La Lunga Marcia della Cina in America Latina

Fabrizio Verde

Se vi è un posto nel mondo dove il declino dell’egemonia statunitense è più evidente, questo è senza dubbio l’America Latina. Una regione funestata in passato dall’interventismo di Washington.

Basti pensare a come è cambiato lo scenario rispetto agli anni ’70 del secolo scorso: nel 2023 ricorre mezzo secolo dal colpo di Stato in Uruguay (27 giugno 1973) e dal golpe fascista di Augusto Pinochet e dall’assassinio di Salvador Allende in Cile (11 settembre dello stesso anno). Un periodo in cui il ‘Cono Sur’ si riempì di governi militari, sotto il ferreo controllo degli Stati Uniti.

Ma questo 8 dicembre ricorre anche il 40° anniversario del ritorno della democrazia in Argentina nel 1983, che segna il momento in cui la regione ha iniziato a scrollarsi di dosso questo pesante fardello e a lasciarsi alle spalle il passato oscuro e sangionoso imposto da Washington.

Da allora, in tutti i Paesi latinoamericani si sono succeduti governi democratici di segno diverso: quelli del ritorno alla democrazia negli anni ’80, quelli dell’era neoliberale negli anni ’90, i governi progressisti dell’inizio di questo secolo, seguiti, per un periodo più breve, da governi neoliberali, che vengono sostituiti, ancora una volta e a velocità diverse, in una dinamica che segna un progressivo allontanamento dai dettami statunitensi. Mentre attualmente la nuova ondata socialista e progressista cerca una nuova integrazione regionale su basi cooperative e solidaristiche, capace di allontanare le mire di controllo statunitensi.

Probabilmente un segno plastico della perdita di potere, influenza e capacità di sovvertire governi democratici degli Stati Uniti è il fallito regime change in Venezuela. Nel 2019, Washington ha sferrato un colpo a Caracas con il tentativo di golpe in Venezuela, cercando di imporre la presidenza di Juan Guaidó e tentando un’invasione dalla Colombia. Queste azioni sono state sostenute dal Gruppo di Lima, creato nel 2017 e promosso, tra gli altri, dagli allora leader di Argentina, Cile, Perù e Colombia. Tre anni dopo, Guaidó è scomparso dalla scena politica venezuelana e gli Stati Uniti stanno negoziando direttamente con il governo di Nicolás Maduro per il petrolio. Il Gruppo di Lima è crollato tra le proteste di piazza della capitale peruviana. Lula da Silva, dopo aver trascorso 580 giorni in carcere, ha riconquistato la presidenza del Brasile nell’ottobre 2022 e ha ristabilito le relazioni con il Venezuela, così come la Colombia, che ha ripreso anche i legami con il Nicaragua.

Gli Stati Uniti rispetto a 50 anni fa sembrano non avere più la stessa capacità di imporre governi, con il sostegno delle ambasciate e in molti casi delle proprie truppe.

L’ascesa della Cina

 

Quindi l’orientamento economico unilaterale dei Paesi latinoamericani verso gli Stati Uniti appartiene al passato. La Cina ha già superato gli Stati Uniti in termini di scambi commerciali con paesi come Brasile, Perù e Cile. Il caso dell’Argentina è paradigmatico: ha sviluppato un’industria completamente nuova, incentrata sulla domanda cinese. Ossia, la coltivazione della soia e dei suoi prodotti.

Il Sud America è diventato non solo un mercato per i beni di consumo con il marchio Made in China, ma anche il principale acquirente all’estero di prodotti automobilistici cinesi. Migliaia di lavoratori edili e ingegneri cinesi sono impiegati in Cile e Brasile, oltre che in Venezuela e a Cuba. Il primo satellite latinoamericano Simón Bolívar progettato dalla Cina è stato lanciato dal sito di lancio cinese di Xichang nell’ottobre 2008. La Cina sta anche sviluppando una cooperazione spaziale con il Brasile.

