ruta política para que la Casa Blanca oriente a los partidos y organizaciones vinculadas a la oposición venezolana. Se trata de un documento que cuenta con aval de otros 19 analistas e investigadores del think-tank estadounidense imbricado en el circuito de intereses que promueven y financian el cambio de régimen en varios países del mundo, incluida Venezuela.

Anteriormente publicamos en esta tribuna un detallado análisis de la primera parte de dicho informe, en el entendido de que la estrategia de “máxima presión” y el tildado “proyecto Guaidó” ha obligado a la Casa Blanca a corregir su hoja de ruta sobre Venezuela.

En ese sentido, Wilson Center ha hecho algunas recomendaciones a la administración de Joe Biden para reacomodar su posición y vía de acciones ante el gobierno del presidente Nicolás Maduro, directrices que pareciera estar aplicando debido a los registros existentes en términos de movimientos financieros de las principales agencias oenegeras estadounidenses, nuevas vocerías nacionales y regionales que opinan sobre la realidad venezolana y, además, un estímulo a proseguir en la Mesa de Diálogo y Negociación (MDN) instalada en México que antes no existía en el discurso estadounidense, aunque con un objetivo de fondo que no puede adjetivarse de sorpresivo.

LA MESA DE DIÁLOGO COMO INSTRUMENTO PARA LA “TRANSICIÓN”

La parte final del informe emitido por dicho think-tank establece ciertas orientaciones sin perder el lenguaje analítico. En primer lugar, exhorta al sector del antichavismo representado en la Plataforma Unitaria Democrática (PUD) que participa activamente en la MDN a “abordar este proceso con estrategias y expectativas realistas, en apoyo de negociaciones honestas, respetuosas y arduas”, lo que presenta a esa instancia de encuentro político y toma de decisiones como un supuesto espacio oportuno para dirimir el conflicto que Estados Unidos ha impuesto y sostiene contra la república toda.

También alienta a “seguir participando en el proceso de negociación y no dejar que se descarrile por el cortoplacismo o la ambición personal”. De hecho, en el informe sostiene que, hasta ahora, la administración Biden se ha mostrado reticente a explicar en detalle su política sobre Venezuela. Sin embargo llama “contraproducente” al enfoque de “máxima presión”. Este fue instrumentado por el gobierno de Donald Trump, pero aplicado con menor intensidad por la gestión Biden.

Los autores conciben la MDN como un medio para la llamada “transición”, aunque reconocen que el gobierno venezolano posee ventajas que le permitirían mantener el diálogo. Se refieren tanto a la “modesta” recuperación de la economía como al “control del territorio de la nación y todos los programas e instituciones gubernamentales”. Esto es traducible al hecho de que el espacio político de negociación en México no es un fin en sí mismo sino un instrumento para la nueva ruta que busca un cambio de régimen, a tono con lo expuesto en la entrega anterior: “En Washington hay una discusión de método y formato respecto a la estrategia sobre Venezuela, y no un cambio de paradigma en las relaciones”.

Uno de los acuerdos alcanzados en la MDN fue el desembolso de 3 mil millones de dólares para atender las deficiencias en salud y educación, recuperar la deficitaria red eléctrica y atender la emergencia generada por lluvias que provocaron inundaciones en el último trimestre de 2022. A tres meses de dicho acuerdo no se ha materializado el acceso de la población venezolana a esos recursos, mientras los medios “independientes” y ONG atizan protestas por parte de distintos gremios contra la carencia de recursos para salarios e infraestructura básica de los servicios públicos.

La administración de dichos recursos correría por cuenta de la ONU y no directamente por el Estado venezolano. Sin embargo, la esquiva gestión de la PUD para ejercer presión sobre las instituciones que retienen el dinero en entidades bancarias dentro del circuito financiero estadounidense y europeo ha sido deficiente y morosa. La oposición nucleada en esa instancia ha alegado motivos de procedimientos por la demora financiera, aun cuando las medidas coercitivas que crearon el marco jurídico para el congelamiento de activos venezolanos en el extranjero tienen un matiz claramente político.

La gestión debe ser política; todo parecer indicar que Estados Unidos y sus acólitos de nacionalidad venezolana podrían estar buscando ganar tiempo y dilatar los espacios entre una negociación y otra a medida que se va calibrando la estrategia estadounidense para una suspuesta “transición” en el país.

