Gli USA intraprendono una nuova offensiva diplomatica contro il Venezuela

misionverdad.com

Il processo di candidatura davanti al Consiglio Elettorale Nazionale (CNE) si è concluso con un totale di 13 candidati iscritti e con un seguito di profonde divergenze e intrighi da parte della Piattaforma di Unità Democratica (PUD), che hanno innescato una frattura, fino ad oggi irreversibile, con l’iscrizione di tre candidati, Enrique Márquez del partito Centrados, Manuel Rosales del partito Un Nuevo Tiempo (UNT) e Edmundo Urrutua del Tavolo dell’Unità Democratica (MUD).

Al di là della narrativa sui presunti ostacoli, mai pubblicamente dimostrati, imposti dalla CNE per impedire l’iscrizione della “candidata” sostitutiva di María Corina Machado, Corina Yoris, la trama che, poco a poco, si svela è che le divisioni e le differenze nella strategia da seguire hanno finito per fratturare la già debole coalizione di opposizione della PUD al momento delle nomine, determinando il quadro di conflitto, tensione e tradimento già affrontato da MV in precedenza.

Tuttavia, alcuni governi della regione hanno creduto alla storia dell’imposizione di ostacoli alle candidature, ignorando le profonde fratture esistenti nell’opposizione venezuelana e additando subito il governo come responsabile della situazione, squalificando a priori il processo elettorale appena iniziato. I governi di Colombia, Perù, Brasile, Ecuador, Uruguay, Argentina, Costa Rica, Cile e Guatemala sono quelli che si sono pronunciati sullo scenario elettorale venezuelano fino alla chiusura di questa nota, con livelli di intensità e gravità non omogenei.

La cosa più sorprendente è che, a queste azioni di pressione diplomatica, si sono aggiunti governi che hanno un rapporto costruttivo con il Venezuela dal campo progressista, come i casi di Colombia e Brasile. Entrambi sono stati al centro delle cronache delle ultime ore per le dichiarazioni dei rispettivi Ministeri degli Esteri, alle quali il Ministero degli Esteri venezuelano ha prontamente risposto con un appello al rispetto della sovranità, in cui sono state sollevate una serie di preoccupazioni che possono essere direttamente attribuite al conflitto (all’interno ndt) dell’opposizione, come lo ha analizzato ieri MV.

Nei casi particolari di Colombia e  Brasile, per l’importanza che hanno dato al fatto che sono paesi con uno stretto rapporto con il Venezuela, è necessario appuntare alcuni commenti che permettano chiarire le loro motivazioni, eccettuando quei paesi che hanno aderito all’impulso dell’assedio diplomatico incarnato nel Gruppo di Lima, e che agendo in modo telecomandato in funzione degli interessi USA contro il Venezuela, non si attendono novità. Tuttavia, il ritorno all’attività di assedio diplomatico indica che gli USA stanno promuovendo un’agenda di pressione internazionale, con l’obiettivo di intimidire Maduro e creare un quadro di giustificazione per ripristinare le sanzioni petrolifere contro il Venezuela a metà aprile.

IL DISORIENTAMENTO GEOPOLITICO

La vicepresidentessa Delcy Rodríguez ha recentemente commentato, in un seminario internazionale sull’architettura finanziaria in Bolivia, davanti agli ex presidenti e ai dirigenti regionali, che l’America Latina e i Caraibi soffrono di un disorientamento geopolitico e di una dipendenza introiettata dagli USA che li ha portati ad agire in forma delegata, senza una propria visione in difesa dei propri interessi.

Forse nell’esercizio della politica estera vediamo uno degli spazi in cui gli USA hanno maggiore influenza e impatto sui paesi dell’America Latina e dei Caraibi, cosa che si vede riflessa nelle azioni dei ministeri degli Esteri della regione con un atteggiamento che si nasconde, in molte occasioni, nella presunta autonomia di questi uffici protetti dalla logica secondo cui i funzionari diplomatici (di carriera) non rispondono ai governi bensì agli Stati.