Il ministero della Difesa cinese ha organizzato “forum sulla difesa” a Pechino per gli alti ufficiali militari dei Paesi latinoamericani. Secondo le dichiarazioni ufficiali, questi eventi hanno lo scopo di creare un “sistema pragmatico di comunicazione e cooperazione con i Paesi latinoamericani sulle strategie di difesa”.

Xi sulle orme di Mao

 

Gli esperti sono soliti affermare che l’interesse sistemico di Pechino per lo sviluppo del “continente della speranza” è emerso relativamente di recente, a cavallo degli anni 2000. Il motivo principale è la crescente domanda di risorse da parte dell’economia cinese, soprattutto idrocarburi e minerali.

Dimenticando però che già Mao Zedong reputava molto importante il lavoro nella parte latinoamericana del Terzo Mondo. È vero, all’epoca si trattava soprattutto di stabilire contatti con i fratelli ideologici. Fidel Castro, Raúl Castro e Che Guevara frequentavano spesso l’ambasciata cinese all’Avana (all’epoca Cuba era l’unico Paese del Nuovo Mondo a riconoscere la Cina).

I diplomatici cinesi sull’isola ricordano che Fidel a volte si tratteneva all’ambasciata fino al mattino, con conversazioni che duravano ore intorno a una tavola imbandita. Le frequenti cene con i rappresentanti cinesi non sfuggirono agli occhi dei compagni sovietici. Mosca, che già allora aveva dichiarato divergenze ideologiche con Pechino, era molto gelosa della relazione dei leader cubani con i “maoisti”. Gli archivi declassificati del Ministero degli Esteri sovietico contengono numerose registrazioni di conversazioni in cui i diplomatici sovietici chiedevano insistentemente ai leader cubani se l’isola avrebbe seguito la strada cinese. Mosca era particolarmente preoccupata per la posizione del “Comandante Che Guevara”, che approvava la pratica cinese dell’industrializzazione accelerata.

Mao Zedong incontrò personalmente Ernesto Che Guevara e gli parlò per oltre due ore. Per il rivoluzionario trentaduenne, allora ministro dell’Industria di Cuba, l’onore fu molto grande. Mao non solo si informò sui rapporti di forza nei campi della lotta di classe, ma lodò anche i compagni cubani per la loro durezza nei confronti dei controrivoluzionari e degli statunitensi.

Non si sa cosa abbiano detto i mentori cinesi al professore di filosofia peruviano Abimael Guzmán, specialista della teoria kantiana, ma subito dopo il suo viaggio a Pechino divenne capo del partito maoista Sendero Luminoso (Sentiero Luminoso) nel suo Paese. Negli anni ’60 divenne uno dei più importanti gruppi di sinistra dell’America Latina. Lo stesso Guzmán era chiamato dai suoi compagni d’arme “la quarta spada del marxismo”, dopo Marx, Lenin e Mao Zedong. Più tardi, negli anni ’80, dopo aver letto gli scritti di Mao sulla guerra di popolo, Guzmán si dedicò alle tattiche di guerriglia. In questo caso, però, il rivoluzionario peruviano non riuscì a replicare il successo del suo maestro e finì i suoi giorni all’ergastolo rinchiuso in una base navale a ovest di Lima.

A vederla con gli occhi di oggi la storia delle relazioni tra Pechino e Santiago sembra ancora più incredibile. Nel 1970 il Cile divenne il secondo Paese latinoamericano a riconoscere la Cina. Tuttavia, i giorni del presidente progressista Salvador Allende erano contati. Un colpo di Stato militare nel 1973 portò al potere una giunta guidata dal generale Pinochet. Questo avrebbe dovuto porre fine alle relazioni del Paese con la “Cina comunista”. Tuttavia, Pechino andava d’accordo con il generale fascista. Forse due cose sono state decisive: il coerente antisovietismo di Pinochet e il suo espresso sostegno al principio dell’Unica Cina. Mentre i giornali sovietici scrivevano che in Cile era “notte fonda”, la Cina non richiamava il suo ambasciatore.

