Narcopolitica e necropolitica in Ecuador

misionverdad.com

Il secondo turno delle elezioni in Ecuador vedrà protagonisti Luisa González, candidata del Movimiento Revolución Ciudadana, e l’imprenditore Daniel Noboa di Acción Democrática Nacional. L’appuntamento sarà il prossimo il 15 ottobre nel mezzo di una costante agitazione prodotta della violenza politica vissuta negli ultimi mesi.

Dopo l’assassinio del candidato presidenziale Fernando Villavicencio, lo scorso 9 agosto, si è aggiunto quello del militante del Movimento Cittadino Rivoluzione, Pedro Briones, morto per una ferita da arma da fuoco il 14 agosto dopo un agguato nella sua residenza nel nord del Paese.

A luglio, nel contesto della campagna elettorale, sono avvenuti anche gli omicidi di Agustín Intriago, sindaco di Manta, e Rider Sánchez, candidato alla carica di legislatore.

Tutti questi casi sono impregnati dell’impronta della violenza politica, erede della violenza criminale che è in auge nel paese sudamericano. Ma che proviene dal Nord America, da dove si è formato un corridoio del narcotraffico che attraversa la costa del Pacifico fino all’equatore continentale, da dove i mercati si sono estesi verso i continenti asiatico e oceanico.

BOOM DEL NARCOTRAFFICO

 

La guerra contro il narcotraffico nelle Americhe è contrassegnata dalle operazioni USA in tutto il continente, con la Drug Enforcement Administration (DEA) e il Comando Sud dispiegati in tutta la regione, attraverso la cooperazione con la maggior parte dei paesi ad eccezione di Bolivia e Venezuela in Sud America.

L’approccio della DEA impedisce vedere il narcotraffico come una gestione politica del territorio in cui si sviluppa il mercato della droga e privilegia i dati quantitativi sulla droga sequestrata, sui narcotrafficanti catturati e beni confiscati senza assumere una posizione sistemica della questione. Questa visione è diffusa nella maggior parte degli enti che si dedicano alla lotta al narcotraffico.

Questo è il motivo per cui sia gli USA che l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) celebrano il fatto che l’Ecuador sia stato il terzo paese con il maggior volume di sequestri di droga nel 2021, solo dietro Colombia e USA. Ma in Ecuador il tasso di omicidi è aumentato di almeno quattro volte dal 2017 ad oggi (vedi grafico sotto); nell’ultimo marzo, in questo paese c’era una media di 16 omicidi al giorno.

La relazione tra l’aumento del narcotraffico e il tasso di omicidi in Ecuador non sembra casuale: maggiore è stata la produzione e il traffico di droga, negli ultimi cinque anni, così è aumentata anche la foga della violenza criminale.

Due fattori sono stati fondamentali per comprendere l’espansione del narcotraffico nel paese sudamericano: l’aumento della produzione di cocaina in Colombia (paese confinante) e la migrazione di due grandi cartelli messicani, di Sinaloa e di Jalisco Nueva Generación (CJNG), per espandere le loro operazioni attraverso il riciclaggio di capitali criminali e il consolidamento di una piattaforma aerea e marittima verso il Pacifico, avendo installato sul terreno strutture produttive e commerciali illegali.

Inoltre, l’incursione di questi cartelli nella politica ecuadoriana (aumentando le quote di corruzione istituzionale) ha dato entrate a favore dell’amministrazione del narcotraffico, il che ha provocato una crisi di sicurezza in tutto il paese. Ma, allo stesso modo, il catechismo neoliberale applicato dai governi di Lenín Moreno e Guillermo Lasso hanno offerto un vuoto statale che è annegato negli interessi dei cartelli transnazionali.

Tracce del narcotraffico messicano sono state scoperte anche nelle rivolte carcerarie manifestatesi nel 2021. In effetti, secondo indagini e analisi corrispondenti, le carceri sono servite da centro decisionale per gruppi criminali legati al narcotraffico transnazionale.

