Le ceneri del partigiano italiano Gino Doné in viaggio verso Cuba

Le ceneri del partigiano italiano Gino Doné che partecipò alla rivoluzione cubana con Castro e Guevara in viaggio verso Cuba. La storia.

 

Voleva riposare per sempre insieme ai suoi compagni: Fidel Castro, Che Guevara e tutti gli altri. Finalmente la sua volontà sarà realizzata.

Le ceneri di Gino Donè, partigiano italiano e unico europeo ad aver partecipato alla Rivoluzione cubana, verranno portate a L’Avana, dove sarà celebrato dalle più alte cariche dello Stato come un eroe. Una storia incredibile, quella di Gino Donè, morto nel 2008 a 84 anni. E poco conosciuta. Eppure, tra le fila della Resistenza contro i nazifascisti in Veneto e lo sbarco in terra cubana insieme agli altri 81 del Granma – la motonave divenuta iconica nella storia della Revolución – c’è tanto da raccontare su quello che Fidel chiamava “El italiano”. Una vita avventurosa, fatta di sacrifici, umiltà, lavoro. Ma anche di lotta e di viaggi, tra l’Europa e l’America Latina in particolare. Ora, grazie all’Associazione nazionale d’amicizia Italia-Cuba e alla sua famiglia, Gino Donè potrà attraversare per l’ultima volta l’Atlantico.

Dalla Resistenza alla Revolución- Nato a San Biagio di Callalta (Treviso) il 18 maggio 1924, Gino Donè crebbe in povertà. A tre anni si trasferì con la famiglia di braccianti nel Sandonatese, nord della provincia di Venezia. Dopo le scuole divenne militare. L’8 settembre 1943, data dell’armistizio, era a Pola, in Istria. Da lì tornò via mare a Venezia e si unì alla Resistenza con la Brigata partigiana Piave. Partecipò a diverse battaglie e quando arrivarono gli Alleati si unì alla missione Nelson, aiutando gli angloamericani a combattere e sconfiggere i nazifascisti in Veneto. Nel 1946, finita la guerra, Donè venne premiato con un encomio solenne da parte del generale in capo britannico Harold Alexander. L’anno dopo fu tra i fondatori della sezione provinciale di Venezia dell’Anpi. Poi, complice la disoccupazione, decise di girare il mondo. Prima in Europa: Francia, Belgio, Germania, dove lavorò come minatore, cameriere, muratore. Poi in America: si imbarcò su una nave mercantile e raggiunse il Canada. Da lì si spostò a Cuba. Nella capitale, L’Avana, dove lavorò come carpentiere, e poi a Santa Clara e a Trinidad, dove sposò Norma Turino Guerra.

Fu lì, grazie alla conoscenza di Aleida March de la Torre – amica di sua moglie e futura seconda moglie di Che Guevara – che Gino Donè entrò in contatto con il movimento clandestino “26 luglio”, guidato da Fidel Castro. A quella data, nel 1953, era infatti legato l’assalto alla caserma Moncada a Santiago, nell’Oriente cubano. Un attacco fallito, ma che segnò l’inizio della rivoluzione dei barbudos. Erano gli anni in cui Fulgencio Batista, con l’appoggio degli Stati Uniti, instaurava una dittatura nell’isola caraibica. Quando Fidel Castro, dopo l’arresto, l’amnistia e la fuga in Messico, venne a sapere che a Trinidad c’era un italiano che sapeva usare molto bene le armi e aveva combattuto durante la Liberazione in patria, lo fece mandare a chiamare in Messico (“Mandatemi l’italiano”). Donè, “bruciato” dai batistiani e costretto alla clandestinità, raggiunse i guerriglieri che preparavano una spedizione via mare, rendendosi utile nell’addestramento militare. Tra i suoi compagni, oltre a Fidel e Raúl Castro, c’erano Camilo Cienfuegos e l’argentino Ernesto Guevara, che alcuni già chiamavano Che.