Questa “posizione di principio” sorprese molti degli ex alleati di Pechino. Il leader albanese Enver Hoxha scrisse indignato della politica latinoamericana di Mao: “Neanche gli Stati Uniti aiutano così apertamente Pinochet, il boia fascista del Cile, come lo aiuta la Cina… Con la sua posizione, la Cina, cosiddetta socialista, è in contrasto con gli interessi e le aspirazioni dei popoli, dei comunisti, dei rivoluzionari, contro le aspirazioni di tutti i progressisti dell’America Latina”.

Si può discutere su quanto la Cina pre-riforma abbia preparato il terreno per l’attuale espansione economica nella regione. Ciò che è chiaro, tuttavia, è che Pechino ha iniziato a contribuire allo sviluppo della sinistra e all’ascesa del sentimento anti-statunitense in America Latina molto prima di arrivare nella regione con i grandi capitali. Durante un discorso all’Università di Pechino, Hugo Chavez fece una confessione in tal senso, dicendo che lui stesso “era un maoista fin dall’infanzia”. Mao Zedong e Simón Bolívar sarebbero sicuramente diventati amici se si fossero conosciuti, aggiunse il leader venezuelano.

All’epoca, quando presentò la famosa Dottrina Monroe, il quinto presidente degli Stati Uniti non aveva idea che il principio “America per gli americani” potesse essere messo in discussione dagli asiatici. Si riferiva solo agli europei. James Monroe articolò la sua visione della politica estera in modo molto chiaro: “I continenti americani, che hanno raggiunto la libertà e l’indipendenza… non dovrebbero essere considerati come oggetto di futura colonizzazione da parte di alcuna potenza europea”. Nel suo messaggio annuale al Congresso del 1823, Monroe dichiarò: “Non possiamo considerare alcun intervento di una potenza europea per opprimere o controllare questi Paesi se non come un atto ostile nei confronti degli Stati Uniti”.

Il fatto che l’era della Dottrina Monroe appartenga al passato e che gli Stati Uniti considerino ora i Paesi latinoamericani come partner alla pari è stato annunciato ufficialmente solo nel 2013. Il Segretario di Stato USA John Kerry lo fece in un discorso programmatico presso la sede dell’Organizzazione degli Stati Americani a Washington. Molti commentatori cinesi osservarono in modo sprezzante che Kerry faceva un tale annuncio perché gli Stati Uniti non erano più in grado di opporsi al crescente ruolo della Cina nel continente. Allo stesso tempo, gli esperti cinesi osservavano che gli Stati Uniti, pur abbandonando la “Dottrina Monroe”, mirano ancora a “promuovere e proteggere la democrazia”. La Cina invece non intende imporre il proprio modello di governo e sviluppo a nessuno.

Nel 2009, l’allora vicepresidente Xi Jinping ha effettuato una serie di visite all’estero che sono state di fatto le sue prime visite internazionali. Il breve discorso di Xi durante un incontro con gli immigrati cinesi in Messico sarebbe stato trasmesso per sbaglio da una stazione televisiva locale. Naturalmente, le rivelazioni del futuro leader cinese divennero immediatamente virali. “Alcuni stranieri ben nutriti e annoiati non trovano di meglio da fare che puntare il dito contro il nostro Paese. In primo luogo, la Cina non esporta rivoluzione, in secondo luogo, la Cina non esporta fame e povertà, e in terzo luogo, la Cina non vi fa venire il mal di testa, non è abbastanza?” diceva il futuro presidente della Repubblica Popolare Cinese. Poiché queste parole sono state pronunciate letteralmente sotto il naso degli Stati Uniti, molti osservatori considerarono le parole di Xi Jinping come la risposta cinese alla “Dottrina Monroe”.