Geopoliticamente, l’Ecuador è un centro logistico ideale per il trasferimento di merci illecite e ha rotte che sfociano nell’Oceano Pacifico e nell’entroterra verso la Colombia e il Perù (secondo produttore di cocaina al mondo), sfruttando gli affluenti del Rio delle Amazzoni che discendono verso il Brasile e il nord del Sud America (da dove le merci illecite vengono trasferite in Africa e poi in Europa).

La maggiore attrattiva per i cartelli si riscontra nelle rotte marittime dalla Colombia e dall’Ecuador al Messico, dove il transito verso il mercato USA è assicurato dai grandi gruppi criminali che vivono nel Paese nordamericano. Sia Sinaloa che CJNG hanno operazioni in decine di paesi, compresi i continenti europeo e oceanico, e basano il loro potere su tecniche e modelli di forza, intimidazione ed estorsione.

Il potere dispiegato dai gruppi di narcotrafficanti in Ecuador si è trasferito nel campo politico attraverso metodi di violenza pianificata. Gli omicidi politici in detto paese lo confermano, mentre le minacce nel quadro delle elezioni confermano che la crisi della sicurezza non smette di produrre destabilizzazione e caos nel paese.

NARCOPOLITICA E NECROPOLITICA

 

I fenomeni a cui stiamo assistendo in Ecuador provengono da tutto un accumulo storico già consolidato in Colombia e Messico. La narcopolitica è una realtà nella misura in cui i gruppi criminali si sono affermati come attori di governo delle condizioni di gestione della cosa pubblica, sia da parte dello Stato attraverso prebende, intimidazioni e/o estorsioni; sia dall’imposizione di una legalità parallela che sostituisce le istituzioni ufficiali con altre create ad immagine e somiglianza dei cartelli.

L’acquisizione del potere politico da parte del narcotraffico è in aumento in Ecuador come accade, da decenni, in Colombia e Messico, e sta avendo conseguenze in quanto la gestione della vita e della morte si converte, oggettivamente, nella ragione amministrativa fondamentale dei gruppi criminali al fine di esercitare dominio e controllo.

In questo modo la narcoviolenza porta con sé una necropolitica che permea la sicurezza stessa dei cittadini dove si consolida il giogo del narcotraffico.

Lo storico e intellettuale camerunese Achille Mbembe ha teorizzato e coniato il termine necropolitica (così come necropotere) per caratterizzare e descrivere i meccanismi attraverso i quali viene stabilito e mantenuto il controllo su chi può vivere e chi deve morire. Le tecnologie necropolitiche servono al potere sovrano al fine di amministrare un territorio insieme alla sua popolazione, dove la gestione della morte è direttamente correlata al funzionamento dei moderni sistemi politici.

I concetti di necropotere e necropolitica ci servono qui per illustrare in che misura i gruppi narcotrafficanti esercitino il potere lì dove stabiliscano una sovranità politica, direttamente o indirettamente.

Nel suo lungo saggio sulla necropolitica, Mbembe spiega il modo in cui il necropotere si manifesta nelle guerre contemporanee, riprendendo il termine macchina da guerra dei filosofi francesi Gilles Deleuze e Felix Guattari per analizzare la situazione di eteronomia (cioè dove il sovrano è esogeno al territorio dove prevale il suo dominio) che governa gli spazi bellici moderni.

Con macchine da guerra si riferiscono a fazioni armate che non sono necessariamente eserciti statali, bensì cellule diffuse e polimorfe, che si formano e si dissolvono a seconda delle circostanze. Il terrorismo jihadista e i gruppi paramilitari e parapolizieschi dei cartelli sono un esempio vivente di questo tipo di “macchina sociale”, poiché – seguendo Mbembe – la loro tecnologia di combattimento e mobilità consente alla guerra moderna di essere estremamente veloce, brutale, redditizia e sicura per l’aggressore.

L’attività costante delle macchine da guerra risulta redditizia perché consente il controllo di spazi con risorse preziose e perché l’attività bellica genera debito che risulta lucroso per gli interessi privati. Gli spazi occupati sono governati da una rete di poteri de facto (eserciti statali e privati, signori della guerra locali, gruppi rivoluzionari, organizzazioni criminali, ecc.) che rendono quasi impossibile determinare chi detenga il potere in un determinato luogo.

