Una tempesta con una storia

Come un’intensa tempesta di sabbia rossa, l’Africa si abbatte sulle coste del mondo intero. L’aria calda e i venti che spingono da est schiariscono l’orizzonte, ma dalla Cuba internazionalista ci giungono correnti più sotterranee e tuttavia costanti.

Conosciamo il saccheggio e la sofferenza dei popoli africani ridotti in schiavitù, colonizzati e sfruttati dal colonialismo e dall’imperialismo europeo e nordamericano. E oggi i giovani leader africani, come Traore, ancora una volta nominano e sottolineano le cause e le cause e lo fanno con un progetto di ribellione e trasformazione.

Ascoltando il suo discorso, chiaro e semplice come la verità stessa, sono stato doppiamente felice quando alla fine ha pronunciato Patria o morte!, uno slogan tanto amato e così carico della Rivoluzione cubana.

E la mia lettura del discorso di Traoré è coincisa proprio con la mattina in cui ho visitato il Centro Fidel Castro.

Abbiamo visitato le stanze e ho ascoltato le parole dell’eccellente storico che ci ha spiegato ogni dettaglio della storia del Comandante e della Rivoluzione.

È importante sottolineare che non si chiama Museo ma Centro perché è stato realizzato con un’altra concezione, ovvero vivere la storia, luogo di attività e di conoscenza, con una biblioteca, un centro di documentazione e tante sale costantemente aggiornate e attivato. Tanto che e per aneddoto, quando siamo arrivati ​​nella stanza dove c’è una piccola riproduzione del Granma su una teca con il fucile e la sua storica pistola, mi sono inavvertitamente appoggiato per leggere cosa diceva e la teca si è spostata. Mi sono spaventata pensando di aver sbagliato qualcosa e lo storico sorridendo mi ha detto non preoccuparti, il Granma si sta muovendo. È ancora in movimento, senza dubbio.

Ero solo, c’erano parecchie persone che si dividevano in gruppi e ho avuto la fortuna di entrare con un gruppo di visitatori cubani. I gruppi non superano le venticinque persone e quando siamo arrivati ​​alla sala dedicata alla storia della guerra in Angola e ai rapporti di Cuba con l’Africa, mi sono reso conto che quasi tutti erano veterani di quella guerra con le loro famiglie, i loro figli o i loro nipoti.

Dopo aver visto un video su una delle battaglie più dure, quella di Cuito Cuanavale, lo storico si è rivolto ad una donna seduta accanto a me e le ha chiesto se voleva aggiungere qualcos’altro e raccontare quello che sapeva e quello che aveva vissuto. Lei, con l’umiltà e la dignità cubane, ci ha detto che era andata lì come parte del contingente di combattenti cubani e che era responsabile della logistica e dei rifornimenti e che era stata una battaglia molto dura, ma loro avevano vinto. [1]

Ed è importante, ora che l’Africa si rimette in piedi, non dimenticare le radici e la semina profonda dell’internazionalismo cubano in quell’immenso continente.

Fidel disse –ricordiamo che il 13 agosto è il suo compleanno-: “(…) Già nel 1961 – non erano trascorsi nemmeno due anni dalla nostra vittoria, quando il popolo algerino stava ancora conducendo una sorprendente lotta per la propria indipendenza – una nave cubana portò armi ai patrioti algerini. E al suo ritorno portò con sé un centinaio di bambini orfani e feriti di guerra (…). Questa storia si ripeterà molti anni dopo, nel 1978, quando arrivarono i sopravvissuti alla strage di Cassinga, in stragrande maggioranza bambini (…). Ciò è accaduto nel sud dell’Angola. Va ricordato il combattimento intenso e sanguinoso condotto da un’unità cubana che difendeva la lunga linea del sud dell’Angola, in un punto non lontano da Cassinga, centro di rifugiati della Namibia, avanzando risolutamente verso quel luogo per combattere i paracadutisti sudafricani che stavano portando avanti l’uccisione, con il supporto incessante dei moderni aerei da combattimento. E le nostre forze hanno marciato praticamente a torso nudo, sotto l’attacco aereo nemico, fino a raggiungere il luogo dove venivano massacrati bambini, donne e anziani. Fu una delle azioni di quella guerra nella quale avemmo il maggior numero di vittime per il numero dei feriti e dei morti. Ma il massacro si fermò e centinaia di bambini sopravvissuti o feriti furono trasferiti a Cuba per essere recuperati e successivamente ammessi alle scuole dove ricevettero l’istruzione primaria e secondaria. Alcuni si sono poi laureati nelle università cubane…”

Questi frammenti provengono dal libro “100 ore con Fidel”, conversazioni con Ignacio Ramonet (Ufficio delle pubblicazioni del Consiglio di Stato, 2006). Citerei molte altre cose, ma è un libro che va letto per intero; oggi è fondamentale conoscere il rapporto di Cuba con l’Africa ed è necessario comprendere che la storia dei popoli e le loro lotte non si interrompono, sono forze sociali che sembrano addormentate da anni e si svegliano come quella tempesta rossa alimentata dalla forza del storia e cosa fanno con tutta l’esperienza accumulata.

Cito ancora Fidel, perché in tempi di informazione così veloce, è bene mettere i piedi nella sabbia calda, ricordare e imparare: “(…nell’autunno del 1963 si verifica una situazione inaspettata e inimmaginabile. L’Algeria, già indipendente dopo una lotta eroica e impari, era minacciata nella regione di Tindouf, vicino al deserto del Sahara, da un’aggressione del Marocco, le cui forze armate, con l’appoggio logistico degli Stati Uniti, ha cercato di privare il sanguinante paese algerino di importanti risorse naturali. Per la prima volta, in questa occasione, le truppe cubane – un battaglione di carri armati dotati di visori notturni ricevuti dall’URSS per la nostra difesa, pezzi di artiglieria e diverse centinaia di combattenti – hanno attraversato l’oceano e senza chiedere il permesso a nessuno, nemmeno ai fornitori di tali mezzi, hanno risposto all’appello del popolo fratello dell’Algeria (…).

