Geraldina Colotti
Dopo la grande mobilitazione contro il governo di Javier Milei che, in Argentina, ma anche in molti altri paesi, ha risposto all’appello delle organizzazioni sindacali e dei movimenti, abbiamo sentito il parere di Carlos Aznárez, direttore di Resumen Latinoamericano e militante di lungo corso.
Che analisi fai della situazione a due mesi dall’arrivo di Milei?
Meno di due mesi dopo il suo insediamento, Javier Milei e i suoi piani “motosega” hanno cominciato a generare serie difficoltà per quanto riguarda la situazione economica della popolazione. In realtà, con la sua decisione di procedere con mega-svalutazioni, ha causato un ulteriore approfondimento della povertà, colpendo i settori che erano già stati colpiti dai piani inflazionistici del governo precedente, e aggiungendovi abbondantemente la classe media. L’attuazione del decreto di necessità e urgenza (DNU), varato nelle prime ore del suo governo, ha provocato un forte impatto distruttivo su tutti i settori della società, dai lavoratori agli inquilini (la legge specifica è stata abrogata), ai disoccupati legati all’economia popolare, agli studenti, agli scienziati, al mondo della cultura. Tutti sono stati attaccati da uno dei tentacoli del famigerato DNU. A questa escalation, che molti analisti hanno definito “criminale” per gli effetti dannosi che genera in totale impunità, si è risposto in diversi modi. Da un lato con appelli alla protezione da parte di ciascun settore colpito, tra cui il più noto è stato quello delle centrali sindacali. Dall’altro, si sta svolgendo uno scontro a livello parlamentare. Il Governo ha inviato al parlamento non solo il DNU (che già viene applicato passando sopra la futura risoluzione del Congresso), ma anche una cosiddetta “legge Omnibus” , che comprende un pacchetto di 300 leggi, una peggiore dell’altra per gran parte della popolazione. E, naturalmente, l’altra grande reazione che Milei e la sua banda di scagnozzi devono affrontare è la reazione popolare, le grandi manifestazioni di rifiuto, le battiture di pentole e padelle, le marce. Tutto questo a dispetto dei protocolli “anti-protesta”, attuati come manovra provocatoria dalla disastrosa ministra della Sicurezza, Patricia Bullrich.
I movimenti popolari sono scesi in piazza già tre volte. Con quali forze e programma?
Esatto. Una parte importante del popolo è già scesa in piazza con grande forza. La prima volta, solo dieci giorni dopo l’insediamento di Milei. È stato il 20 dicembre che la sinistra ha rotto il ghiaccio, marciando verso Plaza de Mayo, sfidando un’intera campagna di intimidazione e attacchi e decine di controlli di polizia che hanno vessato i partecipanti durante tutto il percorso della mobilitazione. Quella piccola vittoria, quella di uscire vittoriosi da un’intera operazione volta a seminare il panico tra chi era andato a manifestare, ha avuto il suo effetto immediato quella stessa notte, quando pentole e padelle hanno risuonato in tutto il Paese, riproducendo lo slogan “Fuori Milei”.
Giorni dopo ha avuto luogo la prima marcia unitaria, con la partecipazione della CGT e delle altre due confederazioni operaie, oltre ai movimenti sociali. E la terza c’è stata lo scorso 24 gennaio, quando la CGT ha dichiarato uno sciopero generale e si sono svolte in tutto il paese una serie di imponenti manifestazioni in ripudio al DNU e alla “legge omnibus”. Si stima che un milione e mezzo di argentini e argentine siano usciti per manifestare la loro rabbia contro la politica aggressiva del presidente filo-yankee e filo-israeliano, amico delle corporazioni e ideologo di una versione rinnovata del fascismo.
Va notato che in breve tempo è stato possibile unire forze molto diverse provenienti da settori che per anni non si sono visti per strada, ma questa volta si tratta di affrontare un nemico di classe e un piano di colonizzazione compulsiva che mira a distruggere le organizzazioni sociali e schiacciare le richieste popolari. Il programma per realizzare questa unità di azione prevede tre o quattro punti minimi, come difendere la sovranità, ripudiare le misure economiche, difendere il rispetto dei diritti umani e avere le strade, le piazze, i centri sociali e perfino i consigli di quartiere come trincea di battaglia. Questo sta già accadendo.
Che forza ha l’organizzazione popolare?
Tutta la forza che può essere generata dalla mobilitazione. Ogni settore che si mobilita rappresenta centinaia, migliaia e perfino decine di migliaia, ma dobbiamo anche riconoscere carenze come la mancanza di esperienza nello scontro, la mancanza di formazione politica e il dover vivere quotidianamente sull’orlo della fame o essere severamente colpiti dalla mancanza di lavoro, dalla miseria o dalla repressione poliziesca.
Milei promette repressione e leggi anticostituzionali a sostegno di ciò. Come conta di farlo e come si sta manifestando il suo proposito?
Milei è uno specialista nell’aggirare la legalità e nel non rispettare le leggi. Agisce d’impulso e spesso sbatte contro un muro, ma non si arrende e raddoppia la posta minacciando chi vuole far valere i propri diritti. A reprimere e generare microclimi di estrema destra contro chi si ribella, c’è la Ministra della Sicurezza, una personalità dai tratti molto autoritari e che intende spaventare massicciamente la popolazione. Ciò che è chiaro è che sia il protocollo emesso da Bullrich che le minacce di Milei, che spesso sembrano sciocchezze, danno il via libera alle forze di polizia di sentirsi più forti per andare a “caccia” di militanti che affiggono manifesti o dipingono la protesta sui muri. Se necessario, Bullrich passerà dalla provocazione all’azione, ed è molto probabile che le persone aggredite si faranno forza e si scontreranno con coloro che vogliono terrorizzarle.