Probabilmente, il modo in cui è stato affrontato il caso venezuelano nell’ultimo decennio può meglio esemplificare il comportamento che abbiamo descritto nel paragrafo precedente, soprattutto alla luce di quanto accaduto nell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), nel Mercosur, con il Gruppo di Lima e in altri spazi regionali che, allineati con gli interessi geopolitici USA, hanno partecipato alla politica di massima pressione contro il governo venezuelano dal 2017.

Questa situazione è stata attribuita all’insieme di governi che simpatizzavano con questo approccio di ingerenza e mancanza di rispetto nei confronti del Venezuela. Per impostazione predefinita, si credeva che con l’arrivo di nuovi governi in questi paesi si sarebbe cambiato l’approccio della politica estera nei confronti del paese, ma negli ultimi giorni abbiamo visto che la presa del governo da parte di queste opzioni politiche non avrebbe significato una vera trasformazione della sua posizione nei confronti del Venezuela. L’eco dell’allineamento con il mondo occidentale, governato dagli USA e dall’Unione Europea, continua a risuonare.

USA ED UNIONE EUROPEA

Nonostante che a livello discorsivo gli USA abbiano scelto di sostenere il percorso elettorale in Venezuela, hanno sempre giocato con le carte segnate, mantenendo le sanzioni economiche al Paese e incoraggiando i settori estremisti a continuare con una posizione a doppio senso; da un lato, incoraggiando la partecipazione elettorale e, dall’altro, evitando di rifiutare percorsi non costituzionali e violenti per la presa del potere. Esempio di ciò sono state le cinque cospirazioni che prospettavano un attentato alla vita del presidente Nicolás Maduro e imponevano uno scenario di cambio di regime, che gli USA non hanno respinto.

Non sorprende, quindi, che il Dipartimento di Stato e i suoi principali portavoce, dal momento stesso in cui è stata ratificata la inabilitazione di María Corina Machado, si siano mobilitati per internazionalizzare una narrazione favorevole al fine di condizionare la legittimità del processo elettorale del 28 luglio a precise esigenze che non erano contemplate nell’Accordo di Barbados e che contravvengono ai principi costituzionali e giuridici del Paese.

Pur conoscendo le profonde divisioni che esistono nell’opposizione venezuelana e che sono state messe in luce nei giorni scorsi in un rapporto dell’intelligence, il Dipartimento di Stato ha scelto, nelle ultime ore, di incoraggiare una narrazione che trasferisce allo Stato venezuelano la responsabilità della situazione che generata dai tradimenti e slealtà esistenti nella PUD.

Ciò ha portato a disaccordi pubblici riguardo al processo di nomina, ma le sue conseguenze sono attribuite all’organismo elettorale venezuelano. Nella sua ultima dichiarazione, il Dipartimento di Stato ha attaccato direttamente il CNE e messo in dubbio la legittimità del processo elettorale, con l’obiettivo di generare un effetto a catena generale che internazionalizzi questa narrazione.

Con questa narrazione, Washington ha spinto l’Unione Europea a seguire il suo approccio, qualificando il processo di nomina come “irregolare e opaco che ha impedito ad alcuni partiti di registrare i propri candidati presidenziali”. La cosa più complessa di tutto questo è che, in questa azione, hanno trascinato molti dei governi latinoamericani che dimostrano quel disorientamento geopolitico di cui si parlava prima, inserendosi nelle premesse di conflitto e ostilità provenienti da Washington.

BRASILE

La vicinanza che, dal suo arrivo a Planalto nel gennaio 2023, Lula ha dimostrato nei confronti del presidente Nicolás Maduro è stata pubblica e nota, concentrandosi sulla ricostruzione delle relazioni bilaterali e sulla proposta di un’alleanza sulle principali questioni regionali. Gli sviluppi del vertice dei presidenti in Brasilia, il ruolo di Lula nella disputa con la Guyana e le sue dichiarazioni su María Corina Machado, che hanno suscitato un turbinio di notizie, oltre all’interesse geopolitico a riaffermare il suo ruolo di arbitro nella regione, riflettono l’intenzione di Lula di contribuire alla stabilità politica ed economica del Venezuela, con Maduro al potere.

