Blocco e genocidio

José Ernesto Nováez Guerrero

Il genocidio non è solo lo sterminio diretto con le armi. È anche la distruzione della qualità della vita, delle condizioni materiali di vita di una popolazione. È l’impoverimento premeditato, l’asfissia economica e la persecuzione di tutte le strade attraverso le quali una piccola economia può tentare di riprodursi.

Questo 2 novembre, per la trentunesima volta consecutiva, il mondo ha respinto, in maniera massiccia, il blocco USA contro Cuba. Con 187 voti favorevoli, due contrari (USA e “Israele”) e un’astensione (Ucraina), il risultato dimostra lo schiacciante consenso internazionale sul carattere illegittimo e ingiustificato di quell’insieme di misure che noi cubani chiamiamo blocco e la politica USA classifica sotto l’eufemismo di embargo.

E mentre noi cubani che amiamo la nostra isola festeggiamo la vittoria, a Gaza continua a svolgersi la sanguinosa offensiva israeliana. Oggi il Ministero della Sanità della Striscia ha reso noto il nuovo bilancio delle vittime dell’aggressione israeliana: oltre 9mila morti, di cui 3760 bambini e 2326 donne e oltre 32mila feriti. Ospedali sull’orlo del collasso e blocco totale di tutti i prodotti di prima necessità.

Entrambe le notizie, viste nel loro insieme, possono essere utili per riflettere sul genocidio e sul capitalismo contemporaneo.

Nei suoi oltre sessant’anni di applicazione, il blocco contro Cuba ha cercato di deteriorare l’economia cubana e le sue capacità di riproduzione, in modo che incida sulla qualità della vita del popolo cubano e provochi fame e l’estrema disperazione a cui puntava il famoso memorandum, del 1960, di Lester Mallory, allora vice sottosegretario del Dipartimento di Stato USA. L’obiettivo è incanalare questo malcontento a fini politici e distruggere, nella coscienza della popolazione cubana, il socialismo come alternativa praticabile per lo sviluppo della nazione, nel quadro di un progetto di sovranità e giustizia sociale.

La logica strumentale genocida evidenziata nel documento di Mallory si collega alla concezione che ha predominato nelle élite del capitalismo transnazionalizzato del XX secolo. Il mondo emerso dopo la II Guerra Mondiale è il risultato di un consenso tra le potenze vincitrici, consenso dal quale l’Unione Sovietica sarebbe stata presto esclusa, passando a configurare quel terribile “altro” della Guerra Fredda, la cui malvagità intrinseca e perversi maneggi spiegano e giustificano tutti gli atti dell’Occidente e del suo egemone, gli USA, auto-percepiti come difensori dei valori universali.

L’intera architettura finanziaria, militare e politica di quel secondo dopoguerra, come il mondo coloniale costruito dalla colta Europa, riposa sul predominio e sugli interessi delle élite per le quali, nella peggiore lettura possibile di Machiavelli, il fine giustifica qualsiasi mezzo. Emerge, inoltre, in un mondo in cui la razionalità del capitale è già completamente egemonica o è in procinto di esserlo. La fredda razionalità del calcolo economico, il ritorno dei profitti e il tasso di profitto crescente.

Questa logica, rivestita di un discorso di sviluppo e presentata come civilizzazione, al riversarsi sugli individui e sui popoli, si collega alla logica precapitalista di presentare società puramente commerciali come società di civilizzatrici o salvifiche. È una logica che aspira al dominio totale e per la quale non esiste altro modello di organizzazione sociale se non quello da essa santificato e difeso. È una visione univoca delle società umane, dove tutta l’etica e tutti i valori sono piegati alla convenienza, seguendo gli interessi incontaminati del capitale.

Secondo questa logica non esiste altra possibilità di sviluppo che non sia quella capitalista. Il sistema economico è fine a se stesso, e i popoli sono soggetti a quell’unica via, pena la punizione violenta per chiunque osi esercitare il minimo atto di autodeterminazione. Ecco perché l’egemone USA punisce brutalmente Cuba e Venezuela, accusandoli di dittature antidemocratiche, mentre alcuni dei suoi alleati geopolitici sono, né più né meno, che monarchie. Ecco perché ripetono fino alla nausea che Israele è “l’unica democrazia del Medio Oriente”, mentre stendono una cappa di silenzio mediatico e politico sul carattere genocida e razzista dello Stato israeliano.

