Argentina, la notte oscura

Fabrizio Casari

Il voto in Argentina sconcerta e preoccupa. Non tanto e non solo per il destino che attende il paese gaucho finito nelle mani di un personaggio che non passerebbe nessuna selezione improntata sul Q.I., quanto per la capacità di attrazione delle sue follie su un Paese che, benché preso nella rete del peronismo agonizzante, seppur orfano della memoria dei suoi anni peggiori, quelli vissuti col terrore nelle vene ed il sangue nelle strade, è dotato di sufficiente cultura e storia politica da saper distinguere un originale da un pazzo, un social-confuso da un fascista, per giunta immerso in un delirio mistico che in Europa sarebbe affrontato con un TSO.

L’Argentina conferma che quando il sistema imperiale a trazione anglosassone avverte rischi di smottamento, è pronto ad ogni risorsa pur di mantenere il comando. Ovviamente, Massa non avrebbe rappresentato un problema per l’establishment finanziario e militare del Paese, ma per gli Stati Uniti ciò non era sufficiente, perché la vittoria del peronista avrebbe confermato l’adesione ai BRICS, autentico incubo per gli USA. La candidatura di Milei è stata allora costruita e sostenuta dal sistema di potere argentino e statunitense. Dopo il Brasile, il prossimo ingresso della Bolivia, del Venezuela e del Nicaragua, i segnali di agitazione che arrivano dalla Colombia, la conferma dell’Argentina nel blocco alternativo all’impero unipolare avrebbe determinato una definitiva inclinazione per la Regione e per il Centroamerica, dove sempre più paesi svolgono consultazioni formali e informali allo scopo di verificare le condizioni di accesso ai BRICS. Facile immaginare le conseguenze che si possono immaginare sulla riduzione progressiva dell’ingerenza USA sul resto del continente. Scansato il rischio in Ecuador, la partita decisiva era a Buenos Aires e gli addetti alla reazione non si sono fatti trovare impreparati.

Il peronismo, che ha smesso da anni di promuovere un progetto politico per dedicarsi a promuovere uomini compatibili da presentare a Washington, ci ha messo del suo nel determinare la vittoria di Milei. Grazie alla candidatura di Massa, che preparato tecnicamente ma privo di idee e carisma, incapace di proporre qualcosa oltre il galleggiamento, è a sua volta erede del peggior funzionario possibile della storia peronista, Alberto Fernandez. Ovvero colui che eletto per azzerare la tragedia di Macrì, ha finito di piegare l’Argentina ai voleri del FMI. Fernandez è il maggior colpevole dell’abbandono degli elettori dei ceti popolari e della scelta di indirizzare il loro voto pensando di non aver più nulla da perdere. L’ex presidente si era rimangiato ogni promessa elettorale, ogni impegno preso e dal suo arrivo alla Casa Rosada si era preoccupato soprattutto di consegnare le leve decisionali del Paese al FMI ed agli USA che lo dirigono e di contrastare la sinistra interna che lo aveva eletto e quella internazionale che lo aveva sostenuto.

Milei è venuto alla ribalta perché persino la destra non aveva un personaggio presentabile tra le sue fila. Impossibile ripresentare un Macrì qualunque, la destra argentina ha dato ascolto ai teorici della costruzione del personaggio esterno, che spariglia e vince in un contesto di sistema bloccato. Serviva dunque un outsider, da utilizzare per scalzare la prosecuzione del peronismo, non per rimettere in sesto l’Argentina, che anzi peggio sta e più redditizia è vista da Washington. Stabilito che Milei poteva essere il personaggio giusto al momento giusto, gli è stata costruita intorno una campagna mediatica di legittimazione ed è stato presentato non come un pazzo furioso da tenere lontano anche dal governo di un condominio ma come uomo geniale e fuori dagli schemi, ultima risorsa per un Paese disastrato da governi disastrosi.

E’ stata la vittoria del sistema mediatico, che ha dimostrato il controllo sul mercato della circolazione delle idee, sulla capacità di orientare le scelte politiche attraverso la manipolazione della realtà, sostituita dall’affermarsi del surreale, stravolgendo non solo il pensiero, i fatti e le opinioni ma addirittura il senso comune.

Nessuna persona dotata di raziocinio, di senso logico e di decenza, quale che sia il luogo del mondo in cui vive, potrebbe mai pensare di trasformare un pazzo in Presidente, di accettare alcune tesi che meriterebbero uno psichiatra all’ascolto come programma di governo per una nazione. Almeno questo si sarebbe portati a credere: la capacità di discernimento e la competenza pur minima del gioco politico immaginiamo che siano gli elementi principali che spingono gli elettori in una direzione o in un’altra.

