Golpe e contro-golpe nel XXI secolo: aprile, oggi

(misionverdad.com)

I giorni dall’11 al 13 aprile 2002 sono ricordati con dolore ma anche come lezioni che, da allora, sono state importanti per il consolidamento del progetto bolivariano e chavista.

Se non fosse stato per la linea di resistenza che il popolo stabilì nei dintorni del Palazzo Miraflores, a Caracas, e in altri luoghi importanti del Venezuela, la dittatura fascista di settori imprenditoriali e politici dell’estrema destra si sarebbe definitivamente imposta.

Il comandante Hugo Chávez raccontò in un programma commemorativo dell’11A che il popolo incominciò ad arrivare a Miraflores dopo che i politici e i media antichavisti si appellarono alla loro versione insurrezionale del “fino alla fine”, con cui diressero la marcia dell’opposizione indetta quel giorno verso la sede del governo. Veniva da molto lontano, dalla periferia di Caracas, dalle colline e montagne adiacenti: Petare, La Guaira.

Il popolo, cosciente del pericolo che si avvicinava, cominciò a stabilire, senza che nessuno lo avesse ordinato, una linea di resistenza. Un gruppo di militari traditori riuscì a immobilizzare quasi la totalità delle Forze Armate e ritirò le truppe, la Guardia Nazionale, le forze di sicurezza, lasciando campo libero alla marcia dell’opposizione. Il comandante Chávez paragonava la manovra golpista ad una partita di calcio: si ritira la difesa e legano il portiere. È successo qualcosa del genere. Il popolo capì il copione e arrivò a Miraflores, stabilì una linea di resistenza, trincee e assunse il proprio ruolo, accompagnato da un fermo gruppo di soldati patriottici.

Gli esecutori del golpe provenivano da diverse direzioni. Un’avanguardia molto violenta passava per El Calvario, con armi lunghe, bombe a mano; una forza combattente paramilitare composta, in gran parte, da traditori militari e sicari. Cercarono di operare lungo Avenida Baralt, così come attraverso il liceo Fermín Toro, organizzati in diversi fronti di marcia, ciascuno con un’avanguardia violenta e golpista. I cecchini erano ben posizionati, riuscirono a controllare le alture predominanti nei dintorni, si scontrarono con la resistenza di un gruppo patriottico di guardie nazionali e soldati della Casa Militare, la Guardia d’Onore, senza usare armi da fuoco: questo fu l’ordine del Comandante Chavez.

FINO ALL’ULTIMO MINUTO

Il golpe dell’11 aprile fu tessuto in vivo e in diretta, a vox populi, mascherato da rivendicazioni sociali e democratiche e da false flag, che consisteva nell’assassinio di civili innocenti con motivazioni politiche per criminalizzare il Governo bolivariano, una tattica che è stata ripetuta, da allora, fino alla nausea. L’unico modo per evitare il golpe sarebbe stato che il Comandante Chávez si consegnasse alla cosiddetta borghesia venezuelana e all’impero. Quello era l’unico modo per evitarlo, ma il Comandante mai retrocesse e il popolo lo sostenne.

Senza la linea di resistenza e il gruppo di soldati patriottici, la marcia fascista avrebbe raggiunto il suo obiettivo: assaltare il Palazzo di Miraflores e assassinare Chávez. Per questo, ogni 11 aprile, rendiamo omaggio ai martiri di Puente Llaguno, al popolo disarmato che resistette ai proiettili del fascismo.

Il Comandante Chávez sempre ringraziò gli sforzi del popolo in quelle giornate. Nel suddetto programma disse che “grazie al loro sacrificio sono vivo, e quindi cosa mi resta? Lottare, lottare e lottare fino all’ultimo giorno della mia vita. Realizziamo quel sogno per il quale loro morirono, come tanti martiri in questi anni”. Parole che hanno una chiara attualità.

Il nemico prese il controllo l’11 aprile, aveva, momentaneamente, vinto il fascismo. Il 12 iniziò la ribellione civico-militare per riportare al potere la Rivoluzione Bolivariana. La Guardia d’Onore rimase fedele e si unì alla linea di resistenza popolare che si era radunata attorno al palazzo del governo.

Adesso ha volti diversi, più invecchiati, ma lo stesso nemico camminava per i corridoi di Miraflores, quel 12 aprile, festeggiando, abbracciandosi. Il Comandante Chávez commentò che “si aprirono i cimiteri della IV Repubblica e qui arrivarono i cadaveri insepolti, lo presero credendo che l’ordine fosse già stato eseguito”.

In quell’occasione passarono per la scuola del fascismo e continuarono ad usare quelle pratiche. Molti dei fattori di opposizione che furono coinvolti e appoggiarono o approvarono la brevissima dittatura di Pedro Carmona Estanga continuano a invocare il colpo di stato, l’insurrezione, l’insubordinazione militare contro il governo e lo Stato. La cospirazione continua a destabilizzare il paese, per commettere l’assassinio del presidente Nicolás Maduro. Continuano a cercare di sabotare il sistema elettrico, l’industria petrolifera, l’economia nazionale.

13 APRILE: ALTERNATIVA AL FASCISMO

Di fronte ai piani del fascismo golpista, la responsabilità di noi venezuelane/i è quella di continuare a rafforzare la natura fertile del progetto bolivariano, affrontando e sconfiggendo tali fazioni o quella che sorga in qualsiasi campo di battaglia.

Il 13 aprile, un’operazione militare con ampio sostegno popolare ripristinò al potere presidenziale Chávez e così s’inaugurò una nuova fase del processo rivoluzionario.