Perché secondo questa logica il genocidio è esecrabile solo quando viene compiuto contro determinati popoli e a determinate condizioni. Ancor più, per questa logica, il genocidio è un ulteriore strumento, disponibile e utile, nel processo di costruzione e consolidamento della propria egemonia.

La versione più cruda della natura genocida di questa logica, nel XX secolo, è stata senza dubbio offerta dalla Germania nazista. Il suo razzismo “scientificamente” documentato che dava il diritto, alla razza superiore, di sbarazzarsi dei “subumani” con tutti i mezzi a sua disposizione, dota il grande genocidio della II Guerra Mondiale, ma in particolare al genocidio ebraico, un carattere senza precedenti nella storia.

Per la prima volta, uno stato moderno utilizzava tutti i progressi scientifici e tecnologici al fine di distruggere una città o un gruppo di popoli. E tutta la sua intellighenzia in funzione di giustificare e dotare di radici storiche, sociologiche e politiche ciò che non era altro che razzismo e suprematismo. Sebbene il colonialismo europeo abbia avuto sanguinose prove generali di questa barbarie, non aveva mai raggiunto tali dimensioni.

Il genocidio fa parte della natura del capitalismo odierno. Per questo motivo, lo Stato di “Israele” ha potuto agire come una macchina imperialista ed etnocida senza che nessuna delle grandi potenze occidentali agisca con decisione per contenerlo, al contrario, ha ricevuto il totale appoggio dell’ egemone e dell’Unione Europea, suo vagone di coda.

(Qui converrebbe precisare che essere nemico dello Stato di “Israele” non implica in alcun modo essere antisemita. Lo Stato di “Israele” è un marchingegno politico-militare posto al servizio dell’agenda imperialista, suprematista e razzista, che non esita a qualificare i palestinesi come “animali”, per giustificarne lo sterminio. Il popolo ebraico e la cultura ebraica sono molto più ampi, ricchi e diversificati di quel marchingegno, così come il popolo tedesco e la cultura sono molto più che il marchingegno statale nazista.)

Per questo, malgrado lo schiacciante appoggio della comunità internazionale, il rappresentante USA ha potuto, questo 2 dicembre, con totale sangue freddo, negare l’esistenza del blocco contro Cuba e giustificare le misure adottate dal suo governo come misure in funzione del migliore interesse del popolo cubano. Un popolo che, per non andare oltre, ha visto come, nel mezzo della crisi globale e nel quadro della pandemia e del post-pandemia di Covid-19, lungi dall’attenuare sono incrementate le sanzioni contro di lui. Sanzioni che colpiscono tutti i settori, benché il discorso ufficiale nordamericano ripeta che non colpiscono la società civile, ma solo il governo.

Quante vite si sono perse, si perdono o rischiano di essere perse a causa di queste misure? Il calcolo è molto difficile da fare, poiché oltre alle vittime dirette si aggiungeranno le collaterali e la lacerazione che le difficilissime condizioni quotidiane impongono alle persone e alle famiglie. Ciò non appare in nessuna statistica. È il costo silenzioso dei genocidi, quello che penetra più in profondità ed è più difficile da stimare.

Il genocidio non è solo lo sterminio diretto con le armi. È anche la distruzione della qualità della vita, delle condizioni materiali di vita di una popolazione. È l’impoverimento premeditato, l’asfissia economica e la persecuzione di tutte le strade attraverso le quali una piccola economia può tentare di riprodursi.

Il dibattito sul blocco contro Cuba, motivato dalla vittoria di questo 2 novembre, solo acquista tutto il suo significato, lo ripeto, se visto da una prospettiva più ampia, che comprende anche ciò che accade in Palestina e in altre regioni del mondo. Deve essere un dibattito dalla posizione di scontro critico con un ordine internazionale apparentemente basato su regole, ma retto, in pratica, da una fredda razionalità strumentale. Contro una comunità internazionale i cui organismi possono fare poco oltre la denuncia, tiepida in alcuni casi, enfatica in altri, ma sempre ignorata dall’egemone, dai suoi alleati e dai suoi interessi. Dalla lotta permanente al genocidio come pratica abituale del capitalismo. Sia il brutale genocidio del lacchè israeliano contro il popolo palestinese, come le misure, sanzioni e blocchi concepiti per far arrendere i popoli per fame e bisogno, l’ecocidio alle basi della vita sul pianeta, il massacro quotidiano della fame e delle malattie curabili.