Eppure, da anni a questa parte, succede che interi paesi si affidano a personaggi che starebbero bene in un circo. Gli affidano il loro personale futuro e quello del loro paese. Ma perché succede tutto questo? Quando è cominciata la fine degli scontri ideologici e politici per lasciare spazio a quella tra ragionevolezza e follia?

E’ cominciata quando la Sinistra, che potremmo chiamare la ragionevolezza dell’utopia, ha deciso di abdicare al suo ruolo in favore delle compatibilità con i potenti. Così la rappresentanza dei diritti degli ultimi è divenuta adulazione dei primi: quando si è deciso che l’economia non è uno strumento della politica ma viceversa e che non sono le scelte economiche a dover servire il Paese ma è questo ad essere al servizio dell’economia al servizio degli interessi dei potenti. Che si presentano al riparo di teorie economiche ridicole, mai dimostrate e figlie dell’unico obiettivo riconosciuto: trasferire la ricchezza di tutti nelle mani di pochi e rendere vincente un modello perdente.

Il discorso pubblico è stato violentemente amputato di ogni concetto relativo all’uguaglianza tra le persone, all’ampliamento dei diritti universali e alla parità tra i generi, alla difesa dell’ascensore sociale ed alla solidarietà con chi fa più fatica. Questi erano i vessilli al vento della Sinistra, intesa come sistema valoriale ed impianto organizzativo della rappresentazione degli umili, luogo del loro riscatto e della speranza di ridurre le distanze tra il sopravvivere e il vivere, riequilibrio dell’ingiusto e dell’intollerabile, dell’abusivo e della prepotenza, della distanza tra chi ha tutto e chi non ha nulla.

La follia non fa parte delle categorie politiche usualmente dibattute, così come l’autolesionismo dei popoli, che a volte li spinge a passi veloci verso l’abisso, non ha necessariamente una bandiera ideologica. Si esercita attraverso l’odio e il rancore, è figlio di una rabbia accumulata che segue la delusione dopo l’illusione.

Una miscela di sentimenti, più che un prodotto di analisi politica, che si manifesta a seguito di una frustrazione di massa, di una attesa tradita, di promesse non mantenute. In un tourbillon di fanatismo e irragionevolezza, figli della disperazione, dà voce agli istinti di sopravvivenza e quindi più bestiali, di chi avverte ogni tornata elettorale l’occasione per la sua vendetta e non per la speranza. Da qui l’identificazione persino fisiognomica con un uomo i cui tratti estetici riconducono alla licantropia e che ama farsi ritrarre con l’espressione di un animale aggressivo che fa dell’odio dichiarato e dell’insulto la sua cifra verbale.

Come prima con Trump e Bolsonaro, ora con Milei l’odio e il fanatismo sono diventati merce preziosa, elettoralmente spendibili. Sono i caratteri peculiari delle nuove destre, ovunque, in America Latina, come negli USA, come in Europa. Ovunque. La destra di natura repubblicana, che riteneva il liberalismo una dottrina dello sviluppo economico agganciato alle libertà individuali, è morta da decenni. Del tutto superata l’era della presentabilità e degli argomenti da esporre, merce ormai scaduta e orfana del discorso pubblico. Prevale invece l’irrazionale sul razionale, l’odio sulla ragionevolezza, la menzogna sulla verità, l’aggressività sul dialogo.

Il fatto che siano stati Bolsonaro e Trump i primi a complimentarsi e che potrà contare sulle simpatie della destra internazionale, che supererà ogni vergogna per proteggerlo dai suoi errori e dalla sua follia. Era dalla fine della dittatura militare che l’Argentina, pur tra mille difficoltà e mille errori, non si trovava di nuovo di fronte alla notte oscura. Saranno anni durissimi dove si dovrà resistere e sopravvivere all’orda fascista e folle di questo personaggio.


Con Milei inizierà il quarto ciclo neoliberista in Argentina degli ultimi 50 anni

di Alfredo Zaiat – Pagina|12

Con il ripetuto slogan della libertà, il governo di Javier Milei inaugurerà un altro periodo di disarticolazione del tessuto socio-produttivo, una valutazione che nasce dai suoi stessi principi economici, gli stessi di Martínez de Hoz, Menem-Cavallo e Macri. Ognuna di queste esperienze si è conclusa con costi estremamente elevati per la maggioranza della popolazione.

