Il «timore rosso» e la caccia alle streghe, cose del passato?

Il sistema ha perfezionato i meccanismi di repressione del dissenso, e il «timore rosso» continua ad essere un’arma efficace per mantenere il controllo della società.

Alla fine della Seconda guerra Mondiale  gli Stati Uniti necessitavano un nemico e per ottenerlo la cosa migliore era recuperare un antico «spaventa passeri»: il pericolo rosso, tanto utile per la costruzione del consenso attorno alla necessaria difesa del «sogno americano».

Gli alleati sovietici risultavano troppo scomodi, il prestigio ottenuto dalla URSS nella guerra e il suo ruolo protagonista nella vittoria contro la Germania  nazista, oltre al ruolo svolto dai partiti comunisti nella lotta anti fascista rappresentavano un serio pericolo per gli interessi del fiorente capitalismo statunitense, dopo la guerra mondiale.

Il  paese del nord entrò in una spirale di persecuzione politica, e una malaticcia paranoia anticomunista si estese in tutta la nazione.

In realtà «l’ossessione» anticomunista negli USA rimontava al 1917, quando trionfò la Rivoluzione Bolscevica, causa di grande timore nei settori più conservatori. Si trattava di un timore insensato, fomentato da  politici arrivisti e fanatici nemici del marxismo, per proteggere «i valori nordamericani», e questo permise al sistema di realizzare una coscienziosa  purga di tutto quello che avesse la minima tendenza, nemmeno comunista, ma solamente progressista.

Una delle più conosciute «purificazioni» iniziò nel 1947, quando, guidati da una serie di nomi e cognomi di presunti  simpatizzanti comunisti, pubblicata dalla rivista The Hollywood Reporter, i congressisti chiamarono a dichiarare i dieci citati dal giornale.

Il caso famoso, noto come Caso dei Dieci di Hollywood fu enormemente mediatico. Gli implicati, condannati a pene tra sei mesi e un anno di prigione, soffersero lo «stigma» d’ingrossare la lista nera dei nemici della nazione e quello significava la perdita del lavoro, la persecuzione e l’ostracismo.

Attori, tecnici, produttori, artisti e promotori culturali in generale, divennero dei sospetti per i vigilanti cacciatori di comunisti.

Opere d’arte come quelle di Georgia O’Keeffe o Adolph Gottlieb furono accusate d’essere anti nordamericane, e gli artisti d’avanguardia o i sospetti d’aver avuto vincoli con marxisti furono perseguitati e condannati.

Mentre l’isteria cresceva, il timore di possibili infiltrati nel Governo portò l’amministrazione ad accusare alti e prestigiosi funzionari come Alger Hiss, che aveva partecipato alla Conferenza di Yalta. Fu condannato a cinque anni di carcere per aver negato la sua appartenenza al Partito Comunista.

Nel mezzo di questa scatenata follia, divenne famoso un senatore che diede un nome al periodo: Joseph McCarthy. Dopo il caso de Alger Hiss, il politico pronunciò un celebre discorso, affermando che il Dipartimento di Stato era infestato di rossi e mostrò una lista con 205 presunti infiltrati.

Le azioni del politico repubblicano portarono il Senato alla creazione di un Vice Comitato d’Investigazione della Lealtà dei dipendenti del Dipartimento di Stato, che accusò varie persone.

In quell’ambiente di persecuzione, le vittime innocenti furono parecchie e tra queste gli sposi  Julius e Ethel Rosenberg.

Giudicati per spionaggio nel 1953, accusati d’aver consegnato il segreto del disegno della bomba atomica alla URSS, i Rosenberg morirono sulla sedia elettrica il 19 giugno del 1953.

Dopo molti anni dalla fine del Maccartismo, la persecuzione dei comunisti e dei simpatizzanti continua ad essere una realtà nella società statunitense.

Forse non con l’aperta crudezza della «caccia alle streghe», ma con uguale o maggiore efficienza, il sistema ha perfezionato i meccanismi di repressione del dissenso e il «timore rosso» continua ad essere un’arma efficace per mantenere il controllo della società.

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