Raúl Roa García: una vita di dignità e fermezza

Intervento di Abelardo Moreno Fernández nel seminario commemorativo del 117ºAnniversario della nascita del Cancelliere della Dignità, Raúl Roa García, organizzato dalla Cattedra Raúl Roa dell’Istituto Superiore di Relazioni Internazionali (ISRI).

La Habana, 8 aprile 2024

Stimate compagne/i:

Come ho fatto più di una volta, desidererei iniziare queste brevi parole con un paragrafo dell’intervento che il Cancelliere della Dignità pronunciò nella quarta riunione dei Ministri del Movimento dei Paesi Non Allineati, a Georgetown, Guyana nel 1972.

Diceva:

“Cuba basa la sua politica internazionale su una posizione rivoluzionaria, antimperialista e internazionalista, senza ambiguità né debolezze. Cuba si schiera, risolutamente, al fianco dei popoli che lottano per estirpare il colonialismo, sconfiggere l’imperialismo, porre fine alle sue aggressioni e minacce belliciste e conquistare un mondo senza imperialisti né aggressori, libero dallo sfruttamento dei monopoli sulle nazioni e libero anche dallo sfruttamento dei loro stessi popoli da parte di minoranze rapaci e stolte. Cuba è apertamente impegnata con il mondo del futuro, che avanza, sicuro e vittorioso, incoraggiato dalle lotte e dai sacrifici dei popoli rivoluzionari”.

E sottolineo questo paragrafo, perché Roa fu in grado, in poche righe, di sintetizzare l’essenza della politica estera della Rivoluzione cubana come era stata concepita dal Comandante in Capo Fidel Castro Ruz, e che oggi, più di 50 anni dopo, mantiene tutta la sua validità.

Mi è stato chiesto di far riferimento al ruolo del Dr. Raúl Roa García nel Movimento dei Paesi Non Allineati, ma non posso resistere alla tentazione di fare riferimento anche ad altri episodi che dimostrano chiaramente il ruolo del pensiero e la fermezza di colui che, fedele alle proprie idee, e nonostante la situazione del paese nei decenni che hanno preceduto la rivoluzione liberatoria del 1959, mai claudicò e che, fin dal primo momento, fu presente all’appello di Fidel.

Ora, credo che il punto di partenza di ogni analisi sia riconoscere che il pensiero di Raúl Roa García è indivisibile.

Il suo ruolo alla guida del ministero, come il primo esecutore della politica estera cubana delineata da Fidel; come maestro di un’intera generazione di giovani che hanno iniziato a formarsi sotto la sua guida; come fonte inesauribile di saggezza, talento, coraggio e principi di chi ci aiutò a formarci come diplomatici di una Rivoluzione che nasceva e che doveva affrontare le sfide più feroci dell’imperialismo; come artefice di un contributo decisivo per il sorgere, nel corso degli anni, di una ben identificabile “scuola di politica estera” cubana, basata sull’etica permanente, sulla profondità dell’analisi, sul prestigio delle nostre azioni e, in primissimo luogo, sui principi che Fidel ci ha lasciato, non può essere separato dal Roa polemista nato e difensore ad oltranza della nostra Rivoluzione nei forum internazionali; dal Roa dell’eloquenza incendiaria, dal Roa che terrorizzava i nemici della Rivoluzione Cubana per la sua risposta rapida come un fulmine, incisiva e precisa, in un’epoca in cui i tentativi di pressione e coercizione erano costanti per danneggiare e distruggere la rivoluzione trionfante, o per piegarla a linee che non erano le proprie.

Il Cancelliere della Dignità lasciò la sua impronta nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU fin dall’inizio. Sebbene sia ben noto quanto accaduto nella VII Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri dell’OSA a San José, Costa Rica, a cui Eduardo già ha fatto riferimento, e anche lo è la denuncia di Cuba presso le Nazioni Unite dopo l’invasione mercenaria di Playa Girón in cui il cancelliere cubano demolì gli argomenti di Adlai Stevenson, l’ambasciatore USA dell’epoca presso l’organizzazione mondiale, molto meno si è parlato della battaglia combattuta dal cancelliere cubano nello stesso Consiglio di Sicurezza nei giorni precedenti e successivi alla farsa costaricense, fino alla rottura delle relazioni diplomatiche con Cuba da parte USA, nel gennaio 1961.