Per questo motivo ha sorpreso l’intemperante comunicato di Itamaraty nei confronti del Venezuela, contraddittorio e disinformato di fronte ad un processo elettorale che continua ininterrottamente il suo corso secondo un calendario e che è stato turbato dal caos interno al PUD.

Sono note le pressioni all’interno di Palazzo Itamaraty per interrompere il rapporto tra Lula e Maduro. Questa posizione risponde allo storico allineamento del Ministero degli Esteri brasiliano con gli USA e l’Europa. Non dimentichiamo che, in passato, le azioni indipendenti di Itamaraty hanno generato seri problemi diplomatici e geopolitici al governo Lula, con i suoi soci strategici del BRICS.

Il comunicato coincide con le visite del direttore della Central Intelligence Agency (CIA), William Burns, nel Paese sudamericano, istituzione che ha spiato sistematicamente la presidentessa Dilma Rousseff durante la sua presidenza nel 2013, e con quella del presidente francese Emmanuel Macrón. Entrambi gli incontri si sono limitati all’impegno del Brasile nella leadership globale dopo aver assunto la carica di presidente del G20.

Non sarebbe strano se il comunicato si fosse realizzato per strizzare l’occhio al governo USA al fine di ingraziarselo o per pressione diretta di Washington, nella convinzione che il Brasile possa influenzare la dinamica politica venezuelana.

COLOMBIA

Qualcosa di simile potrebbe star avvenendo con la Colombia. L’arrivo di Petro alla Casa de Nariño ha significato non solo il ristabilimento delle relazioni con il Venezuela e la progressiva normalizzazione degli oltre duemila chilometri di frontiera condivisa, ma anche l’emergere di un valido interlocutore nei processi di dialogo che il governo nazionale ha mantenuto con i settori dell’opposizione, da una posizione di rispetto e di non ingerenza negli affari interni del Paese, ed è così che sembrava svilupparsi negli ultimi mesi fino alla pubblicazione dell’infelice comunicato del 26 marzo.

Infelice perché, difficilmente, dopo quel comunicato il governo di Gustavo Petro potrà continuare ad avere validità come interlocutore quando mette in dubbio “la trasparenza e la competitività del processo elettorale”, assumendo chiaramente posizione in funzione di un settore politico.

Da un lato, l’ignoranza delle logiche interne di comportamento di un settore dell’opposizione venezuelana può aver influito sulla dichiarazione che ignorava la vigente normativa del Paese in materia elettorale, pur ribadendo, contraddittoriamente, “il rispetto assoluto della sovranità e autonomia del popolo venezuelano”.

Ma come nel caso di Itamaraty, il palazzo San Carlos (sede del Ministero degli Esteri colombiano) sembra avere vita propria, indipendentemente da ciò che decida l’esecutivo colombiano; e ancora più dopo la nomina di Luis Gilberto Murillo a cancelliere in carica (in un atto molto controverso in cui Álvaro Leiva si è visto coinvolto in uno “scandalo di corruzione” dopo una denuncia della Procura Generale della Colombia).

Murillo è stato ambasciatore della Colombia presso il governo USA e ha ricoperto diversi incarichi come funzionario internazionale in varie istituzioni come USAID, IDB, UNDP e Banca Mondiale, il che lo converte in un interlocutore fidato per la Casa Bianca.

Tuttavia, pur continuando a “offrire i propri buoni uffici nel caso in cui siano richiesti per continuare a portare avanti i negoziati attraverso canali diplomatici discreti e confidenziali che permettano di mantenere un ambiente favorevole alla realizzazione delle soluzioni democratiche proposte, concordate e raggiunte dagli stessi venezuelani/e”, la relazione è stata danneggiata.

Petro e Lula esprimono il disorientamento geopolitico che caratterizza la nostra regione, motivo principale della sua perdita di influenza e subordinazione agli interessi occidentali.

