Dicono che un Titano è morto, ma ne sono nati molti

Quando Mariana lo vide giurare–era sua madre, e madre della Patria, sul destino del precoce giuramento: morire per lei o liberarla, lui era solo Antonio, non il Titano. Ma il ragazzo, che era figlio di un leone e una leonessa, aveva in sé l’eroicità che emana da virtù ben formate.

Fedele alla matrona e come lei, diede poi «con il trascorrere della sua vita, una pagina nuova all’epopea».

Fu la promessa del Generale Antonio la soglia di quella storia che, ardente a Baraguá, tagliò l’aria con un «no non intendiamo», vendetta dell’orgoglio e spavento dell’indegno che s’affacciava oscuro a El Zanjón.

La leggenda di Maceo, così bella che nemmeno lo sparo finale le ha posto fine, è fatta con 600 azioni militari, vittorie incredibili e 26 ferite di mitraglia nel corpo.

Non fu la morte che prese a Punta Brava il Generale Antonio e il suo aiutante, Panchito Gómez Toro: loro divennero semente.

Trent’anni dopo un altro gigante nacque nella Patria: Frank País, eterno giovane, nome di gloria in una costellazione che prima si era chiamata Mella, Villena, Guiteras; e nello stesso tempo Abel, José Antonio… e anche

Poi non furono nomi ma generazioni, soldati della Moncada, del Granma, della Sierra, di Girón, della Crisi d’Ottobre, della Bolivia, dell’Escambray, dell’Africa…, combattenti della Rivoluzione Cubana che un altro 7 dicembre, solo tre decenni fa e in simbiosi tra passato e presente, divennero Associazione, alto grado della storia militare della nazione.

Cos’erano stati sino ad allora quelli che tornarono dalla guerra sopra lo scudo a mettere in riverenza tutto il popolo ai loro piedi?

Era il 1989 l’anno, sempre un 7 dicembre. Quanta gloria infinita nell’esempio dei 2 289 morti in missioni internazionaliste, caricando sulle spalle del paese un omaggio gigante!

Allora? Era morto Maceo? Forse non è il simbolo che agisce? Sono molte le pietre miliari, è grande il carico epico, ma sino a che si resiste dal carattere intransigente rinascono i morti per la Patria.

Fu tale l’eredità del primo Titano, quello di bronzo, che va, dice il poeta: «avanti (…) galoppando e si vedono chiaramente i cammini»

Antonio Maceo: un titano di bronzo a Cuba

Secondo le testimonianze storiche, alle 15:00 circa ora locale di quel dicembre, le forze spagnole si scontrarono con gli avamposti a guardia dell’accampamento del capo degli insorti (noto come il Titano di Bronzo) in una zona a ovest dell’Avana.

Nel mezzo dello scontro, un proiettile colpì il lato destro del volto di Maceo; dopo essere crollato, fu ributtato sulla sua cavalcatura e colpito al petto da un altro proiettile che uccise anche il suo cavallo e trascinò l’eroe a terra. I resoconti dell’epoca dicono che cadde sul lato sinistro dell’animale, come ferito da un fulmine, lanciando il suo machete in avanti per una distanza considerevole.

Il corpo senza vita del comandante in seconda dell’esercito che lottava per l’indipendenza dell’isola caraibica fu lasciato solo in balia del nemico, fino a quando Francisco (Panchito) Gómez, il suo aiutante, uscì, con un braccio imbragato e praticamente disarmato, alla ricerca del cadavere.

Il giovane, figlio del generale in capo delle truppe rivoluzionarie cubane nella Guerra del ’95, Máximo Gómez, era un facile bersaglio per le armi spagnole.

Ferito, indebolito dal sangue che perdeva, tentò di suicidarsi per non essere catturato vivo, ma prima cercò di scrivere un biglietto ai genitori e ai fratelli per spiegare la sua decisione; non riuscì a terminare il messaggio: fu finito a colpi di machete alla testa.

Secondo la stampa, i corpi di Maceo e Panchito furono salvati dal colonnello Juan Delgado e da un piccolo contingente di combattenti, anche se le circostanze del loro salvataggio non sono chiare.

I corpi furono sepolti segretamente nella tenuta di El Cacahual, nel sud della capitale, dove fu eretto un complesso monumentale inaugurato il 7 dicembre 1900.

Maceo, nato nel 1845, era considerato un maestro di tattica militare e un leader di grande prestigio nella guerra per l’indipendenza: la Guerra dei Dieci Anni (1868-1878) e la Guerra Necessaria (1895-1898).

Si stima che abbia partecipato a più di 600 azioni di combattimento, di cui circa 200 di grande importanza, e che il suo corpo sia stato segnato da più di 25 cicatrici di battaglia.

Nel 1878 partecipò alla cosiddetta Protesta di Baraguá, in opposizione al Patto di Zanjón, un trattato che poneva fine alla Guerra dei Dieci Anni senza garantire la realizzazione dei principali obiettivi del conflitto: il raggiungimento dell’indipendenza e l’eliminazione della schiavitù.

Máximo Gómez scrisse alla vedova María Cabrales: “Con la scomparsa di quest’uomo straordinario, tu perdi il dolce compagno della tua vita, io perdo il più illustre e il più coraggioso dei miei amici, e l’Esercito di Liberazione perde la figura più eccelsa della Rivoluzione”.

“Il suo pensiero è fermo e armonioso, come le linee del suo cranio. Le sue parole sono setose, come quelle di un’energia costante e di un’eleganza artistica che deriva da un’attenta regolazione e da un’idea prudente e sobria”, così José Martí, che sarà considerato un Eroe Nazionale, descriveva Maceo.

Mercoledì 7 dicembre l’isola ha commemorato il Giorno dei Caduti nelle Guerre d’Indipendenza e nelle Missioni Internazionaliste, in ricordo del rimpatrio e della sepoltura in terra caraibica dei corpi di oltre duemila combattenti cubani morti in Africa, nell’ambito della cosiddetta Operazione Tributo.

Fonte: Razones de Cuba

Traduzione: italiacuba.it

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