Quando si trattò di imbarcarsi sul piccolo Granma, il 25 novembre 1956, Fidel volle che a bordo ci fosse anche Donè: 82 membri, tutti cubani tranne un messicano, un dominicano, un argentino (il Che) e “l’italiano”. Da Tuxpan, in Messico, i ribelli raggiunsero Cuba naufragando a Playa Las Coloradas. Nel caos, Gino Donè aiutò Che Guevara, in preda a un attacco d’asma. Non fu un successo: l’esercito li scoprì e aprì il fuoco tre giorni dopo ad Alegría del Pío, mettendo in fuga i guerriglieri. Il resto è storia: dalle montagne della Sierra Maestra i ribelli si riorganizzarono, conquistando Cuba e mettendo in fuga Batista col sostegno della popolazione, fino al trionfo della Rivoluzione, il 1° gennaio 1959. Ma Gino Donè non partecipò all’avanzata trionfale: di lui si persero le tracce dalla fuga sulla Sierra Maestra. Si dice sia tornato clandestinamente a Trinidad, senza più combattere ma senza abbandonare il sostegno alla causa rivoluzionaria. Un mistero i decenni successivi, di cui si sa che Donè visse in Florida, risposandosi dopo la morte della prima moglie. Vari i tentativi di tornare a Cuba, ma senza successo per motivi burocratici.

“El italiano”: il ricordo e gli onori a Cuba – Quel che è certo è che tra gli anni ’90 e 2000 riuscì finalmente a tornare più volte nella sua amata Cuba, incontrando i vecchi compagni del Granma, da Ramiro Valdés a Fidel Castro. Un incontro, quest’ultimo, particolarmente emozionante per “l’italiano”, che alla vista del “Comandante” disse: “Io sarò con te fino alla mia ultima goccia di sangue”. “Ne è passato di tempo, ma finalmente eccoci qui”, rispose Fidel abbracciando calorosamente Gino Donè, decorato e ricordato anche nel Museo de la Revolución all’Avana, dove compare in un album ingiallito tra gli 82 del Granma, con un ritratto tondo e il suo nome. Tra i viaggi a Cuba degli ultimi anni, molti furono organizzati dall’Associazione Italia-Cuba, cui Donè si iscrisse una volta rientrato in Italia, a San Donà di Piave (Venezia), dalla famiglia. “Una persona molto riservata, schiva”, è il ricordo per Ilfattoquotidiano.it di Marco Papacci, presidente dell’associazione. “Lo cercammo subito e lui si mise a disposizione, partecipando a centinaia di incontri su tutto il territorio nazionale, finché è rimasto in vita”. Donè morì il 22 marzo 2008 a San Donà di Piave. In occasione del suo funerale furono recapitate due corone di rose rosse, una da parte di Fidel Castro e una dell’Ambasciata cubana in Italia.

È stata la famiglia di Donè, tramite il proprio avvocato, a contattare l’Associazione Italia-Cuba. “Gino aveva espresso la volontà di essere cremato e sepolto insieme ai suoi compagni granmisti, nel Pantheon delle forze armate cubane”, spiega Papacci. E così, tra varie procedure burocratiche interrotte dal Covid, le ceneri di Gino Donè sono state consegnate alla storica associazione di amicizia tra i due paesi, nata nel 1961 dopo l’invasione alla Baia dei porci fallita dai controrivoluzionari. Il 27 novembre una delegazione partirà dall’Italia portando l’urna contenente le ceneri di Donè. Il 2 dicembre, giorno delle forze armate cubane e anniversario dello sbarco del Granma, Donè verrà tumulato e celebrato alla presenza delle più alte cariche dello Stato. Forse dello stesso Raúl Castro, uno dei quattro granmisti ancora in vita. Un ultimo viaggio reso possibile anche grazie alla collaborazione dell’Ambasciata cubana in Italia e del circolo Vittorio Tommasi di Venezia, sezione locale dell’Associazione Italia-Cuba, dove Donè era iscritto. “C’è una fotografia storica che ritrae l’abbraccio tra Gino Donè e Fidel Castro – anticipa Marco Papacci – Questa sarà l’immagine della tessera dell’Associazione Italia-Cuba nel 2024”. Quando cadrà il centenario della nascita di Gino Donè.

Fonte: il Fatto Quotidiano


5.12 – Realizzando il desiderio postumo di uno dei partecipanti alla spedizione dello yacht Granma, l’italiano Gino Donè, membri dell’Associazione  Nazionale d’Amicizia Italia-Cuba hanno portato a Cuba le sue ceneri, che sono state inumate la mattina del 2 dicembre in una cerimonia militare nel Cimitero di  Colón.