SULLA STRADA VERSO LE ELEZIONI DEL 28 LUGLIO

La sincronizzazione regionale contro il Venezuela stimolata dagli USA ed evidenziata nei comunicati delle ultime ore, delineano uno scenario di disconoscimento del processo elettorale, al quale potrebbero partecipare governi progressisti o della cosiddetta sinistra latinoamericana che riediterebbero schemi di ingerenza politica distruttiva come quelli conosciuti durante la fase del Gruppo di Lima.

Il Venezuela ha mostrato rispetto per la situazione interna di entrambi i paesi. In nessun momento sono stati rilasciati comunicati che denunciassero l’incompetenza del governo colombiano di fronte al numero omicidi di dirigenti sociali che stanno crescendo e superando quelli registrati durante il governo Duque; oppure segnalando a Itamaraty la crescita costante della frontiera agricola in Amazzonia che interessa tutti i paesi che fanno parte del bacino amazzonico, dove la responsabilità principale è del governo brasiliano. È logico che il Venezuela esiga un comportamento reciproco.

Le usanze  nelle relazioni internazionali sono fragili e costruire la fiducia tra i paesi richiede il loro rispetto. Il governo venezuelano ha imparato dagli anni in cui si è tentato di isolarlo politicamente e diplomaticamente, acquisendo un’inestimabile esperienza di resistenza. E anche se ripetere uno scenario del genere implicherebbe nuove sfide, il governo ha la capacità di superarlo, come lo ha fatto durante il periodo di “massima pressione”.

In Venezuela, la pressione diplomatica non ha avuto gli effetti sperati dai suoi artefici. Al contrario, ha generato danni collaterali che generalmente colpiscono l’intero continente. Per ora bisognerà aspettare il 18 aprile, data in cui gli USA dovrebbero rinnovare o meno le licenze concesse lo scorso ottobre, per avere una prima approssimazione della sua posizione rispetto alle elezioni, perché al di là dei comunicati e delle dichiarazioni dei portavoce ufficiali, è lì che si stabilirà la politica di Washington riguardo al processo elettorale venezuelano.

Benché, indipendentemente dal fatto che lo faccia o meno, è chiara la determinazione del governo venezuelano di continuare col ​​cronogramma elettorale al di là dei gusti e opinioni di una comunità internazionale (centrata in America Latina e nei Caraibi) che continua a commettere errori, non solo in relazione al Venezuela, bensì con il nuovo ordine internazionale (multipolare) che si configura e che la regione continua a ignorare, aggrappandosi a vecchie pratiche di pressione e ricatto internazionale.


EE.UU. EMPRENDE UNA NUEVA OFENSIVA DIPLOMÁTICA CONTRA VENEZUELA

 

El proceso de postulaciones de candidaturas ante el Consejo Nacional Electoral (CNE) ha concluido con un total de 13 postulantes inscritos y una secuela de profundas divergencias e intrigas por parte de la Plataforma de la Unidad Democrática (PUD), las cuales han desencadenado una fractura hasta ahora irreversible con la inscripción de tres candidatos, Enrique Márquez del partido Centrados, Manuel Rosales del partido Un Nuevo Tiempo (UNT) y Edmundo Urrutua por la Mesa de la Unidad democrática (MUD).

Más allá de la narrativa sobre supuestos obstáculos, nunca demostrados públicamente, impuestos por el CNE para impedir que la “candidata” sustituta de María Corina Machado, Corina Yoris, pudiera inscribirse, la trama que poco a poco se revela es que las divisiones y diferencias en la estrategia a seguir terminaron de fracturar la ya endeble coalición opositora de la PUD en el momento de las postulaciones, dando como resultado el cuadro de conflcito, tención y traiciones ya abordado por MV con anterioridad

No obstante, algunos gobiernos de la región compraron el relato sobre la imposición de obstáculos para las candidaturas ignorando las profundas fracturas existentes en la oposición venezolana y señalando de inmediato al gobierno como responsable de la situación, descalificando a priori el proceso electoral que apenas comienza. Los gobiernos de Colombia, Perú, Brasil, Ecuador, Uruguay, Argentina Costa Rica, Chile y Guatemala, son los que se han pronunciado sobre el escenario electoral venezolano hasta el cierre de esta nota, con niveles de intensidad y gravedad que no son homogéneos.