Siamo di fronte ad un mondo malato. Il genocidio è uno dei suoi sintomi. Ritorna, come un letargo, la vecchia nota di Gramsci secondo cui il nuovo non è ancora nato e il vecchio sta morendo e in quel momento sorgono i mostri.


Bloqueo y genocidio

José Ernesto Nováez Guerrero

El genocidio no es solo el exterminio directo por las armas. Es también la destrucción de la calidad de vida, de las condiciones materiales de vida de una población. Es el empobrecimiento premeditado, la asfixia económica y la persecución de todas las vías por las cuáles una pequeña economía puede intentar reproducirse.

Este 2 de noviembre, por trigésimo primera ocasión consecutiva, el mundo acaba de rechazar masivamente el bloqueo de Estados Unidos contra Cuba. Con 187 votos a favor, dos en contra (Estados Unidos e “Israel”) y una abstención (Ucrania), el resultado demuestra el aplastante consenso internacional sobre el carácter ilegítimo e injustificado de ese conjunto de medidas que los cubanos llamamos bloqueo y la política estadounidense clasifica bajo el eufemismo de embargo.

Y mientras los cubanos que amamos a nuestra isla celebrábamos la victoria, la sangrienta ofensiva israelí continúa desarrollándose en Gaza. Hoy el Ministerio de Salud de la Franja dio un nuevo parte de las víctimas que se ha cobrado la agresión israelí: más de 9 mil muertos, de ellos tres mil 760 niños y dos mil 326 mujeres y más de 32 mil heridos. Hospitales al borde del colapso y un bloqueo total de todos los productos básicos.

Ambas noticias, vistas de conjunto, pueden ser útiles para reflexionar sobre el genocidio y el capitalismo contemporáneo.

En sus más de seis décadas de aplicación, el bloqueo contra Cuba ha buscado deteriorar la economía cubana y sus capacidades de reproducción, de modo que se afecte la calidad de vida del pueblo cubano y se provoque el hambre y la desesperación extrema a la cual apuntaba el famoso memorándum de 1960 de Lester Mallory, entonces subsecretario adjunto del Departamento de Estado norteamericano. El objetivo es canalizar con fines políticos este descontento y destruir en la conciencia de la población cubana el socialismo como alternativa viable para el desarrollo de la nación, en los marcos de un proyecto de soberanía y justicia social.

La lógica instrumental genocida evidenciada en el documento de Mallory conecta con la concepción que ha predominado en las élites del capitalismo transnacionalizado del siglo XX. El mundo emergido luego de la II Guerra Mundial es el resultado de un consenso entre las potencias vencedoras, consenso del cual la Unión Soviética sería rápidamente excluída, pasando a configurar ese “otro” terrible de la Guerra Fría, cuya maldad intrínseca y manejos perversos explican y justifican todos los actos de un Occidente y de su hegemón, los Estados Unidos, autopercibidos como los defensores de valores universales.

Toda la arquitectura financiera, militar y política de esa segunda postguerra, al igual que el mundo colonial edificado por la culta Europa, descansa sobre el predominio y los intereses de unas élites para las cuáles, en la peor lectura posible de Maquiavelo, el fin justifica cualquier medio. Emerge además en un mundo donde la racionalidad del capital ya es completamente hegemónica o está en proceso de serlo. La fría racionalidad del cálculo económico, el retorno de las utilidades y la tasa creciente de ganancia.

Esa lógica, vestida de un discurso de desarrollo y presentada como civilización, al volcarse sobre los individuos y pueblos, conecta con la lógica precapitalista de presentar empresas descarnadamente comerciales, como empresas civilizatorias o salvadoras. Es una lógica que aspira a la dominación total y para la cual no hay otro modelo de organización social que aquel santificado y defendido por ella. Es una visión unívoca de las sociedades humanas, donde toda ética y todo valor se doblan a conveniencia, siguiendo los prístinos intereses del capital.

Para esta lógica no existe otra posibilidad de desarrollo que no sea la capitalista. El sistema económico es un fin en sí mismo, y los pueblos están sujetos a esa única vía, so pena de castigar violentamente al que se atreva a ejercer el menor acto de autodeterminación. Por eso el hegemón estadounidense castiga brutalmente a Cuba y Venezuela, acusándolas de dictaduras antidemocráticas, mientras algunos de sus aliados geopolíticos son, nada más y nada menos, que monarquías. Por eso repiten hasta la saciedad que Israel es “la única democracia de Oriente Medio”, mientras tienden un manto de silencio mediático y político sobre el carácter genocida y racista del estado israelí.