Xi: rafforzare ed espandere i legami con l’America Latina

 

Con l’ascesa alla presidenza Xi Jinping ha continuato la sua azione verso l’America Latina. Proprio all’inizio di quest’anno il presidente Xi Jinping ha ribadito l’impegno della Cina a rafforzare la partnership con i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, affermando che Pechino è pronta a lavorare con loro per promuovere la pace e lo sviluppo globale e far progredire la costruzione di una comunità con un futuro condiviso per tutta l’umanità.

Xi ha espresso l’impegno cinese in un discorso video pronunciato al settimo vertice della Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi (Celac), che si è tenuto a Buenos Aires, la capitale dell’Argentina.

Il leader cinese è stato invitato a parlare al vertice dal presidente argentino Alberto Fernandez, che detiene la presidenza di turno dell’organismo regionale, un gruppo multilaterale di 33 Paesi dell’emisfero occidentale, esclusi Canada e Stati Uniti.

In questa occasione Xi Jinping ha ribadito che i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi sono membri importanti del mondo in via di sviluppo che partecipano attivamente alla governance globale e vi apportano importanti contributi. E che la Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi è diventata una forza indispensabile per sostenere la cooperazione globale Sud-Sud e ha svolto un ruolo importante nella salvaguardia della pace regionale, nella promozione dello sviluppo comune e nell’avanzamento dell’integrazione regionale.

Xi ha ribadito il sostegno della Cina al processo di integrazione regionale dell’America Latina e dei Caraibi e il suo impegno a sviluppare le relazioni con l’organizzazione regionale. Ha affermato che la Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi è il partner chiave della Cina nel rafforzare la solidarietà tra i Paesi in via di sviluppo e nel promuovere la cooperazione Sud-Sud.

“Per questo motivo, la Cina ha lavorato con i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi per rafforzare costantemente il Forum della Cina e la Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi e portare le loro relazioni in una nuova era caratterizzata da uguaglianza, mutuo beneficio, innovazione, apertura e vantaggi per i popoli”.

Al contrario della depredazione colonialista cercata dagli Stati Uniti, la Cina intende rinsaldare una cooperazione bilanciata e win-win. Per questo motivo un numero crescente di Paesi della regione si è impegnato in una cooperazione di alta qualità con la Cina nell’ambito della Belt and Road Initiative e ha sostenuto e partecipato alla Global Development Initiative e alla Global Security Initiative.

Nel 2022, Nicaragua e Argentina hanno firmato un memorandum d’intesa con la Cina per la costruzione congiunta della Belt and Road, promuovendo investimenti e cooperazione in settori quali elettricità, trasporti, telecomunicazioni ed energia.

Osservando che il mondo sta attraversando un nuovo periodo di turbolenze e trasformazioni, Xi ha sottolineato che solo attraverso una maggiore solidarietà e una più stretta cooperazione la comunità internazionale potrà affrontare le sfide e superare questo periodo difficile.

La Cina è pronta a continuare a collaborare con i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi per aiutarsi a vicenda e progredire insieme, sostenendo i valori comuni dell’umanità, come la pace, lo sviluppo, l’equità, la giustizia, la democrazia e la libertà, e costruendo un mondo con un futuro più luminoso.

Vincere senza combattere

 

“Sconfiggere il nemico senza combattere è la massima abilità”, sosteneva Sun Tzu. Proprio quello che sta facendo la Cina in America Latina nei confronti degli Stati Uniti. Non sono più i tempi della Scuola delle Americhe, che formava candidati dittatori, perché Washington non ha più la capacità di nominare governi, promuovere colpi di Stato o riempire i paesi latinoamericani di basi militari.

Altre potenze stanno irrompendo in America Latina. In primis la Cina, poi Russia, Iran, India, Turchia. Quanto alla Russia, nessun Paese latinoamericano ha accettato di inviare armi all’Ucraina, rifiutando le insistenti richieste del Pentagono. Al contrario, i governi di Argentina, Colombia, Messico e Brasile hanno ripetuto costantemente i loro appelli per una soluzione negoziata del conflitto, rifiutando di accodarsi all’offensiva di Washington.

Il mondo multipolare è già una solida realtà, come ci dimostra l’ascesa della Cina in America Latina.

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