Le denunce cubane nel massimo organismo mondiale sulle intenzioni aggressive dell’imperialismo abbondavano. Ma già l’11 luglio 1960, il cancelliere cubano scriveva una lettera al presidente del Consiglio di Sicurezza in cui sottolineava la gravità delle azioni USA contro Cuba, ciò che metteva in pericolo la pace e la sicurezza internazionali, tanto che richiedeva una riunione urgente di tale organo per affrontarle. In tale conclave, tenutosi nonostante la tenace opposizione di Washington e dei suoi più fedeli alleati, Roa pronunciò una delle sue più incisive denunce e chiarì che tali atti ostili preludevano a un’aggressione militare da parte di Washington che, nel contesto dell’isteria anticomunista e maccartista prevalente all’epoca, stava già seminando nell’opinione pubblica di quel paese una visione distorta della Rivoluzione cubana.

La denuncia del cancelliere cubano incluse una dettagliata spiegazione degli atti terroristici commessi contro Cuba nel periodo rivoluzionario dal territorio USA e delle misure coercitive adottate contro l’economia del paese, che stavano già creando le condizioni per l’imposizione, poco dopo, del blocco economico, commerciale e finanziario che dura fino ad oggi.

Uno dei principali obiettivi perseguito dall’intervento del Dr. Roa fu la denuncia delle ragioni per cui gli USA non desideravano che la cosiddetta “questione cubana” fosse discussa al Consiglio di Sicurezza, bensì all’OSA, dove poteva contare su un coro favorevole e affinché, in detto contesto, si impedisse la denuncia di un’aggressione e solo si presentasse come una “disputa” tra paesi.

Dopo le manovre USA a San José, Cuba continuò le sue denunce di fronte all’aggravarsi delle aggressioni contro la Rivoluzione. Pertanto, il 31 dicembre, il ministro Roa, da New York, richiese una nuova riunione del Consiglio di Sicurezza, che si svolse solo, in un clima di massima polarizzazione, il 4 gennaio 1961, cioè il giorno dopo la rottura delle relazioni tra Washington e L’Avana, che confermò con totale chiarezza la veridicità delle denunce che il cancelliere cubano stava realizzando.

In tale riunione, l’Ecuador e il Cile, in combutta con gli USA, presentarono un progetto di risoluzione in cui si chiedeva che i governi di entrambi i paesi si incontrassero per dirimere le loro differenze, cosa che Roa respinse con fermezza quando argomentò:

“Nelle attuali circostanze, non sembra necessario affermare che il governo rivoluzionario di Cuba respinge, preventivamente, ogni progetto di risoluzione che includa qualsiasi tipo di intesa con il governo imperialista e reazionario del Presidente Eisenhower. Non può esserci accordo tra loro. Il governo reazionario e imperialista del Presidente Eisenhower ha ordinato un intervento militare a Cuba e Cuba si prepara a respingerlo”.

Compagne/i:

Non posso fare a meno di ricordare quell’autunno del 1973, quando a pochi giorni dal perpetrarsi del sanguinoso colpo di stato in Cile, il Cancelliere della Dignità – e raramente un cancelliere ha brillato con tanta dignità – rimproverò con parole forti il rappresentante della dittatura fascista cilena che insultava il nostro Comandante in Capo e la Rivoluzione, costringendolo al silenzio.

Né posso dimenticare quell’altra volta, anche alle Nazioni Unite, quando un diplomatico africano traditore, che aveva lavorato a Cuba, si avvicinò a lui cercando di farsi perdonare il suo tradimento, e Roa, senza mezzi termini e senza peli sulla lingua, gli ricordò, con incisive parole, che lui non parlava con i traditori. Mi riferisco ad Alex Quayson-Sackey, che era stato ambasciatore del Ghana a Cuba e che si era piegato al colpo di stato che aveva rovesciato il presidente Nkrumah, e che Oramas sicuramente ricorderà.