Porque para esta lógica el genocidio solo es execrable cuando se ejerce sobre determinados pueblos y en determinadas condiciones. Aún más, para esta lógica el genocidio es una herramienta más, disponible y útil, en el proceso de construcción y consolidación de su hegemonía.

La versión más descarnada del carácter genocida de esta lógica, en el siglo XX, la ofrece sin dudas la Alemania nazi. Su racismo “científicamente” sustentado, que daba el derecho a la raza superior de disponer por todos los medios a su alcance de los “subhumanos”, dota al gran genocidio de la II Guerra Mundial, pero en específico al genocidio judío, de un carácter sin precedentes en la historia.

Por primera vez un estado moderno ponía todos los adelantos científicos y tecnológicos en función de destruir a un pueblo o conjunto de pueblos. Y toda su intelligentsia en función de justificar y dotar de raíces históricas, sociológicas y políticas lo que no era más que racismo y supremacismo. Aunque el colonialismo europeo había tenido sangrientos ensayos generales de esta barbarie, nunca había escalado hasta tales dimensiones.

El genocidio es parte de la naturaleza del capitalismo actual. Por esa razón el estado de “Israel” ha podido actuar como una maquinaria imperialista y etnocida sin que ninguno de los grandes poderes occidentales actúe decididamente para contenerlo, al contrario, ha recibido apoyo total del hegemón y de la Unión Europea, su vagón de cola.

(Aquí convendría apuntar que ser enemigo del estado de “Israel” no implica para nada ser antisemita. El estado de “Israel” es un armatoste político-militar puesto al servicio de una agenda imperialista, supremacista y racista, que no duda en calificar a los palestinos de “animales”, con el fin de justificar su exterminio. El pueblo judío y la cultura judía son mucho más amplios, ricos y diversos que ese armatoste, al igual que el pueblo alemán y la cultura alemana son mucho más que el armatoste estatal nazi.)

Por eso, a pesar del contundente apoyo de la comunidad internacional, el representante de EE.UU. pudo este dos de diciembre, con total sangre fría, negar la existencia del bloqueo a Cuba y justificar las medidas tomadas por su gobierno como medidas en función de los mejores intereses del pueblo cubano. Un pueblo que, por no ir más lejos, ha visto como en medio de la crisis mundial y en el marco de la pandemia y post pandemia de la covid-19, lejos de aliviar se recrudecieron las sanciones en su contra. Sanciones que afectan a todos los sectores, aunque el discurso oficial norteamericano repita que no afectan a la sociedad civil, sino solamente al gobierno.

¿Cuántas vidas se han perdido, se pierden o están en riesgo de perderse por estas medidas? La cuenta es muy difícil de sacar, pues a las víctimas directas se suman las colaterales, y el desgarramiento que las muy difíciles condiciones cotidianas imponen a individuos y familias. Eso no figura en ninguna estadística. Es el costo silencioso de los genocidios, el que más hondo cala y es más difícil de estimar.

El genocidio no es solo el exterminio directo por las armas. Es también la destrucción de la calidad de vida, de las condiciones materiales de vida de una población. Es el empobrecimiento premeditado, la asfixia económica y la persecución de todas las vías por las cuáles una pequeña economía puede intentar reproducirse.

El debate sobre el bloqueo a Cuba, motivado por la victoria de este dos de noviembre, solo gana su pleno sentido, reitero, visto desde una óptica mayor, que incluye también lo que está ocurriendo en Palestina y otras regiones del mundo. Debe ser un debate desde la posición de enfrentamiento crítico a un orden internacional supuestamente basado en normas, pero regido en la práctica por una fría racionalidad instrumental. Contra una comunidad internacional cuyos organismos poco pueden hacer más allá de la denuncia, tibia en algunos casos, enfática en otros, pero siempre ignorada por el hegemón, sus aliados y sus intereses. Desde el combate permanente al genocidio como práctica habitual del capitalismo. Tanto el genocidio brutal del lacayo israelí contra el pueblo palestino, como las medidas, sanciones y bloqueos pensados para rendir a los pueblos por hambre y necesidad, el ecocidio sostenido a las bases de la vida en el planeta, la masacre cotidiana del hambre y las enfermedades curables.

Estamos ante un mundo enfermo. El genocidio es uno de sus síntomas. Vuelve, como un letargo, el viejo apunte de Gramsci de que lo nuevo no acaba de nacer y lo viejo no acaba de morir, y en ese momento surgen los monstruos.

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