Marco Papacci, presidente dell’Associazione, ha commentato che ci sono voluti 15 anni per compiere le ultime volontà di Gino, che fece parte del gruppo di 82 uomini selezionati da Fidel Castro Ruz per percorrere la rotta da Tuxpan, in Messico, alla spiaggia Las Coloradas, per iniziare la lotta armata nella Sierra Maestra; lo scelsero perché aveva combattuto contro i nazisti nella Seconda Guerra Mondiale e per le sue conoscenza militari.

«La famiglia ha dovuto mettersi d’accordo. Poi il loro avvocato mi ha telefonato e ha chiesto di portare le sue ceneri a Cuba. Avevamo iniziato le documentazioni, ma le misure di restrizione per via della pandemia della Covid 19 e la chiusura delle frontiere, ci hanno impedito d’avanzare più rapidamente. Nell’agosto dell’anno scorso avevo parlato con il Presidente Díaz-Canel, e  attraverso l’Istituto Cubano di Amicizia con i Popoli e l’Ambasciata cubana in Italia abbiamo realizzato l’iniziativa, con sforzi e risorse della nostra organizzazione. Abbiamo preparato una delegazione che ci ha accompagnato nel viaggio. Al nostro arrivo siamo stati ricevuti in un incontro emozionante dai compagni delle Forze Armate Rivoluzionarie.

«È avvenuta una triste casualità: il giorno in cui mi hanno consegnato le ceneri di Gino, il 15 marzo del 2022 uscendo dall’ufficio dell’avvocato ho ricevuto una telefonata che mi ha annunciato la morte di mio padre. Per me è stata una metafora questa coincidenza, perché io considero padre tutti e due».

• Ha conosciuto in vita Gino Doné?

Il trionfo della Rivoluzione in Cuba vede Gino che viveva a Nuova York, negli USA, ma quando tornò in Italia nel 2003, lui si integrò attivamente alla nostra organizzazione, perché non smise mai di apportare con i suoi semplici sforzi.

Presentandolo in vari incontri e conoscendo la sua storia movimentata, le persone gli chiedevano della sua conoscenza di Fidel e del Che, ma lui non rispondeva  perché lo caratterizzavano la modestia e la riservatezza, oltre a una grande nobiltà. Io lo considero un simbolo dell’unità tra Cuba e Italia».

•Che iniziative ha realizzato l’Associazione nel 2023?

Abbiamo consegnato recentemente una donazione di 50 000 euro al Centro d’Ingegneria Genetica e Biotecnologia per le investigazioni sul dengue, colletta realizzata grazie agli sforzi di persone che condividono quello che hanno per amore di Cuba. Vogliamo fare un’altra donazione simile nei prossimi mesi.

« Partecipiamo al Tribunale internazionale contro il blocco a Cuba, realizzato in novembre a Bruxelles  e vogliamo divulgare questa sentenza a tutti i livelli del Governo del mio paese. Il Vertice dei Popoli realizzato a Bruxelles ha contato con la nostra presenza e prepariamo la nostra comunità per ricevere la vista a Roma del Presidente Díaz-Canel.

Appoggiamo la brigata dei medici cubani che lavora in Calabria.

Tra le altre attività abbiamo realizzato l’incontro nazionale e accordato di continuare a partecipare alle carovane e alle manifestazioni  pubbliche contro il blocco che si realizzano nell’ultimo fine settimana di ogni mese in tutto il mondo. È stato un anno intenso con molto lavoro e soddisfazione».

• Che rotta tracciate per il 2024?

«Il prossimo anno la nostra organizzazione lo dedicherà al centenario della nascita di Gino Doné, e le tessere per i nuovi affiliati avranno questo logotipo. Continueremo con la denuncia del blocco, lavorando alla raccolta di donazioni, ma cercando di far firmare accordi di cooperazione dalle sfere del Governo, per un miglior appoggio a questo popolo. Stiamo già concretando le iniziative per il nostro incontro nazionale, e vorremmo che partecipassero l’eroe Ramón Labañino e la cantante Annie Garcés. Sarà un altro anno molto intenso».

• Perché appoggiare Cuba e la sua Rivoluzione?

«Credo che il mondo intero lo deve a Cuba, a questo popolo di Fidel che ha dimostrato che Cuba è un paese che non esporta bombe, ma esporta solidarietà».


Gino Donè: da partigiano italiano a ribelle della spedizione dello yacht Granma

 

Al principio del 1956, l’italiano s’incorporò ufficialmente al Movimento 26 di luglio. Realizzò due viaggi in Messico, portando documenti e denaro a Fidel, nascosti nella fodera della sua giacca, senza che le autorità sospettassero di lui come rivoluzionario.