Ma fa anche parte di questa dignitosa storia quando, nel marzo del 1973, in occasione della riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sul Canale di Panama, Roa, di fronte alle menzogne dell’ambasciatore USA, John Scali, e facendo leva sulla sua cultura enciclopedica, intervenne, Bibbia in mano, quando disse:

“Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Perché non c’è nulla di nascosto che non debba essere rivelato, né di occulto che non debba essere conosciuto. Perciò, tutto ciò che avete detto al buio, sarà udito in piena luce, e ciò che avete sussurrato all’orecchio nelle camere, sarà proclamato sui tetti”.

E, di fronte al tentativo di replica di Scali, Roa gli ricordò:

“Questo non lo disse Carlos Marx, bensì Gesù Cristo secondo San Luca (12.1, 2 e 3), non sta ne Il capitale, bensì in questo libro che voi avete nella vostra camera d’albergo e dovreste leggere”.

Sebbene molto si potrebbe dire sulla presenza di Roa nelle riunioni dei non allineati, il tempo non permette di dilungarsi troppo, per cui ci limiteremo a fornivi alcuni spunti che la caratterizzano.

Ad esempio, nella prima conferenza, a Belgrado, furono importanti le discussioni del cancelliere cubano con Krishna Menon, all’epoca ministro della difesa dell’India, sulla necessità di includere una condanna della presenza della base navale USA nel territorio usurpato di Guantanamo.

Nella seconda conferenza tenuta al Cairo, il ruolo del Cancelliere della Dignità fu particolarmente intenso anche riguardo a Cuba, come lo stesso Roa commentò in un’intervista stampa tenuta nella capitale egiziana quando disse:

“Non aspiravamo a che il caso Cuba costituisse il punto centrale della Conferenza, ma aspiravamo che, in qualche modo, fosse menzionato nel comunicato finale, poiché ciò ci avrebbe dato forza per l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Abbiamo fatto notare che il caso di Cuba non era locale, né regionale, ma di portata mondiale, come dimostrato durante la Crisi di Cuba. Il problema cubano interessa tutti allo stesso modo, e possiamo dire che le potenze occidentali che mantengono relazioni commerciali con Cuba, che sono molte, sono profondamente preoccupate per la situazione creata dalla politica USA nei confronti del nostro paese, poiché esse stesse sono oggetto di pressioni di ogni genere per impedire loro il commercio con Cuba …”.

Nella terza conferenza, a Lusaka, in Zambia, Roa presiedette la delegazione cubana e pronunciò un sostanzioso discorso in cui, oltre a chiarire la posizione cubana sulle diverse regioni e paesi che componevano il Movimento e a ribadire la irremovibile posizione di Cuba contro l’imperialismo, disse:

“I popoli dell’Africa, Asia e America Latina si aspettano che la Conferenza di Lusaka marchi un passo più alto rispetto a quella precedente nel drammatico percorso della loro liberazione nazionale, sociale e culturale. Coloro che li tradiranno porteranno con sé una responsabilità irredimibile. Non è superfluo sottolinearlo. Cuba non è venuta a questa Conferenza per parlare invano, né a parlamentare con l’imperialismo, né a negoziare principi irrinunciabili. Primo territorio emancipato dalla costrizione imperialista in America, piccola isola che costruisce la società socialista e comunista a novanta miglia dall’impero più potente, aggressivo e rapace del nostro tempo, compagna di trincea di tutti coloro che nel mondo lottano per la propria indipendenza, dignità e progresso, Cuba farà onore alla fiducia che sempre le hanno consegnato i popoli dei tre continenti.”

Inoltre, anticipando gli eventi che avrebbero permeato la successiva conferenza quando prendevano forza le posizioni di destra volte a equiparare i paesi socialisti all’imperialismo, tesi alla quale, ad Algeri, tre anni dopo, nel 1973, fece brillantemente fronte il Comandante in Capo Fidel Castro, Roa disse:

“Il più solido sostegno e la forza più pugnace del fronte antimperialista sono costituiti proprio dai paesi socialisti. Non possiamo trascurarli né isolarli se vogliamo combattere contro i paesi imperialisti guidati dagli USA, che si sono arrogati il vile ruolo di gendarmi internazionali della reazione, dell’oppressione, della discriminazione e del sottosviluppo, patologiche escrescenze del sistema capitalista allo spostarsi geograficamente dalle sue frontiere nazionali e stabilire la sua vandalica dominazione nei continenti arretrati”.

