La Colombia “buona” che sterminò un partito di sinistra continuerà ad essere l'”alleato preferito” dell’Occidente?
Quando in Occidente si autoproclamano difensori dei diritti umani e dei valori democratici, con grande pomposità e suprematismo, ci sono una serie di governi o regimi, alleati occidentali, che con la loro mera esistenza annientano completamente questa narrazione. Poiché è impossibile difendere i diritti umani e i valori democratici mentre si rafforzano alleanze e vincoli commerciali, militari o politici con determinati governi o regimi. Il Marocco è uno di questi, in Nord Africa, e la Colombia è un altro di quei paesi maledetti del Sud America -o lo era fino alle ultime elezioni-.
Senza dubbio, il paese che esporta più cocaina al mondo è stato, per decenni, uno dei più grandi alleati della NATO e degli USA in America Latina. Un’alleanza che si è rafforzata mentre il governo colombiano perpetrava i soprusi più selvaggi, di cui l’attuale presidente, Gustavo Petro, ha chiara conoscenza per esperienze personali. Lui è stato uno dei perseguitati.
E segnalo la Colombia perché la notizia di questi giorni è che uno di questi cadaveri che tanti paesi o alleati occidentali tengono nell’armadio, mentre celebrano i loro cocktail party e picnic in cui si congratulano con se stessi per i loro valori democratici, è appena caduto dall’armadio al centro della sala. La maggior parte degli invitati, dopo un silenzio imbarazzante, come era prevedibile, ha proseguito come se non fosse successo nulla. Ma è successo: la Corte Interamericana dei Diritti Umani (Corte IDH) ha appena condannato lo Stato colombiano per aver perpetrato lo sterminio di un intero partito politico. Facile a dirsi. Secondo la risoluzione, la Colombia ha sterminato più di 6000 membri del partito politico di sinistra Unión Patriótica, un partito sorto nel corso dei negoziati tra le estinte FARC e il governo, falliti nel 1985.
Così, secondo la Corte IDH, “la Colombia è responsabile per le violazioni dei diritti umani commesse a danno di oltre 6000 vittime tra membri e militanti del partito politico Unión Patriotica” a partire dal 1984. Una risoluzione che aumenta esponenzialmente le cifre finora sostenute dal governo colombiano, che aveva ammesso l’esistenza di 219 vittime. E non è minore assassinare più di duecento persone, episodio tetro e insopportabile per qualsiasi persona per bene, ma è un abisso rispetto alle oltre 6000 vittime che la Corte IDH ha documentato. Una strage che, secondo la Corte è avvenuta sia attraverso la partecipazione diretta, attraverso “agenti statali”, sia indirettamente, “attraverso agenti non statali”, grazie alla “tolleranza, acquiescenza e collaborazione” del governo colombiano, essenziale affinché i crimini fossero perpetrati.
Nel 1986, poco dopo la creazione dell’Unione Patriottica, sorta tra il 1984 e il 1985, il partito di sinistra ottenne 15 parlamentari, che fecero scattare gli allarmi delle élite colombiane, strettamente legate agli USA e all’Occidente. Fu in quel momento in cui settori dei partiti politici, uomini d’affari, narcotrafficanti e forze pubbliche organizzarono gruppi paramilitari che iniziarono lo sterminio. Nessuno era al sicuro in quella sanguinosa orgia di gente di sinistra, tanto di gusto dei palati di USA, Europa e del resto dell’Occidente.
Un militante e poi un altro. E altro. E un altro. Così fino a cinque congressisti, undici deputati, più di cento consiglieri ed ex consiglieri, più di una decina di sindaci ed ex sindaci, due candidati presidenziali e migliaia di militanti. In Colombia, essere un militante o un candidato dell’Unión Patriótica, eletto o meno, era quasi un ‘biglietto’ per l’altro mondo. Tale era la situazione che, di fronte a questa simile carneficina, il partito politico non si è presentato alle elezioni del 2002: non c’erano candidati che volessero firmare una condanna a morte.
Per questo motivo, il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) non ha avuto altra idea che eliminare la sua personalità giuridica e impedirgli di candidarsi alle elezioni successive. Ciò dimostra fino a che punto le élite governative fossero complici di questa brutale violazione dei diritti umani. Anni dopo, nel 2013, la decisione fu rettificata e il partito poté nuovamente partecipare ai processi elettorali. Successivamente, i superstiti del partito aderirono alla coalizione progressista Patto Storico che, attualmente, è giunta al Governo dopo elezioni nelle quali la sinistra ha riportato una storica vittoria. Tra i politici colombiani sopravvissuti, dobbiamo evidenziare l’attuale ministra della Cultura, Patricia Ariza, una delle poche sopravvissute dell’Unión Patriotica, e il senatore Iván Cepeda, il cui padre, il senatore dell’Unión Patriotica, Manuel Cepeda, fu assassinato.