Lo más llamativo ha sido que, a estas acciones de presión diplomática, se sumaran gobiernos con una relación constructiva con Venezuela desde el campo progresista, como son los casos de Colombia y Brasil. Ambos fueron el foco noticioso en las últimas horas por los comunicados de sus respectivos ministerios de Relaciones Exteriores, rápidamente respondidos por la cancillería venezolana en un llamado de respeto a la soberanía, en los cuales plantearon un conjunto de preocupaciones que pueden ser adjudicadas directamente a la confrontación opositora, como lo analizó MV el día de ayer.

En los casos particulares de Colombia y Brasil, por el significado que tienen dado que son países con una relación cercana con Venezuela, es necesario apuntar algunos comentarios que permita esclarecer sus motivaciones, exceptuando a aquellos países que se incorporaron al impulso de cerco diplomático personificado en el Grupo de Lima, y que por actuar de forma teledigirida en función de los interese estadounidenses contra Venezuela no aguarda ninguna novedad. No obstante, el retorno a una actividad de cerco diplomático indica que EE.UU. está promoviendo una agenda de presión internacional, con el objetivo de intimidar a Maduro y configurar un marco de justificación para restablecer las sanciones petroleras contra Venezuela a mediados de abril.

 LA DESORIENTACIÓN GEOPOLÍTICA

La vicepresidenta Delcy Rodríguez recientemente comentaba, en un seminario internacional sobre arquitectura financiera en Bolivia, frente a expresidentes y líderes regionales, que América Latina y El Caribe sufría de una desorientación geopolítica y una dependencia introyectada de Estados Unidos que hacía que actuara de forma delegada, sin una visión propia en defensa de sus intereses.

Quizá en el ejercicio de la política exterior veamos uno de los espacios en donde más influencia e incidencia tiene Estados Unidos sobre los países de América Latina y el Caribe, lo cual se ve reflejado en el accionar de las cancillerías de la región con una actitud que se escuda, en muchas ocasiones, en la supuesta autonomía de esos despachos amparados en la lógica de que los funcionarios diplomáticos (de carrera) no responden a los gobiernos sino a los Estados.

Probablemente, el cómo se ha abordado el caso venezolano en la última década pueda ejemplificar mejor ese comportamiento que describimos en el párrafo anterior, sobre todo a la luz de lo que ocurrió en la Organización de los Estados Americanos (OEA), en el Mercosur, con el Grupo de Lima y en demás espacios regionales que, alineados con los intereses geopolíticos de EE.UU., participaron en la política de máxima presión contra el gobierno venezolano desde 2017.

Esta situación se ha adjudicado a la conjunción de gobiernos que simpatizaban con ese enfoque de injerencia e irrespeto contra Venezuela. Por defecto, se creía que con la llegada de nuevos gobiernos en estos países se cambiaría el enfoque de política exterior frente al país, pero durante estos últimos días hemos presenciando que la toma del gobierno por parte de esas opciones políticas no estaría significando una verdadera transformación de su postura con respecto a Venezuela. El eco del alineamiento con el mundo occidental, gobernado por EE.UU y la Unión Europea, sigue resonando.

ESTADOS UNIDOS Y LA UNIÓN EUROPEA

A pesar de que a nivel discursivo Estados Unidos se han decantado por apoyar la vía electoral en Venezuela, siempre han jugado con las cartas marcadas, manteniendo las sanciones económicas sobre el país y alentando a sectores extremistas a que continúen con una postura a doble banda; por un lado, animando a la participación electoral y, por otro, evitando rechazar rutas no constitucionales y violentas para la toma del poder. Ejemplo de ello han sido las cinco conspiraciones que planteaban atentar contra la vida del presidente Nicolás Maduro y forzar un escenario de cambio de régimen, las cuales EE.UU. no rechazó.