Inoltre, fu particolarmente incisivo nella critica alla decisione di non invitare come membro a pieno titolo del Movimento il Governo Provvisorio Rivoluzionario del Vietnam del Sud e di aver ignorato le forze indipendentiste di Porto Rico.

Ora, compagne/i, mi piacerebbe fare un riferimento più dettagliato alla presenza del cancelliere cubano nella riunione ministeriale di Georgetown, Guyana, a cui abbiamo fatto riferimento all’inizio di questi commenti.

Oltre a una solidale panoramica della situazione dell’Africa Meridionale, del Medio Oriente e di Porto Rico, Roa focalizzò il suo intervento su tre aspetti fondamentali: il fatto che si tenesse per la prima volta una riunione del Movimento in America Latina, in particolare nei Caraibi; la solidarietà con il popolo vietnamita, che stava già dando vita all’ultima fase della sua lotta liberatoria; e il netto rifiuto di Cuba di piegare i paesi non allineati a una politica “neutralista”, “terzista” ed ambigua.

Vi chiedo che prestiate molta attenzione alle sue parole, non solo per il loro contenuto, ma anche per la struttura, il linguaggio e le enfasi date dal Cancelliere della Dignità, e lo dico perché più di una volta ho mostrato questo intervento di Roa ai compagni del ministero come esempio di come deve essere formulato un intervento cubano in un’organizzazione internazionale.

Roa dichiarò:

“Il non allineamento non può significare neutralità complice né adattamento opportunistico, né può tradursi in atteggiamenti contemplativi e fittizi equilibri in un mondo in cui, per i popoli, i campi sono nettamente delimitati. Non può esserci neutralità tra i popoli vittime di colonialismo in Guinea Bissau, Angola, Mozambico o Porto Rico e i loro aguzzini coloniali. Né neutralità di fronte alla lotta dei popoli di Namibia, Rhodesia e Sudafrica e coloro che impongono la museruola coloniale-razzista. È inconcepibile la neutralità di fronte all’epopea vietnamita e all’eroica lotta dei popoli indocinesi contro la barbarie yankee. Non hanno spazio, nel mondo di oggi, terze posizioni tra gli aggressori e gli aggrediti, tra gli sfruttatori e gli sfruttati, tra gli imperialisti che spogliano i nostri popoli delle loro ricchezze e le masse affamate del Terzo Mondo che combattono per l’emancipazione economica e la conquista di livelli di vita decorosi; tra gli imperialisti che organizzano la guerra, l’aggressione e l’ingerenza in tutto il mondo e i popoli che si impegnano a imporre la pace sulla base del rispetto assoluto dei loro inalienabili diritti nazionali.

Questa riunione non può eludere le alte responsabilità del momento. I popoli combattenti reclamano chiarezza nelle definizioni, rettitudine nella strategia e volontà di azione pratica. In momenti come questo, il linguaggio ambiguo, l’incertezza e la debolezza costituiscono un tradimento.

Riuniti per la prima volta su suolo americano, i paesi non allineati devono prendere decisioni che siano in linea con il profondo movimento emancipatore che scuote oggi le viscere di questo continente. L’America Latina è stata, per lungo tempo, un cortile sicuro per i monopoli nordamericani. Dai nostri fertilissimi terreni, con il sudore e lo sforzo dei nostri uomini e donne tormentati dalla miseria, gli imperialisti estrassero le risorse che permisero loro di costruire il loro potere e, basandosi su di esso, opprimere altri popoli, sostenere la reazione internazionale ed esercitare il ruolo di gendarme in tutto il mondo. L’America Latina fu il primo campo di sperimentazione del neocolonialismo. I nostri popoli videro appassire l’indipendenza conquistata all’inizio del secolo scorso per via dello sfruttamento, dell’ingerenza, le aggressioni e la prepotenza dell’imperialismo nordamericano. Per decenni, il governo di Washington poté imporre la sua volontà sui nostri popoli con la complicità di oligarchie parassitarie e antinazionali. La voce dell’America Latina solo intonava, nelle riunioni internazionali, lodi genuflesse al suo padrone.

Parlo a nome del popolo a cui è toccato il singolare privilegio di spianare la strada e aprire, a colpi di imprese e sacrifici, la breccia che creperà fino a farla crollare l’antica fortezza imperialista. A nome di questo popolo, intimamente legato ai popoli latinoamericani, chiedo a questa riunione la sua solidarietà con il nuovo processo emancipatore di questo continente”.