Quando lo yacht Granma salpò in una fredda mattina dal porto messicano di Tuxpan rotta a Cuba, con 82 uomini a bordo, al comando di Fidel Castro Ruz, per iniziare la lotta armata contro la tirannia batistiana, uno di quei giovani che si stringevano nel poco spazio disponibile era italiano.

Non era casuale che stesse lì: era per il suo pensiero antifascista e come  rivoluzionario internazionalista, con esperienza militare acquisita quando fece parte dei gruppi combattenti di «partigiani» (guerriglieri) italiani che operavano contro le truppe tedesche nella zona dove risiedeva.

Gino Donè Paro era il nome di quel giovane nato il 18 maggio del 1924, nel Comune di San Biagio di Callalta, in provincia di Treviso, vicino a Venezia; e giunse a Cuba nel decennio del 1950.

Il suo foglio di servizio militare mostra che si arruolò nel settembre del 194r nella regione del Veneto, in piena occupazione tedesca. Fu addestrato al combattimento, nell’uso delle armi, nel maneggio degli esplosivi e nella conduzione di veicoli pesanti.

In un’occasione nel 1945, quando stava realizzando una missione anglo-americana con un gruppo di partigiani militari in un’imbarcazione, fu catturato e inviato in un campo di concentramento dal quale, alcuni mesi dopo, riuscì a fuggire.

Terminata la guerra, nel 1946, la sua condizione di ex partigiano e antifascista, come quella di altri giovani non era ben vista dalle autorità del Veneto, che li consideravano delinquenti.

Inoltre, pur cercando senza sosta, non c’era lavoro dell’Europa devastata dalla guerra, per cui decise d’andare a cercare opportunità nei paesi dell’America Latina.

L’ARRIVO A CUBA

Gino arrivò in nave al porto cubano di Manzanillo, nell’attuale provincia di Granma, nel 1951, e si trasferì a l’Avana.

Tempo dopo, attraverso un amico ingegnere, fu assunto come operatore di veicoli pesanti per lavorare alla costruzione dell’autostrada del Circuito

Sud, Cienfuegos -Trinidad, e fissò la sua residenza in quest’ultima città.

Lì conobbe la giovane Norma Turiño, che militava nel Partito Ortodosso, si sposò con lei nel 1953, e si vincolò agli impegni rivoluzionari nella provincia di Las Villas.

In quello stesso anno si trasferì a L’Avana e cominciò a lavorare alle opere di costruzione della Piazza Civica (oggi Piazza della Rivoluzione José Martí). La sua residenza si trovava ai piani alti del Liceo Ortodosso, in Prado 109.

In una visita realizzata nel 1956 a Trinidad dal moncadista Gustavo Arcos Bergnes, il suo amico Carlos Turiño gli presentò la sorella Norma, sposa di un italiano, e da lei seppe che il marito era coinvolto nelle attività rivoluzionarie che si realizzavano nella regione, della sua esperienza militare come partigiano e della fiducia che avevano in lui, e le diede il suo indirizzo perché lo localizzasse a L’Avana.

IL VINCOLO CON FIDEL

Quell’informazione si trasmise a Fidel in Messico, che valutò l’utilizzo di Gino come messaggero di fiducia per trasferire denaro e documenti, data la sua condizione di straniero e perchè non era conosciuto dalla tirannia batistiana .

Al principio del 1956, l’italiano s’incorporò ufficialmente al Movimento 26 di luglio. Realizzò due viaggi in Messico, portando documenti e denaro a Fidel, nascosti nella fodera della sua giacca, senza che le autorità sospettassero di lui come rivoluzionario.

Nel mese di maggio Fidel sollecita la presenza di Gino in Messico, per incorporarlo ai preparativi della spedizione. Portò denaro, lettere per i compagni e altri documenti occulti nei suoi abiti.

Appena atterrò l’aereo della Cubana de Aviación nella capitale azteca, il giovane italiano prese un taxi e si diresse all’appartamento di Emparan 49, come gli avevano indicato a L’Avana, nel quale fu ricevuto da una giovane.

Dopo poco giunse Raúl, e poi Fidel, che Gino non conosceva.