Cosa può fare Milei a livello internazionale?
Milei a livello internazionale ha alleati nell’estrema destra, nel suprematismo bianco negli Usa, nello spazio rappresentato da Trump e nel sionismo più duro (quello della setta ebraica Lubabitch). Altri come lui, o l’ex brasiliano Bolsonaro, possono essere d’accordo con le sue politiche neoliberiste di estrema destra. Anche gli ultras internazionali guidati dagli spagnoli di Vox, e poco altro. In realtà, è il cagnolino delle multinazionali yankee, del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, ecc. Ora, sono tutte queste organizzazioni che, al primo tentativo di non rispettare l’accordo, lo tolgono dal tavolo. Per ora si può concedere il lusso di respingere l’ingresso dell’Argentina nei Brics, o di trattare i dinosauri di Davos come “neo-marxisti”, di non dare alcun contributo al Mercosur o di schierarsi accanto a “Israele”, avallando il genocidio di Gaza e l’occupazione del resto della Palestina.
Il 2024 sarà un anno di elezioni, a livello globale. Come vedi la situazione politica riguardo ai conflitti esistenti o in gestazione?
Le elezioni negli Stati Uniti, dove il guerrafondaio Biden potrebbe essere sconfitto da Trump, potrebbero causare un nuovo rimescolamento nella politica internazionale. Trump, è noto, nel suo primo mandato ha cercato di prendersi più cura del cortile interno, delle difficoltà vissute da ampi settori della popolazione, e di non intervenire in diverse guerre. Biden, al contrario, ha messo il naso in America Latina attraverso missioni permanenti del Comando Sud (la signora Richardson passeggia per i nostri Paesi come se fosse nel salotto di casa sua) e anche nel resto dei continenti. È d’accordo con Trump sull’idea di annientare il popolo palestinese, e ovviamente è stato un fattore chiave nell’uso della NATO dapprima per molestare la Russia, e poi nel dichiararle guerra, con la scusa di difendere l’Ucraina. Come ho detto prima, una vittoria di Trump potrebbe favorire Milei e altri come lui. Continuerebbe anche la politica aggressiva contro Venezuela, Nicaragua e Cuba, ma la verità è che neanche con Biden questi paesi se la sono cavata bene. Oggi si combattono due battaglie strategiche e in entrambe gli Stati Uniti sono coinvolti: la prima riguarda l’idea russa di denazificare l’Ucraina, la seconda si combatte sulla terra palestinese occupata dai sionisti. Ma questa eroica battaglia della Resistenza ha unito altri paesi, tutti nella lotta contro l’arroganza criminale israeliana. Yemen, Iraq, Libano, Siria e Iran, insieme a tutte le fazioni palestinesi, sono l’avanguardia della rivoluzione antimperialista globale. Essere attenti a ciò che ne deriva è essenziale, così come lo è il progresso degli accordi emersi nel vivo della guerra in Ucraina, con le grandi potenze come Cina, Russia, Iran, India e altre, che avanzano negli accordi di de-dollarizzazione economica. Lì continuano anche a essere costruiti collegamenti per fermare l’aggressione del Nord contro il Sud.
La Corte internazionale di giustizia si è appena pronunciata sulla causa del Sudafrica contro “Israele” per “atti di genocidio a Gaza” e ha ordinato al regime sionista di adottare “tutte le misure a sua disposizione” per prevenire “possibili atti di genocidio” contro i palestinesi, e di consentire l’ingresso di aiuti umanitari. Tuttavia non ha ordinato il cessate il fuoco, che era una delle principali richieste del paese africano. Qual è il tuo commento?
Mi sembra della massima importanza che, grazie agli sforzi del Sudafrica e di altri paesi sensibili a ciò che sta accadendo in Palestina, dove “Israele” pratica un vero Olocausto contro il popolo di Gaza e della Cisgiordania occupata, si sia riusciti a far sedere sul banco degli accusati l’entità sionista. Tuttavia, dopo aver letto le decisioni della corte non posso che essere scettico. Chiedere a “Israele” che, tra le altre cose, “adotti misure per prevenire tutti gli atti previsti dalla Convenzione sul genocidio” e garantisca “che l’esercito non commetta nessuno dei crimini delineati in quella Convenzione”, suona come “rimprovero simbolico”, ma con risultati reali inefficaci. “Israele” non ha mai accettato raccomandazioni, risoluzioni e imposizioni dell’ONU, tanto meno quando tutti sanno che un genocidio di proporzioni gigantesche è già in corso contro la popolazione civile. D’altro canto, anche se la posizione dei giudici di riconoscere che “Israele” perseguita il popolo palestinese è stata schiacciante, non è stata presa una decisione immediata sul cessate il fuoco, che è uno degli aspetti fondamentali in questo caso. E inoltre si parla di liberare “gli ostaggi di Hamas”, ma non si dice una parola sulle migliaia di ostaggi imprigionati nelle tombe-prigione dell’entità sionista. Infine, dare all’occupante un mese per riferire se rispetta le “raccomandazioni” significa semplicemente dargli altri 30 giorni di via libera affinché il genocidio continui, in modo che i droni e gli aerei “israeliani” continuino a massacrare coloro che sono indifesi davanti ai loro assassini. Ripeto, la sensazione di questo tipo di dichiarazioni ha un effetto dolceamaro: positivo perché permette di mostrare “Israele” più assediato a livello internazionale per i crimini che commette quotidianamente; negativo perché non si è detto chiaramente che si tratta di un’entità terroristica che ha già assassinato 26.000 palestinesi. Non c’è stato abbastanza coraggio in quei giudici per metterlo nero su bianco.