Compagne/i:

Con questo intervento del Cancelliere della Dignità concludo i miei commenti. Se ho preso troppo del vostro tempo, vi chiedo di scusarmi.

Molte grazie.


Intervención de Abelardo Moreno Fernández en el panel conmemorativo del 117 Aniversario del natalicio del Canciller de la Dignidad, Raúl Roa García, organizado por la Cátedra Raúl Roa del Instituto Superior de Relaciones Internacionales (ISRI).

La Habana, 8 de abril de 2024

Estimadas compañeras y compañeros:

Como he hecho más de una vez, desearía comenzar estas breves palabras con un párrafo de la intervención que el Canciller de la Dignidad pronunciara en la cuarta reunión de Ministros del Movimiento de Países No Alineados, en Georgetown, Guyana en 1972.

Decía: “Cuba basa su política internacional en una posición revolucionaria, antimperialista e internacionalista, sin ambigüedades ni flaquezas. Cuba se alinea, resueltamente, junto a los pueblos que batallan por extirpar el colonialismo, derrotar al imperialismo, poner fin a sus agresiones y amenazas belicistas, y conquistar un mundo sin imperialistas ni agresores, libre de la explotación de los monopolios sobre las naciones y libre también de la explotación a sus propios pueblos de minorías rapaces y estultas. Cuba está abiertamente comprometida con el mundo del futuro, que avanza, seguro y victorioso, alentado por las luchas y los sacrificios de los pueblos revolucionarios”.

Y hago hincapié en este párrafo, porque Roa fue capaz, en unas breves líneas, de sintetizar la esencia de la política exterior de la Revolución cubana según había sido concebida por el Comandante en Jefe Fidel Castro Ruz, y que hoy más de 50 años después, mantiene toda su vigencia.

Se me ha pedido que me refiera al papel del Dr. Raúl Roa García en el Movimiento de Países No Alineados, pero no puedo resistirme a la tentación de hacer referencia también a otros episodios que demuestran a las claras el papel del pensamiento y la firmeza de aquel que, fiel a sus ideas, y a pesar de la situación del país en las décadas que precedieron a la revolución liberadora de 1959, nunca claudicó y que, estuvo presente desde el primer momento al llamado de Fidel.

Ahora bien, creo que el punto de partida de todo análisis es reconocer que el pensamiento de Raúl Roa García es indivisible.

Su papel al frente del ministerio, como el primer ejecutor de la política exterior cubana trazada por Fidel; como maestro de toda una generación de jóvenes que nos empezamos a formar bajo su égida; como fuente inagotable de la sabiduría, talento, hombradía y principios de quien ayudó a formarnos como diplomáticos de una Revolución que nacía y que debía enfrentar los desafíos más feroces del imperialismo; como hacedor de una contribución decisiva para el surgimiento con los años de una bien identificable “escuela de política exterior” cubana, basada en la ética permanente, en la profundidad del análisis, en el prestigio de nuestras acciones y, en primerísimo lugar, en los principios que Fidel nos legara, no se puede separar del Roa polemista nato y defensor a ultranza de nuestra Revolución en los foros internacionales; del Roa del verbo encendido, del Roa que aterrorizaba a los enemigos de la Revolución Cubana por su respuesta rápida como una centella, incisiva y precisa, en una época en que los intentos de presión y coerción eran constantes para dañar y destruir a la revolución triunfante, o para uncirla a líneas que no eran las propias.

El Canciller de la Dignidad dejó su impronta en el Consejo de Seguridad de la ONU desde muy temprano. A pesar de que es bien conocido lo sucedido en la VII Reunión de Consulta de Ministros de Relaciones Exteriores de la OEA en San José, Costa Rica, a la que ya Eduardo se refirió, y también lo es la denuncia de Cuba ante las Naciones Unidas luego de la invasión mercenaria de Playa Girón en la que el canciller cubano hizo añicos los argumentos de Adlai Stevenson, el embajador estadounidense de la época en la organización mundial, mucho menos se ha hablado de la batalla librada por el canciller cubano en el propio Consejo de Seguridad en los días anteriores y posteriores a la farsa costarricense, hasta la ruptura de relaciones diplomáticas con Cuba por los Estados Unidos, en enero de 1961.