Il percorso economico di quest’anno elettorale è stato all’insegna dell’incertezza e si prevedeva che lo sarebbe stato ancora di più all’indomani del voto, ma con maggiore o minore intensità a seconda del vincitore. Ora questo fattore di instabilità sta assumendo la dimensione dello scenario peggiore.

Chi avrà il controllo della gestione economica nel governo liberale libertario (la rinnovata definizione di neoliberale)? La squadra di Macri che ha fallito nel 2015-2019, guidata da Federico Sturzenegger, o l’eterogeneo gruppo di economisti ultra-ortodossi guidati da Emilio Ocampo e Héctor Rubini. Se quest’ultimo dovesse prevalere, Rubini avrà un ruolo di primo piano.

Questo economista dell’ortodossa Universidad del CEMA ritiene che, in termini generali, l’economia debba tornare a un contesto simile a quello degli anni ’90 di deregolamentazione, flessibilizzazione del lavoro e apertura commerciale e finanziaria. Ciò implica, per il settore agricolo, l’eliminazione delle quote di esportazione, la riduzione delle imposte e l’eliminazione delle ritenute alla fonte.

Queste misure comportano un aumento immediato dei prezzi di alimenti e bevande. Il balzo inflazionistico sarà più significativo con la liberalizzazione del mercato dei cambi.

Tutti gli economisti dell’alleanza libertario-macrista sono convinti che un’inflazione ancora più alta di quella attuale sarà il fuoco dell’inferno purificatore di una società abituata alla protezione dello Stato. Una copertura che richiede risorse pubbliche, che significa emettere moneta e che, racchiusa nel quadro teorico del monetarismo estremo, genera uno stato di inflazione permanente e crescente.

Non è un mistero, sulla base delle esperienze proprie e altrui, che i Paesi che applicano un aggiustamento fiscale e monetario molto forte possono ridurre l’inflazione a un costo immenso in termini di attività economica e occupazione. La recessione porta a livelli di depressione e ad un alto tasso di disoccupazione. In questo modo, i lavoratori formali e informali e le imprese nazionali saranno gettati nel fuoco purificatore.

Il presidente eletto lo ha detto, sfoderando un’espressione facciale simile a quella di Joker, nell’intervista con Jaime Bayly: “La casta sono gli imprenditori che, quando vado a fare una conferenza, parlano male di me, i corrotti della Camera delle Costruzioni argentina. Il problema è che dovranno competere con me. Cioè, dovranno guadagnarsi il pane con il sudore della fronte. In altre parole, dovranno servire il prossimo con prodotti di migliore qualità o a prezzi migliori, altrimenti andranno in bancarotta”.

Si prospetta quindi l’inizio di un quarto ciclo di distruzione del tessuto socio-produttivo, con il ben noto risultato di una diminuzione delle industrie e di una costante perdita di posti di lavoro formali di qualità.

Il contenuto e l’esito del processo che inizierà il 10 dicembre non è una speculazione politica o una previsione economica nello stile dei consulenti della city, ma il risultato dell’apprendimento della storia e della definizione stessa data dagli economisti di diversi schieramenti che sono vicini al presidente eletto. Con il ripetuto slogan della libertà, le dichiarazioni di Javier Milei in questi mesi di campagna elettorale hanno permesso di individuare i contorni principali del piano economico:

* Libertà dei prezzi con l’eliminazione dei controlli sui prezzi.

* Libertà di transazioni in valuta estera con l’eliminazione dei controlli sui cambi.

* Libertà di commercio estero.

* Libertà di esportazione ed eliminazione dei divieti e delle tasse sulle esportazioni.

* Libertà di importazione.

* Eliminazione delle tariffe politiche sui servizi pubblici.

* L’eliminazione dei sussidi e delle protezioni eccessive per alcuni settori privilegiati dell’economia che la distorcono.

* La riduzione del deficit di bilancio nazionale e il suo finanziamento non inflazionistico.

* La riduzione e la razionalizzazione della spesa pubblica.

* L’avvio di un programma di privatizzazione delle imprese statali.

Questo stesso piano, punto per punto, fu presentato alla televisione nazionale il 2 aprile 1976 dal ministro dell’Economia della dittatura militare José Alfredo Martínez de Hoz. È lo stesso programma applicato negli anni ’90 durante il ‘menemismo’ e ripreso nel 2015-2019 dal governo ‘macrista’.

Il risultato è stato e sarà lo stesso: un’enorme crisi economica con alti costi socio-lavorativi.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.