Diede loro quello che portava e cominciarono una lunga e animata conversazione

Alloggiarono Gino nell’appartamento di Insurgentes 5, e lo inserirono negli addestramenti che si realizzavano nella palestra Bucareli, e nel campo di tiro Los Gamitos, durante la sua breve permanenza in Messico.

Dopo pochi giorni l’italiano si trasferì nell’Isola per portare con sicurezza dei documenti che gli affidò Fidel in una grande busta, destinati a varie persone. Dovette, per ragioni di sicurezza, memorizzare l’indirizzo.

Quando giunse a l’Avana, un agente d’Immigrazione lo informò che non aveva il permesso d’entrata nel paese. Lui disse d’essere un turista confusionario, ma le autorità lo inviarono all’accampamento de Tiscornia, a Casablanca, dove trattenevano gli stranieri senza documenti.

Preoccupato per la busta che gli aveva affidato Fidel e che custodiva gelosamente, riuscì a telefonare a Trinidad, comunicò con i suoi familiari e li mise al corrente della pericolosa situazione in cui si trovava.

Poche ore dopo suo cognato si presentò con un certificato di matrimonio per accreditare la sua residenza permanente nel paese e ottenere la sua liberazione. In un momento a parte, Gino consegnò a suo fratello politico la busta che gli aveva dato Fidel, gli disse l’indirizzo e che era importante che la consegnasse urgentemente.

Alcuni giorni dopo Immigrazione mise Gino in libertà.

LE ATTIVITÀ IN MESSICO

Al principio del mese di settembre, Faustino Pérez si trasferì a Trinidad per informare al futuro partecipante alla spedizione che, per ordine di Fidel, doveva tornare prima possibile in Messico. Gli consegnò denaro e documenti perché li portasse là, nascosti nella fodera della giacca.

Stavolta entrò in Messico con un volo diretto a Mérida, in Yucatán, e da lì si trasferì in autobus sino al Distretto Federale. Localizzò nel centro della città la casa che gli avevano indicato e poco tempo dopo apparve Fidel e Gino gli consegnò i documenti e il denaro che portava con sé.

Fidel lo accompagnò al hotel Fornos, in via Revillagigedo, dove  gli presentò il dominicano Ramón Mejías del Castillo (Pichirilo) e il cubano Rolando Moya, che erano ospiti lì.

I quotidiani messicani informarono il 23 novembre che la polizia aveva sequestrato armi, documenti e munizioni da guerra, in quella che sembrava una cospirazione. C’era stata una spiata e Fidel immediatamente ordinò d’evacuare e trasferire in un luogo sicuro alcuni depositi di armi.

La partenza della spedizione fu anticipata.

Non era sicuro restare più tempo in territorio messicano.

In un’auto, partirono per la città di Poza Rica –punto di Concentrazione dei combattenti –, il dominicano Ramón Mejías del Castillo (Pichirilo) e l’italiano Gino Doné. Nel pomeriggio di quel piovoso sabato, 24 novembre, poco a poco, e in picoli gruppi, gli uomini camminarono in un fangoso sentiero al margine del fiume, sino a quando raggiunsero la casa di Santiago de la Peña, dov’era attraccato lo yacht Granma.

Otto giorni dopo una difficile navigazione per il cattivo tempo, i venti forti e il mare grosso, i ribelli sbarcarono sulla costa sud cubana, in un luogo inospitale chiamato Los Cayuelos, a due chilometri da Las Coloradas.

Il 5 dicembre, i combattenti –tra i quali Gino Doné–, furono sorpresi e si dispersero nei campi di canne da zucchero di Alegría de Pío.

L’esercito batistiano circondava la zona i li cercava affannosamente.

L’italiano riuscì a rompere l’assedio e con l’aiuto dei contadini viaggiò sino città di Santa Clara, dove si dedicò alle attività rivoluzionarie. Nel gennaio del 1957 gli ordinarono dipartire per l’estero, per realizzare altri compiti.

Varie volte viaggiò a Cuba. Nel 2005, in occasione della celebrazione del 52º anniversario dell’assalto alle caserme Moncada e Carlos Manuel de Céspedes, ebbe un fraterno incontro con il Comandante in Capo Fidel Castro Ruz.

Gino Donè Paro è morto in Italia, il 22 marzo del 2008 e, rispettando le sue ultime volontà, le sue ceneri dal 2 dicembre scorso riposano in Cuba.

Fonte: /La parola impegnata/, di Heberto Norman Acosta.

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