Las denuncias cubanas en el máximo organismo mundial sobre las intenciones agresivas del imperialismo, abundaban. Pero, ya el 11 de julio de 1960, el canciller cubano le dirigía una carta al presidente del Consejo de Seguridad en la que hacía énfasis en la gravedad de las acciones de los Estados Unidos contra Cuba, lo que ponía en peligro la paz y la seguridad internacionales, por lo que se requería una reunión urgente de dicho órgano para abordarlas. En dicho cónclave, celebrado a pesar de la tenaz oposición de Washington y sus más fieles aliados, Roa pronunció una de sus más contundentes denuncias, y dejó claro que dichos actos hostiles preludiaban una agresión militar por parte de Washington que, el contexto de la histeria anticomunista y macarthista prevaleciente en la época, ya estaba sembrando en la opinión pública de ese país una visión distorsionada de la Revolución cubana.

La denuncia del canciller cubano incluyó una detallada explicación de los actos terroristas que se habían cometido contra Cuba en el período revolucionario desde el territorio estadounidense, y de las medidas coercitivas adoptadas contra le economía del país, que ya empezaban a crear las condiciones para la imposición poco después del bloqueo económico, comercial y financiero que dura hasta nuestros días.

Ahora bien, uno de los principales objetivos que persiguió la intervención del Dr. Roa, fue la denuncia de las razones por las cuales Estados Unidos no deseaba que el denominado “asunto cubano” se dirimiera en el Consejo de Seguridad, sino en la OEA, donde podía contar con un coro que le era favorable, y para que en dicho marco se impidiera la denuncia a una agresión y se le presentara solo como una “disputa” entre países.

Luego de las maniobras estadounidenses en San José, Cuba continuó sus denuncias ante el agravamiento de las agresiones contra la Revolución. Por ello, el 31 de diciembre, el canciller Roa, desde Nueva York, solicitó una nueva reunión del Consejo de Seguridad, que solo se efectuó, en un ambiente de máxima polarización, el 4 de enero de 1961, o sea, al día siguiente de la ruptura de relaciones de Washington con La Habana, que confirmó con total claridad la veracidad de las denuncias que el canciller cubano venía realizando.

En dicha reunión, Ecuador y Chile, en contubernio con los Estados Unidos, presentaron un proyecto resolución en el que se pedía que los gobiernos de ambos países se reunieran para dirimir sus diferencias, que Roa rechazó con firmeza cuando argumentó: “En las actuales circunstancias, no parece necesario plantear que el gobierno revolucionario de Cuba rechaza, por adelantado, todo proyecto de resolución que incluya cualquier tipo de entendimiento con el imperialista y reaccionario gobierno del Presidente Eisenhower. No puede haber acuerdo entre ambos. El gobierno reaccionario e imperialista del Presidente Eisenhower ha ordenado una intervención militar en Cuba y Cuba se prepara para repelerla”.

Compañeras y compañeros:

No puedo dejar de recordar ese otoño de 1973, cuando a pocos días de perpetrado el sangriento golpe de estado en Chile, el Canciller de la Dignidad –y pocas veces ha brillado un canciller con tal dignidad– increpó con fuertes palabras al personero de la dictadura fascista chilena que insultaba a nuestro Comandante en Jefe y a la Revolución, y lo obligó a callar.

Ni tampoco aquella otra vez, también en las Naciones Unidas, cuando un diplomático africano traidor, que había trabajado en Cuba, se acercó a él para tratar de hacerse perdonar su traición, y Roa, ni corto ni perezoso, y sin pelos en lengua, le recordó con vigorosas palabras que él no hablaba con traidores. Me refiero a Alex Quayson-Sackey, quien había sido embajador de Ghana en Cuba y que se había plegado al golpe de estado que había derrocado al presidente Nkrumah, y al que Oramas seguramente recordará.

Pero también es parte de esta digna historia cuando, en marzo de 1973, en ocasión de la reunión del Consejo de Seguridad de la ONU sobre el Canal de Panamá, Roa, ante las mentiras del embajador estadounidense John Scali, y haciendo gala de su cultura enciclopédica, le salió al paso Biblia en mano cuando dijo: “Guardaos de la levadura de los fariseos que es la hipocresía. Porque nada hay encubierto, que no haya de descubrirse; ni oculto que no haya de saberse. Por tanto, todo lo que habéis dicho en tinieblas, a la luz se oirá, y lo que habéis hablado al oído en los aposentos, se proclamará en las azoteas”.