Por eso no sorprende que el Departamento de Estado y sus vocerías principales, desde el mismo momento en que se ratificó la inhabilitación de María Corina Machado, se movilicen para internacionalizar un relato favorable en pos de condicionar la legitimidad del proceso electoral del 28 de julio a exigencias puntuales que no fueron contempladas en el Acuerdo de Barbados y que contraviene los principios constitucionales y legales del país.

Aún a sabiendas de las profundas divisiones existentes en la oposición venezolana y que fueron expuestas en días recientes en un informe de inteligencia, el Departamento de Estado ha optado, en las últimas horas, por alentar una narrativa que transferiere la responsabilidad al Estado venezolano por la situación que ha generado las traiciones y deslealtades existentes en la PUD.

Esto derivó en desacuerdos públicos frente al proceso de postulación, pero sus consecuencias son adjudicadas al ente electoral venezolano. En su último comunicado, el Departamento de Estado ha atacado directamente al CNE y cuestionó la legimitidad del proceso electoral, con la finalidad de generar un efecto general en cadena que internacionalice esta narrativa.

Con esta narrativa, Washington ha empujado a la Unión Europea a que siga su enfoque calificando el proceso de postulación como “irregular y opaco que ha impedido a algunos partidos registrar a sus candidatos presidenciales”. Lo más complejo de todo esto es que, en dicha acción, han arrastrado a muchos de los gobiernos de América Latina que demuestran esa desorientación geopolítica que se hizo mención con anterioridad, al situarse dentro de las premisas de conflicto y hostilidad emanadas desde Washington.

BRASIL

Ha sido público y notoria la cercanía que, desde su arribo a Planalto en enero de 2023, Lula ha mostrado hacia el presidente Nicolás Maduro, bajo un enfoque de reconstruir la relación bilateral y plantear una alianza en temas regionales de primer orden. El desarrollo de la cumbre de mandatarios en Brasilia, el papel de Lula en la disputa con Guyana y sus declaraciones sobre María Corina Machado, que generaron un vuelo noticioso, además del interés geopolítico de reafirmar su papel de árbitro en la región, reflejan la intención de Lula de contribuir a la estabilidad política y económica de Venezuela, con Maduro en el poder.

Por eso ha sorprendido el comunicado destemplado de Itamaraty con respecto a Venezuela, el cual es contradictorio y desfinformado frente a un proceso electoral que aún sigue su curso de manera ininterrumpida siguiendo un cronograma, y que se ha perturbado por el caos interno en la PUD.

Las presiones dentro del Palacio Itamaraty para frenar la relación entre Lula y Maduro son harto conodidas. Esta postura responde a la histórica alineación de la cancillería brasileña con Estados Unidos y Europa. No olvidemos que, en el pasado, las acciones independientes de Itamaraty han generado serios problemas diplomáticos y geopolíticos al gobierno de Lula, con sus socios estratégicos del BRICS.

El comunicado coincide con las visitas del director de la Agencia Central de Inteligencia (CIA), William Burns, al país suramericano, institución que espió de forma sistemática a la presidenta Dilma Rousseff durante su presidencia en 2013, y con la del presidente francés Emmanuel Macrón. Ambos encuentros se circunscribieron en la apuesta de liderazgo global de Brasil tras estrenar la presidencia del G20.

No sería extraño que el comunicado pueda haberse realizado como un guiño al gobierno estadounidense a fin de congraciarse con este o por presiones directas de Washington, bajo la visión de que Brasil puede incidir en el dinámica política venezolana.

COLOMBIA

Algo parecido podría estar ocurriendo con Colombia. La llegada de Petro a la Casa de Nariño significó no solo el restablecimiento de las relaciones con Venezuela y la normalización paulatina de los más de dos mil kilómetros de frontera compartida, sino el surgimiento de un interlocutor válido en los procesos de diálogo que el gobierno nacional mantenía con sectores de la oposición, desde una posición de respeto y no injerencia en los asuntos internos del país, y así pareció desarrollarse en estos meses hasta la publicación del infortunado comunicado del pasado 26 de marzo.

Infortunado porque difícilmente, después de ese comunicado, pueda el gobierno de Gustavo Petro seguir teniendo validez como interlocutor cuando cuestiona “la transparencia y competitividad del proceso electoral”, parcializándose claramente en función de un sector político.