ONG: ¿UN RIEL PARA LA RUTA ELECTORAL?

Wilson Center también recomienda a Washington y a la PUD “acordar las fechas de las elecciones y deben cumplir ese acuerdo “. El proceso electoral que se realizará en 2024, como lo estipula la Constitución, sería un punto de inflexión para Estados Unidos y para el sector político que instrumenta sus lineamientos en el territorio nacional.

El calentamiento de ese escenario de “elecciones libres y justas que muy bien podrían conducir al fin del gobierno de Maduro” ha comenzado con la difusión de encuestas que posicionan a los precandidatos a las primarias (si ha de haberlas, un punto de discusión en este momento dentro de las oposiciones) y con la acentuación de protestas gremiales contra los efectos que las medidas coercitivas unilaterales causan sobre la economía nacional, si bien dichas derivaciones no son reconocidas por parte de la vocería antichavista (el no reconocimiento de las consecuencias negativas y hasta fatales de las “sanciones”: el bloqueo).

En ese sentido, el fortalecimiento de las ONG para reflotar la base política opositora aparece como opción frente al deterioro de la percepción pública de los partidos de las oposiciones. La pérdida de arraigo entre el electorado antichavista es una de las dimensiones más graves de la crisis opositora, particularmente porque son asociados directamente con los escándalos de corrupción que aceleraron el declive del “proyecto Guaidó” y, además, porque esos mismos actores agotaron “todas las formas de lucha” hasta el cansancio, provocando un agotamiento que se instaló como clima político en la base de la población que apoyaba los esfuerzos de “cambio de régimen” en Venezuela.

Bajo esta correlación, las ONG se han erigido como actores que pudieran nuclear parte de la población opositora no activa en la agenda electoral durante los últimos años, ese sector etario descontento de la gestión de la dirigencia MUD et al que ha decidido no participar en el escenario político. Entre estas organizaciones, Foro Cívico destaca por su clara impronta política, muy asociada a las vías de activismo típicas de partidos.

Como parte de la gestión en control de daños, a pocos días de que el Wilson Center emitiera el comentado informe, su presidente y CEO, Mark Green, publicó una columna titulada “En reconocimiento a la valentía de Juan Guaidó”, en la que hace un recorrido histórico del plan instrumentado por la Casa Blanca que tuvo como figura visible al exdiputado.

Green fue administrador de la Agencia de los Estados Unidos para el Desarrollo Internacional (USAID, sus siglas en inglés) entre 2017 y 2020, y jugó un rol protagónico en el desembolso de recursos que respaldó lo que el informe llama “enfoque de máxima presión”.

El también exembajador estadounidense defiende “el legado de coraje personal y político de Guaidó” describiendo cómo Washington colaboró “con su gobierno interino y con el resto de la coalición de partidos políticos G4, formada por Acción Democrática, Primero Justicia, Un Nuevo Tiempo, y Voluntad Popular”.

Además, insiste en demostrar el uso transparente de la llamada “ayuda humanitaria” y el apoyo a “los defensores de los derechos humanos, a los medios de comunicación independientes y a las organizaciones de la sociedad civil dentro de Venezuela” explicando que fue la USAID, y no Guaidó, quien administró 1 mil 200 millones de dólares para dicha “ayuda”. En el texto no aclara si se trata de los fondos referidos por Mike Pompeo en su libro Nunca cedí ni un centímetro.

El informe exhorta al sector opositor representado en la MDN a alcanzar “avances en temas que probablemente produzcan un acuerdo negociado que cuente con un amplio apoyo en Venezuela”, por lo que es posible que las ONG, más que los partidos, desplieguen tácticas y mecanismos de despliegue político y propagandístico como “ayuda humanitaria ampliada” (sic) que recuperen la confianza del electorado opositor en su liderazgo.

Es conocida la sinergia existente entre las agencias multilaterales como la Organización de Naciones Unidas (ONU) y algunas ONG, por lo que un fondo fiduciario único para ampliar las medidas de protección pudiera aumentar la usual capacidad de estas organizaciones para captar fondos. Una legislación que impulse la transparencia del uso de dichos fondos podría poner a prueba el aceitado metabolismo exhibido por Green en el que se terminan financiando las agendas opositoras, como ha ocurrido desde hace ya dos décadas con fines ya expuestos y conocidos.

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