Questa caratterizzazione è efficace per descrivere il modo in cui i grandi gruppi criminali operano in un contesto di estrazione di risorse. Il controllo delle popolazioni locali dà luogo a un nuovo modo di governare che Mbembe chiama gestione di folle, con il quale la popolazione viene disgregata in gruppi “immobilizzati”, “sfollati”, “neutralizzati” o “sterminabili”, trasformandola in una società frammentata ed in situazione precaria, gestita attraverso modalità da  campi di concentramento e zone di eccezione.

Mbembe analizza che le occupazioni di questo tipo sono “più tattili, più anatomiche e sensoriali”, un modo sottile di suggerire che le popolazioni governate da questo tipo di amministrazione brutale del potere si basa su una logica del massacro (in Ecuador, tra il 2021 e il 2023, sono state registrate 14 stragi nei centri penitenziari, la maggior parte originate da dispute tra gruppi criminali).

L’assassinio di Fernando Villavicencio mostra la forza del narcotraffico, la sua incidenza sulla stabilità interna, sia politica che sociale, e la debolezza istituzionale dell’Ecuador. Inoltre, lo scorso luglio, i capi delle bande che operano in Ecuador hanno manifestato, nelle reti digitali, assicurando di aver raggiunto un accordo di non scontro tra loro per “una migliore convivenza nella sicurezza nel territorio ecuadoriano”, alludendo che è stato fatto “insieme con la Polizia Nazionale”. Il dominio della dinamica di sicurezza nel paese sudamericano è subordinato agli interessi di questi gruppi criminali, mentre la paura si impadronisce della società ecuadoriana come uno strumento (ulteriore) di controllo.

L’analisi del camerunense è in linea con quanto sta accadendo in Ecuador e in altri paesi del continente (e del mondo), dove la narcopolitica agisce con le tecnologie della necropolitica lì dove c’è un interesse lucrativo con un grande scopo e si desidera esercitare il controllo. La politica ecuadoriana è attraversata dai meccanismi descritti ed è un caso esemplare per comprendere i movimenti del narcotraffico continentale.


NARCOPOLÍTICA Y NECROPOLÍTICA EN ECUADOR

 

La segunda vuelta electoral en Ecuador tendrá como protagonistas a Luisa González, candidata por Movimiento Revolución Ciudadana, y al empresario Daniel Noboa de Acción Democrática Nacional. La cita será el próximo 15 de octubre en medio de una constante conmoción producto de la violencia política vivida en los últimos meses.

Luego del asesinato del candidato presidencial Fernando Villavicencio el pasado 9 de agosto, se sumó el del militante del Movimiento Revolución Ciudadana, Pedro Briones, quien murió por impacto de bala el 14 de agosto tras una emboscada en su residencia en el norte del país.

En julio, los homicidios de Agustín Intriago, alcalde de Manta, y de Rider Sánchez, candidato a legislador, ocurrieron asimismo en el marco de la campaña electoral.

Todos estos casos están impregnados por la huella de la violencia política, heredera de la violencia criminal que viene en auge en el país sudamericano. Pero que es oriunda de Norteamérica, desde donde se formó un corredor del narcotráfico que atraviesa la costa del Pacífico hasta el ecuador continental, desde donde se han expandido los mercados hacia los continentes asiático y oceánico.

EL NARCOTRÁFICO EN AUGE

La guerra contra el narcotráfico en las Américas está marcada por las operaciones de Estados Unidos en todo el continente, con la Administración de Control de Drogas (DEA, por sus siglas en inglés) y el Comando Sur desplegados a lo largo de toda la región, a través de la cooperación con la mayoría de países a excepción de Bolivia y Venezuela en Sudamérica.

El enfoque de la DEA impide ver el narcotráfico como una gestión política del territorio donde se desarrolla el mercado de las drogas y prioriza los datos cuantitativos de drogas incautadas, narcotraficantes capturados y bienes confiscados sin asumir una postura sistémica del asunto. Dicha visión está diseminada en la mayoría de las entidades que se dedican al combate contra el narcotráfico.