Por un lado, el desconocimiento de las lógicas internas de comportamiento de un sector de la oposición venezolana pudo haber influido en el pronunciamiento que desconoció la normativa vigente del país en materia electoral, a pesar de reiterar, contradictoriamente, el “respeto absoluto a la soberanía y autonomía del pueblo venezolano”.

Pero al igual que con Itamaraty, el palacio de San Carlos (sede la cancillería colombiana) pareciera tener vida propia, independiente de lo que el ejecutivo colombiano decida; y más aún a partir de la designación como canciller encargado de Luis Gilberto Murillo (en una acción muy controvertida donde Álvaro Leiva se vio envuelto en un “escándalo de corrupción” tras una denuncia de la procuraduría colombiana).

Murillo se desempeñaba como embajador de Colombia ante el gobierno de los Estados Unidos y había ocupado varios cargos como funcionario internacional en varias instituciones como la USAID, BID, PNUD y Banco Mundial, lo que lo convierte a él en un interlocutor de confianza para la Casa Blanca.

Sin embargo, a pesar de seguir “ofreciendo sus buenos oficios en el caso de ser requeridos para seguir adelantando gestiones a través de canales diplomáticos discretos y confidenciales que permitan mantener un ambiente conducente a la concreción de soluciones democráticas propuestas, acordadas y alcanzadas por los propios venezolanos y venezolanas”, la relación ha quedado lastimada.

Petro y Lula expresan la desorientación geopolítica que caracteriza a nuestra región, razón principal de su pérdida de influencia y subordinación ante los intereses occidentales.

CAMINO A LAS ELECCIONES DEL 28 DE JULIO

La sincronización regional contra Venezuela estimulada por Estados Unidos y evidenciada en los comunicados de las últimas horas, van perfilando un escenario de desconocimiento del proceso electoral, en donde podrían estar participando gobiernos progresistas o de la llamada izquierda latinoamericana que reeditarían marcos de injerencia política destructiva como los conocidos durante la etapa del Grupo de Lima.

Venezuela ha dado muestras de respeto ante las situaciones internas de ambos países. En ningún momento se han emitido comunicados que denuncie la incompetencia del gobierno colombiano frente a los números asesinatos de líderes sociales que crecen y superan a los vistos durante la administración de Duque; o señañando ante Itamaraty por constante crecimiento de la frontera agrícola en la Amazonía que afecta a todos los países parte de la cuenca amazónica, donde la principal responsabilidad la tiene el gobierno brasileño. Es lógico que Venezuela exija un comportamiento recíproco.

Las costumbres en las relaciones internacionales son frágiles y la construcción de confianza entre países pasa por el respeto de ellas. El gobierno venezolano aprendió de los años donde se pretendió aislarlo política y diplomáticamente, adquiriendo una experiencia invaluable de resistencia. Y si bien reeditar un escenario como ese implicaría nuevos desafíos, el gobierno cuenta con la destreza para sortearlo  como lo hizo dirante la época de la “máxima presión”.

En Venezuela la presión diplomática no ha tenido los efectos deseados por sus arquitectos. Por el contrario, generó daños colaterales que afectan de forma general a todo el continente. Por lo pronto, se deberá esperar al 18 de abril, fecha en la que Estados Unidos debería renovar o no las licencias otorgadas en octubre pasado, para tener una primera aproximación de su posicionamiento con respecto a las elecciones, porque más allá de los comunicados y las declaraciones de voceros oficiales, allí es donde se establecerá la política de Washington con relación al proceso electoral venezolano.

Aunque independientemente de que lo haga o no, está clara la determinación del gobierno venezolano de continuar el cronograma electoral más allá de los gustos o pareceres de una comunidad internacional (centrada en América Latina y El Caribe) que sigue equivocándose, no solo con relación a Venezuela, sino con el nuevo orden (multipolar) internacional que se configura y al que la región sigue ignorando, aferrándose a prácticas pasadas de presión y chantaje internacional.

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