Y, ante el intento de réplica de Scali, Roa le recordó: “Esto no lo dijo Carlos Marx, sino Jesucristo según San Lucas (12.1, 2 y 3), no está en El capital, sino en este libro que usted tiene en la habitación del hotel y debería leer”.

Si bien mucho se podría decir de la presencia de Roa en las reuniones no alineadas, el tiempo no permite abundar en demasía, por lo que nos concretaremos a poner en manos de ustedes algunas pinceladas que la tipifican.

Por ejemplo, en la primera cumbre, en Belgrado, fueron importantes las discusiones del canciller cubano con Krishna Menon, entonces ministro de defensa de la India sobre la necesidad de incluir una condena a la presencia de la base naval de los Estados Unidos en el territorio usurpado de Guantánamo.

En la segunda cumbre efectuada en El Cairo, fue particularmente intenso el papel del Canciller de la Dignidad también con respecto a Cuba, lo que el propio Roa comentó en una entrevista de prensa realizada en la capital egipcia cuando dijo: “No aspirábamos a que el caso Cuba constituyera el punto central de la Conferencia, pero si aspirábamos, a que, en alguna forma, fuera mencionado en el comunicado final, ya que esto nos prestaría fuerza para la Asamblea General de las Naciones Unidas. Expusimos que el caso de Cuba no era local, ni siquiera regional, sino de carácter mundial, como se había demostrado en ocasión de la Crisis del Caribe. El problema cubano interesa a todos por igual, y podemos decir que las potencias occidentales que mantienen relaciones comerciales con Cuba, que son muchas, están profundamente preocupadas por la situación creada por la política de Estados Unidos en relación con nuestro país, ya que ellas mismas están siendo objeto de presiones de todo género para impedirles el comercio con Cuba …”.

En la tercera cumbre, en Lusaka, Zambia, Roa presidió la delegación cubana, y pronunció un enjundioso discurso en el que, además de dejar bien clara la postura cubana sobre las diversas regiones y países que conformaban el Movimiento, y reiterar la inclaudicable posición de Cuba contra el imperialismo dijo: “Los pueblos de África, Asia y América Latina esperan que la Conferencia de Lusaka marque un peldaño más alto que la anterior en el dramático camino de su liberación nacional, social y cultural. Quienes los defrauden cargarán con una responsabilidad irredimible. No es ocioso puntualizarlo. Ni a parlar vanamente, ni a parlamentar con el imperialismo, ni a negociar principios irrenunciables ha venido Cuba a esta Conferencia.  Primer territorio emancipado de la coyunda imperialista en América, isla diminuta que edifica la sociedad socialista y comunista a noventa millas del imperio más poderoso, agresivo y rapaz de nuestro tiempo, camarada de trinchera de cuantos en el mundo pelean por su independencia, su dignidad y su progreso, Cuba hará honor a la confianza que siempre le han otorgado los pueblos de los tres continentes.”

Asimismo, adelantándose a los acontecimientos que permearían la cumbre siguiente cuando tomaban fuerza las posiciones derechistas encaminadas a equiparar a los países socialistas con el imperialismo, tesis a la que, en Argel, tres años después, en 1973, le saliera brillantemente al paso el Comandante en Jefe Fidel Castro, Roa apuntó: “El sostén más sólido y la fuerza más pugnaz del frente antimperialista lo constituyen justamente los países socialistas. No podemos omitirlos ni aislarlos si pretendemos entablar batalla con los países imperialistas encabezados por los Estados Unidos, que se ha arrogado el despreciable papel de gendarme internacional de la reacción, la opresión, la discriminación y el subdesarrollo, patológicas excrecencias del sistema capitalista al desplazarse geográficamente de sus fronteras nacionales y establecer su vandálica dominación en los continentes atrasados”.

Además, fue particularmente incisivo en la crítica a la decisión de no invitar como miembro pleno del Movimiento al Gobierno Revolucionario Provisional de Vietnam del Sur y haber ignorado a las fuerzas independentistas de Puerto Rico.