(…) A partire dal 1965, la nostra collaborazione iniziò anche con la lotta per l’indipendenza dell’Angola e della Guinea Bissau, che consistette essenzialmente nella preparazione dei quadri, nell’invio di istruttori e negli aiuti materiali. La Guinea Bissau era una colonia portoghese. Dal 1956 lì si svolgeva una forte lotta per l’indipendenza, guidata dal Partito Africano per l’Indipendenza della Guinea-Bissau e di Capo Verde (PAIGC), sotto la guida del coraggioso ed eroico Amílcar Cabral. La Guinea Bissau ottenne l’indipendenza nel settembre del 1974. Lì, circa 600 internazionalisti cubani, tra cui circa 700 medici, rimasero con la guerriglia per dieci anni, a partire dal 1966, accompagnandola nella lotta per l’indipendenza. Nel luglio 1975 anche le Isole di Capo Verde e l’arcipelago di São Tomé e Príncipe ottennero l’indipendenza definitiva dal Portogallo.

E sempre a metà di quello stesso anno, il Mozambico raggiunse la sua definitiva indipendenza dopo una dura lotta sotto la guida del Fronte di Liberazione del Mozambico (FRELIMO) e del suo leader, l’indimenticabile fratello e compagno Samora Machel (…)

Basti ricordare che nel 1964 il Che viaggiò in nove paesi africani e incontrò i leader patriottici dei movimenti di liberazione. Ritornò a Cuba e nel 1965 ritornò in Congo con un folto gruppo di combattenti cubani. Cito ancora Fidel: “(…) In questo modo, a partire dal 1965, divenne effettiva la nostra collaborazione con la lotta per l’indipendenza del Congo, così come in Angola e Cabinda, che era territorio angolano. In tutti i casi la nostra collaborazione è consistita essenzialmente nella preparazione dei quadri, nell’invio di istruttori e nell’aiuto materiale. (…) Mentre Cuba era in Angola e questo paese era invaso dai sudafricani, gli Stati Uniti riuscirono a trasferire nel Sud Africa, Sud Africa fascista e razzista, diverse bombe nucleari, simili a quelle esplose a Hiroshima e Nagasaki. , per questo motivo quella guerra in Angola, cosa che a volte si dimentica, è stata condotta da combattenti cubani e angolani contro un esercito e un regime che disponeva di otto armi nucleari fornite dagli Stati Uniti attraverso quell’eterno elettore favorevole al blocco. Cos’è Israele? E le loro speranze che ce li scaricassero addosso non erano poche…”

Prima parlavo del tessuto articolato della nostra storia e proprio pochi giorni fa, il 9 agosto, si celebrava la “Giornata mondiale dei crimini americani contro l’umanità”, in memoria e condanna del terrorismo degli Stati Uniti a Hiroshima e Nagasaki.

Come dice più o meno la poesia “tutto passa e tutto resta, ma il nostro è camminare facendosi strada, quando si cammina…” e in questo caso non di mare ma di irrimediabile consapevolezza e memoria del passato storico e costante crimine che il colonialismo e l’imperialismo.

In questo intricato tessuto della storia, gli autori, i criminali sono ancora attivi e determinati a porre fine alla nostra specie, quindi manteniamo vigile la nostra memoria e agiamo con determinazione contro di loro, in ogni luogo in cui si trovano, in ogni momento, in ogni situazione. , senza mai confonderci su chi sono e come agiscono, quanti travestimenti usano per disarmare ideologicamente e confondere la gente, quanto terrore e criminalità hanno seminato e continuano a seminare con l’unico scopo di appropriarsi del nostro diritto assoluto e inalienabile ad una vita Umana piena per tutti.

Molte volte abbiamo detto che Cuba è l’Umanità. La nostra Cuba internazionalista ci ha insegnato che la lotta per l’Umanità è una lotta unica e che, nonostante le difficoltà che sta attraversando a causa del blocco (un altro crimine contro l’umanità che un giorno giudicheremo e per il quale saranno condannati all’eterno inferno dei crudeli, direbbe Dante) – resiste e ha bisogno del nostro internazionalismo attivo, del nostro massimo sforzo nella lunga lotta contro un impero in declino assoluto ma non fatale. Dipende da noi, da esseri umani con coscienza e determinazione a lottare, che questo maledetto periodo di egemonia dell’impero del crimine finisca.

Festeggiamo il 97° compleanno di Fidel, raddoppiando i nostri sforzi e consapevoli che potremo vivere in pace e come vera Umanità solo quando il mostro sarà assolutamente sconfitto. Questa è la strada e la tempesta rossa che viene dall’Africa con il peso dell’internazionalismo cubano come bussola lo conferma ancora una volta.

¡Patria o Muerte!

Venceremos!

[1] In Angola, 427.000 cubani hanno compiuto una missione internazionalista tra il 1975 e il 1991, di cui 377.000 come combattenti e 50.000 come collaboratori nei settori della sanità, dell’istruzione, dell’edilizia, dell’amministrazione e in altri ambiti. 2.077 combattenti cubani caddero nella missione internazionalista contro gli aggressori razzisti del Sud Africa e gli agenti dell’imperialismo.

Fonte: Razones de Cuba

Traduzione: italiacuba.it

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