Inoltre, la Corte IDH stabilisce un periodo di due anni per indagare sui crimini, ricercare gli scomparsi, riparare e indennizzare le vittime, creare spazi pubblici onorifici, diffondere la sua storia attraverso documentari o una giornata nazionale da istituire in sua memoria. L’attuale ministro della Giustizia, Néstor Osuna, ha affermato: “La sentenza della Corte Interamericana dei Diritti Umani sullo sterminio dell’UP ci chiama a riflettere sulla società che eravamo e che non possiamo mai più tornare ad essere”.
Purtroppo questo nuovo episodio occidentale di violazione dei diritti umani ha ben poco di insolito e di inedito, poiché va ricordato che la Colombia, oltre ad essere un grande alleato degli USA e il maggior esportatore di cocaina al mondo -il 70% del totale-, ha assassinato, secondo la propria Procura, 2248 “falsi positivi” tra il 1998 e il 2014 -vi sono associazioni che portano la cifra a più di 4000-; e, anno dopo anno, insieme al Brasile, è in testa alla lista mondiale di dirigenti ecologisti assassinati – più di 322 nell’ultimo decennio, rispetto ai 342 del Brasile -.
Come se non fossero sufficienti prove sui valori democratici e le profonde radici dei diritti umani di un così insigne alleato di USA e NATO, nel 2019 ha bombardato, con l’approvazione presidenziale, un campo di organizzazioni paramilitari in cui sono morti otto bambini – che l’allora ministro della Difesa, Diego Molano, ha qualificato come “macchine da guerra”; diversi militari sono stati accusati di aver violentato una bambina indigena di quattro anni nel 2021; e, negli ultimi anni, i militari hanno represso proteste che hanno causato numerosi morti.
Non so, forse sono molto esagerato, ma se la Colombia è stata “la buona” dell’America Latina in questi decenni e Venezuela o Cuba sono stati “le cattive”, non sembra che l’Occidente sia “il Bene”. Soprattutto perché forse la Colombia, con il nuovo governo di Gustavo Petro, risarcisca le vittime e lavori per porre fine ai massacri che avvengono, invece di difenderli e promuoverli, come hanno fatto i precedenti presidenti colombiani tanto amici di USA e della NATO e, cose della vita, si converta in un altro governo cattivo, perverso e demoniaco che deve essere rovesciato.
¿La Colombia ‘buena’ que exterminó a un partido de izquierdas seguirá siendo ‘aliada favorita’ de Occidente?
Cuando en Occidente se autoproclaman defensores de los derechos humanos y los valores democráticos con gran pomposidad y supremacismo, hay una serie de Gobiernos o regímenes aliados occidentales que, con su sola existencia, aniquilan por completo este relato. Pues es imposible defender los derechos humanos y los valores democráticos al tiempo que se estrechan alianzas y vínculos comerciales, militares o políticos con determinados Gobiernos o regímenes. Marruecos es uno de ellos, en el norte de África, y Colombia es otro de esos países malditos en América del Sur —o lo era hasta las últimas elecciones—.
Sin duda, el país que más cocaína exporta del mundo ha sido durante décadas uno de los mayores aliados de la OTAN y de EE.UU. en Latinoamérica. Una alianza que se afianzó mientras el Gobierno colombiano perpetraba las tropelías más salvajes, de las que el actual presidente, Gustavo Petro, tiene claro conocimiento por sus propias vivencias. Él fue uno de los perseguidos.
Y señalo a Colombia porque la noticia de estos días es que uno de estos cadáveres que tantos países o aliados occidentales guardan en el armario, mientras celebran sus cócteles y pícnics en los que se congratulan por sus valores democráticos, acaba de caer del armario en mitad del salón. La mayoría de los invitados, tras un silencio incómodo, como era de esperar, ha continuado como si no hubiera pasado nada. Pero ha pasado: la Corte Interamericana de los Derechos Humanos (Corte IDH) acaba de condenar al Estado colombiano por haber perpetrado el exterminio de todo un partido político. Que se dice pronto. Según la resolución, Colombia exterminó a más de 6.000 componentes del partido político izquierdista Unión Patriótica, un partido surgido en el transcurso de las negociaciones entre las extintas FARC y el Gobierno, que fracasaron en 1985.
Así, según la Corte IDH, «Colombia es responsable por las violaciones de derechos humanos cometidas en perjuicio de más de 6.000 víctimas integrantes y militantes del partido político Unión Patriótica» a partir de 1984. Una resolución que eleva de forma exponencial las cifras hasta ahora sostenidas por el Gobierno colombiano, el cual había aceptado la existencia de 219 víctimas. Y no es menor asesinar a más de doscientas personas, episodio tétrico e insoportable para cualquier persona decente, pero se encuentra a un abismo de las más de 6.000 víctimas que ha documentado la Corte IDH. Una matanza que, según la Corte IDH, se produjo tanto por participación directa, mediante «agentes estatales», como indirecta, «mediante agentes no estatales», gracias a la «tolerancia, aquiescencia y colaboración» del Gobierno colombiano, imprescindible para que los crímenes se perpetraran.