Ahora bien, compañeras y compañeros, me gustaría hacer una referencia más pormenorizada a la presencia del canciller cubano en la reunión ministerial de Georgetown, Guyana, a la que hicimos referencia a principios de estos comentarios.

Además de un repaso solidario de la situación de África Meridional, el Medio Oriente y Puerto Rico, Roa, centró su intervención en tres aspectos medulares: el hecho de que se celebrara por primera vez una reunión del Movimiento en la América Latina, particularmente en el Caribe; la solidaridad con el pueblo vietnamita, que comenzaba ya a gestar la última etapa de su lucha liberadora; y el rechazo frontal de Cuba a los intentos de uncir a los países no alineados a una política “neutralista” “tercerista” y ambigua.

Les pido que presten mucha atención a sus palabras, no solo por su contenido, sino también por la estructura, el lenguaje y los énfasis dados por el Canciller de la Dignidad, y lo digo porque más de una vez he mostrado esta intervención de Roa a compañeros del ministerio como ejemplo de cómo debe formularse una intervención cubana en una organización internacional.

Roa apuntó: El no alineamiento no puede significar neutralidad cómplice ni acomodo oportunista, ni puede traducirse en actitudes contemplativas y equilibrios ficticios en un mundo en que, para los pueblos, los campos están nítidamente deslindados. No puede haber neutralidad entre los pueblos víctimas de colonialismo en Guinea Bissau, Angola, Mozambique o Puerto Rico y sus verdugos coloniales. Ni neutralidad ante la lucha de los pueblos de Namibia, Rodesia y Sudáfrica y quienes les imponen el grillete colonial-racista. Es inconcebible la neutralidad ante la epopeya vietnamita y la heroica lucha de los pueblos indochinos contra la barbarie yanqui. No tienen cabida, en el mundo de hoy terceras posiciones entre los agresores y los agredidos, entre los explotadores y los explotados, entre los imperialistas que despojan de sus riquezas a nuestros pueblos y las masas hambreadas del Tercer Mundo que combaten por la emancipación económica y la conquista de niveles de vida decorosos; entre los imperialistas que organizan la guerra, la agresión y la injerencia en todo el mundo y los pueblos que se empeñan en imponer la paz sobre la base del respeto absoluto a sus inalienables derechos nacionales.

Esta reunión no puede eludir las altas responsabilidades de la hora. Los pueblos combatientes reclaman claridad en las definiciones, rectitud en la estrategia y voluntad de acción práctica. En momentos como este, el leguaje anfibológico, el titubeo y la debilidad constituyen apostasía.

Reunidos por primera vez en suelo americano, los países no alineados deben adoptar decisiones que estén en concordancia con el profundo movimiento emancipador que sacude hoy las entrañas de este continente. América Latina fue, durante largos años, traspatio seguro para los monopolios norteamericanos. De nuestras tierras ubérrimas, con el sudor y el esfuerzo de nuestros hombres y mujeres acosados por la miseria, extrajeron los imperialistas los recursos que les permitieron edificar su poderío y apoyándose en él oprimir a otros pueblos, sostener a la reacción internacional y ejercer el papel de gendarme en todo el mundo. América Latina fue el primer campo de experimentación del neocolonialismo. Nuestros pueblos vieron marchitarse la independencia conquistada a principios del siglo pasado por la explotación, la intromisión, las agresiones y la prepotencia del imperialismo norteamericano. Durante décadas, el gobierno de Washington pudo imponer su voluntad sobre nuestros pueblos con la complicidad de oligarquías parásitas y antinacionales. La voz de América Latina sólo entonaba en las reuniones internacionales loas genuflexas a su amo.

Hablo en nombre del pueblo a quien cupo el singular privilegio de desbrozar el camino y abrir, a golpe de hazañas y sacrificios, la brecha que agrietará hasta derribarla la otrora poderosa fortaleza imperialista. A nombre de ese pueblo, entrañablemente unido a los pueblos latinoamericanos, reclamo de esta reunión su solidaridad con el nuevo proceso emancipador de este continente”.

Compañeras y compañeros:

Con esta intervención del Canciller de la Dignidad concluyo mis comentarios. Si he tomado demasiado de su tiempo, les pido que me disculpen.

Muchas gracias.

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