Es por ello que tanto Estados Unidos como la Organización de Naciones Unidas (ONU) celebran el hecho de que Ecuador fue el tercer país con mayor volumen de incautaciones de droga en 2021, solo por detrás de Colombia y Estados Unidos. Pero en Ecuador ha subido la tasa de homicidios al menos cuatro veces desde 2017 hasta la actualidad (ver gráfico abajo); para marzo reciente, se contabilizó un promedio de 16 asesinatos por día en este país.

La relación entre el auge del narcotráfico y la tasa de homicidios en Ecuador no parece casual: mientras mayor ha sido la producción y el tráfico de drogas en el último lustro, también así ha subido el calor de la violencia criminal.

Dos factores han sido claves para comprender la expansión del narcotráfico en el país sudamericano: el aumento de la producción de cocaína en Colombia (país vecino) y la migración de dos grandes cárteles mexicanos, de Sinaloa y de Jalisco Nueva Generación (CJNG), para dilatar sus operaciones a través del lavado de capitales criminales y la consolidación de una plataforma aérea y marítima hacia el Pacífico, habiendo instalado estructuras productivas y comerciales ilícitas en el terreno.

Además, la incursión de estos cárteles en la política ecuatoriana (aumentando la cuotas de corrupción institucional) ha dado réditos a favor de la administración del narcotráfico, lo que ha provocado una crisis de seguridad en todo el país. Pero asimismo el catecismo neoliberal aplicado por los gobiernos de Lenín Moreno y Guillermo Lasso brindaron un vacío estatal que se ha anegado de los intereses de los cárteles transnacionales.

También se descubrieron los rastros del narco mexicano en los motines carcelarios que se manifestaron en 2021. De hecho, de acuerdo con investigaciones y análisis correspondientes, las cárceles han servido como centro de decisiones de grupos criminales relacionados con el narcotráfico transnacional.

Geopolíticamente, Ecuador es un centro logístico ideal para el traslado de mercancías ilícitas y cuenta con rutas que desembocan en el Océano Pacífico y tierra adentro hacia Colombia y Perú (segundo productor de cocaína en el mundo), con provecho de los afluentes del río Amazonas que derivan hacia Brasil y el norte de Sudamérica (en donde se lleva a cabo el traslado de las mercancías ilícitas hacia África y luego Europa.

El mayor atractivo para los cárteles se encuentra en las rutas marítimas de Colombia y Ecuador a México, donde el tránsito hacia el mercado estadounidense está asegurado por los grandes grupos criminales que hacen vida en el país norteamericano. Tanto Sinaloa como CJNG tienen operaciones en decenas de países, incluyendo en los continentes europeo y oceánico, y basan su poder en técnicas y patrones de fuerza, intimidación y extorsión.

El poder que despliegan los grupos narcotraficantes en Ecuador se ha trasladado al campo político bajo métodos de violencia planificada. Los asesinatos políticos en dicho país así lo confirman, mientras las amenazas en el marco de las elecciones confirman que la crisis de seguridad no cesa de producir desestabilización y caos en el país.

NARCOPOLÍTICA Y NECROPOLÍTICA

Los fenómenos que estamos presenciando en Ecuador provienen de todo un acumulado histórico ya consolidado en Colombia y México. La narcopolítica es una realidad en tanto que los grupos criminales se han erigido como actores regidores de las condiciones de gestión de la cosa pública, sea desde el Estado a través de las prebendas, la intimidación y/o la extorsión; sea desde la imposición de una legalidad paralela que sustituye a las instituciones oficiales por otras creadas a imagen y semejanza de los cárteles.

La captación de poder político por parte del narcotráfico incrementa en Ecuador, como lo hicieron durante décadas en Colombia y México, y está teniendo consecuencias en tanto y cuanto la gestión de la vida y la muerte se convierte objetivamente en la razón administrativa fundamental de los grupos criminales para ejercer dominio y control.