En 1986, poco después de la creación de la Unión Patriótica, que se forjó entre 1984 y 1985, el partido izquierdista consiguió 15 parlamentarios, lo que encendió las alarmas de las élites colombianas, muy vinculadas a EE.UU. y Occidente. Fue en ese momento cuando sectores de los partidos políticos, empresarios, narcotraficantes y fuerzas públicas organizaron grupos paramilitares que comenzaron el exterminio. Nadie estuvo a salvo en esa orgía sangrienta de izquierdistas, tan del gusto del paladar de EE.UU., Europa y el resto de Occidente.
Un militante y luego otro. Y otro. Y otro. Así hasta cinco congresistas, once diputados, más de un centenar de concejales y exconcejales, más de una decena de alcaldes y exalcaldes, dos candidatos presidenciales y miles de militantes. En Colombia, ser un militante o un candidato de Unión Patriótica, electo o no, era casi un ‘ticket’ para el otro barrio. Tal fue la situación que, ante esta semejante carnicería, el partido político no se presentó en las elecciones de 2002: no había candidatos que quisieran firmar una condena de muerte.
Debido a ello, el Consejo Nacional Electoral (CNE) no tuvo otra ocurrencia que eliminar su personalidad jurídica e impedirle presentarse a los siguientes comicios. Lo que demuestra hasta qué punto las élites gubernamentales fueron cómplices de esta brutal vulneración de los derechos humanos. Años después, en 2013, la decisión fue rectificada y el partido nuevamente pudo volver a participar en procesos electorales. Con posterioridad, los supervivientes del partido se integraron en la coalición progresista Pacto Histórico que, en la actualidad, ha alcanzado el Gobierno tras unas elecciones en las que la izquierda ha conseguido una histórica victoria. Entre los políticos colombianos supervivientes habría que destacar a la ministra de Cultura actual, Patricia Ariza, una de las pocas supervivientes de Unión Patriótica, y al senador Iván Cepeda, cuyo padre, el senador de la Unión Patriótica, Manuel Cepeda, fue asesinado.
Además, la Corte IDH establece un plazo de dos años para que se investiguen los crímenes, se busquen a los desaparecidos, se repare e indemnice a las víctimas, se creen espacios públicos honoríficos, se difunda su historia mediante documentales o se cree un día nacional en su memoria. El actual ministro de Justicia, Néstor Osuna, afirmó: «La sentencia de la Corte Interamericana de Derechos Humanos sobre el exterminio de la UP nos llama a reflexionar sobre la sociedad que fuimos y que no podemos volver a ser, nunca más».
Por desgracia, este nuevo episodio occidental de vulneración de los derechos humanos tiene poco de insólito e inédito, pues cabría recordar que Colombia, además de ser un gran aliado de EE.UU. y el mayor exportador de cocaína del mundo —el 70 % del total—, ha asesinado, según su propia Fiscalía, a 2.248 «falsos positivos» entre 1998 y 2014 —hay asociaciones que elevan la cifra a más de 4.000—; y, año tras año, encabeza junto a Brasil el listado mundial de líderes ecologistas asesinados —más de 322 en la última década, por 342 de Brasil—.
Por si no fueran suficientes pruebas sobre los valores democráticos y el profundo arraigo de los derechos humanos de tan insigne aliado de EE.UU. y la OTAN, en el año 2019, bombardeó, con aprobación presidencial, un campamento de organizaciones paramilitares en el que fallecieron ocho niños — a los que el entonces ministro de Defensa, Diego Molano, calificó como «máquinas de guerra»—; varios militares fueron acusados de violar a una niña indígena de cuatro años en el año 2021; y, en los últimos años, los militares reprimieron protestas que provocaron numerosos muertos.
No sé, igual soy muy exagerado, pero, si Colombia ha sido estas décadas ‘la buena’ de América Latina y Venezuela o Cuba han sido ‘las malas’, no parece que Occidente sea ‘El Bien’. Sobre todo, porque puede ser que Colombia, con el nuevo Gobierno de Gustavo Petro, repare a las víctimas y trabaje para terminar con las matanzas que acontecen, en lugar de ampararlas y promocionarlas, como hicieron los anteriores presidentes colombianos tan amigos de EE.UU. y de la OTAN, y, cosas de la vida, se convierta en otro Gobierno malo, perverso y demoníaco que hay que derrocar.
Por: Luis Gonzalo Segura