De esta manera, la narcoviolencia trae consigo una necropolítica que permea la seguridad propia de los ciudadanos donde el yugo del narco se consolida.

El historiador e intelectual camerunés Achille Mbembe teorizó sobre y acuñó el término necropolítica (así como necropoder) para caracterizar y describir los mecanismos con los que se establece y mantiene control sobre quiénes pueden vivir y quiénes deben morir. Las tecnologías necropolíticas sirven al poder soberano en aras de administrar a un territorio junto con su población, donde la gestión de la muerte se correlaciona directamente con el funcionamiento de los sistemas políticos modernos.

Los conceptos de necropoder y necropolítica nos sirven aquí para ilustrar en qué medida los grupos narcotraficantes ejercen el poder allí donde establecen una soberanía política, así sea de manera directa o indirecta.

En su largo ensayo sobre necropolítica, Mbembe explica la forma en que el necropoder se manifiesta en las guerras contemporáneas, retomando el término máquina de guerra de los filósofos franceses Gilles Deleuze y Felix Guattari para analizar la situación de heteronomía (es decir, donde el soberano es exógeno del territorio donde prevalece su dominio) que rige los espacios bélicos modernos.

Con máquinas de guerra se refieren a facciones armadas que no necesariamente son ejércitos estatales, sino células difusas y polimorfas, que se forman y disuelven según las circunstancias. El terrorismo yijadista y los cuerpos paramilitares y parapoliciales de los cárteles son un vivo ejemplo de este tipo de “maquinaria social”, pues -siguiendo a Mbembe- su tecnología de combate y movilidad permite a la guerra moderna ser extremadamente rápida, brutal, rentable y segura para el agresor.

La actividad constante de las máquinas de guerra resulta rentable porque permite el control de espacios con recursos valiosos y porque la actividad bélica genera deuda que resulta lucrativa para intereses privados. Los espacios ocupados quedan gobernados por un entramado de poderes fácticos (ejércitos estatales y privados, caudillos locales, grupos revolucionarios, organizaciones criminales, etc.) que hacen casi imposible determinar quién detenta el poder en un lugar específico.

Esta caracterización resulta eficiente para describir la forma en que los grandes grupos criminales operan en un contexto de extracción de recursos. El control de las poblaciones locales dan lugar a un nuevo modo de gobernar que Mbembe llama gestión de multitudes, con la cual la población es disgregada en grupos “inmovilizados”, “desplazados”, “neutralizados” o “exterminables”, convirtiéndola en una sociedad fragmentada y en situación precaria, gestionada mediante modalidades de campos de concentración y zonas de excepción.

Mbembe analiza que las ocupaciones de este tipo son “más táctiles, más anatómicas y sensoriales”, una manera sutil de sugerir que las poblaciones regidas por este tipo de administración brutal del poder está basada en una lógica de la masacre (en Ecuador, entre 2021 y 2023, se han contabilizado 14 masacres en centros penitenciarios, la mayoría originadas por disputas entre grupos criminales).

El asesinato de Fernando Villavicencio muestra la fuerza del narcotráfico, su incidencia en la estabilidad interna tanto política como social y la debilidad institucional ecuatoriana. Además, en julio pasado, líderes de las bandas que operan en Ecuador se han manifestado en redes digitales asegurando que han llegado a un acuerdo de no confrontación entre ellas para “una mejor convivencia en seguridad en el territorio ecuatoriano”, aludiendo que se hizo “conjuntamente con la Policía Nacional”. El dominio de la dinámica de seguridad en el país sudamericano está supeditado a los intereses de estos grupos delictivos, mientras el miedo se apodera de la sociedad ecuatoriana como una herramienta (más) de control.

El análisis del camerunés está en consonancia con lo que está ocurriendo en Ecuador y en otros países del continente (y del mundo), donde la narcopolítica actúa con las tecnologías de la necropolítica allí donde hay un interés lucrativo de gran propósito y se desea ejercer el control. La política ecuatoriana está atravesada por los mecanismos descritos y resulta un caso ejemplar para comprender los movimientos del narcotráfico continental.

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