Fu dopo quel giorno che cominciammo a parlare di antimperialismo e, più tardi, di socialismo. Il golpe ed il suo contro-golpe contribuirono potentemente a plasmare ulteriormente il corso della Rivoluzione Bolivariana e ad approfondirla. Da allora l’appello è stato quello di continuare a perseguire meglio questa rotta, come anche lo avverte, costantemente, il presidente Maduro.

Potremmo paragonare, le giornate dall’11 al 13 aprile, con la vittoriosa resistenza all’invasione USA di Playa Girón contro la rivoluzione cubana. Un’analogia storica che molto probabilmente vale la pena ricordare per la piega che hanno preso entrambi i processi, quello cubano e venezuelano, dopo l’intervento diretto degli USA.

“GRAZIE, MEZZI DI COMUNICAZIONE”

Passiamo ad analizzare cosa da lì ne derivò in termini di politica e storia, geopolitica e tecnologie per il “cambio di regime”. Si tratta di registrare i fenomeni, oltre ciò che è accaduto in sé, verso altre dimensioni.

Trattandosi del primo golpe mediatico della storia, va sottolineata la natura politica dei mezzi di comunicazione privati ​​in Venezuela, fin dai tempi in cui i principali canali televisivi e di stampa cominciarono a influenzare l’opinione pubblica a favore o contro certe correnti e azioni di partiti politici, movimenti sociali e programmi amministrativi che avrebbero una grande influenza sulle dinamiche nazionali.

Marcel Granier, presidente di RCTV, ebbe un ruolo essenziale durante il golpe del 2002, con la sua televisione esercitò un blocco informativo sugli eventi di Caracas terminati con il rapimento del presidente Chávez, sotto una politica di “zero chavismo” sugli schermi durante l’11 aprile, introducendo al suo posto una narrazione che diede luogo non all’informazione bensì alla costruzione sentimentale di un consenso a favore del cambio di regime che si stava verificando in tempo reale.

Ricordiamo l’espressione pronunciata nel programma televisivo di Napoleon Bravo il 12 aprile 2002: “Grazie, mezzi di comunicazione”.

Possiamo osservare che la stessa cosa sta accadendo con la Russia in tutta la geografia occidentale con la chiusura di canali e la restrizione e censura dei portali web RT e Sputnik da parte dei conglomerati mediatici e della Big Tech, che stroncano sul nascere la diffusione di informazioni e analisi divergenti dalla copertura USA ed europea, non solo dell’Operazione Militare Speciale russa in Ucraina, bensì di tutti gli eventi accaduti nel mondo.

Questo fattore produce, allo stesso tempo, una modificazione nell’accoglienza verso tutto ciò che è russo, tradotta in un atteggiamento di ostilità e di “cancellazione culturale” che deriva, nei suoi comportamenti, dall’aprile 2002 – in poi – quando erano motivati ​​verso tutto quello chavista dai media e dai portavoce politici dell’estremismo dell’opposizione, apertamente protetto dall’ombrello USA. In questo aspetto c’è una continuità di procedure, con motivazioni politiche e culturali che agiscono come inneschi verso il mediatico.

Che il lavoro di RCTV e El Nacional, tra gli altri media, abbia prodotto conseguenze politiche non è una casualità; neppure che ciò portasse ad un’agenda fascista di persecuzione e “cancellazione” del chavismo l’11 e 12 aprile. Il golpe mediatico retro-alimentò il golpe politico.

In questo senso, c’è stata anche un prolungamento del lavoro politico-mediatico di Granier, dagli anni ’70 fino al 2006, anno in cui termina la concessione ufficiale di RCTV per la sua trasmissione nello spettro comunicativo venezuelano.

NELLA FRANGIA INTERNAZIONALE DEL GOLPE E DEL CAOS

D’altro canto, dal punto di vista internazionale, nel 2002, gli USA stavano portando avanti azioni in diversi scenari geopolitici che ebbero conseguenze su diverse dinamiche nazionali.

Nel 2001 si verificò l’invasione dell’Afghanistan e, all’inizio del 2003, la Casa Bianca -allora governata da George W. Bush- si stava preparando all’invasione dell’Iraq.

Nel 2002, dopo il golpe e il contro-golpe in Venezuela, il Dipartimento di Stato USA designò Corea del Nord, Cuba, Iran, Iraq, Libia, Sudan e Siria come “Stati promotori del terrorismo”. Da allora, l’offensiva economica, finanziaria e commerciale contro tutti questi paesi andò aumentando nel corso degli anni, e in alcuni le operazioni militari USA li gettarono nel disordine, portando anche a cambi di regime: Iraq, Libia, Sudan. In Siria, dove esiste ancora una base USA che occupa parte del nord-ovest ricco di giacimenti petroliferi, non riuscirono a rovesciare il governo di Bashar al-Assad; tuttavia, è uno spazio che persiste come fonte di logistica e protezione per i terroristi dell’Isis e di Al-Qaeda.

Il Venezuela condivideva un posto nelle aspirazioni occidentale di cambio di regime nella mappa geopolitica. Sebbene il controllo delle agende nazionali non è più una prerogativa degli USA, non solo nella Repubblica Bolivariana bensì in alcuni dei paesi menzionati, all’epoca essendo il nostro paese uno che, per tutto il XX secolo, orbitò sotto l’influente gravità di Washington, dalla capitale USA, si credeva che in virtù del formato del golpe di Stato e dell’instaurazione di un governo guidato da imprenditori e politici – che oggi godono della sua protezione – avrebbero potuto ottenere lo stesso risultato che si erano prefissati per l’Iraq e, più tardi, per la Libia.

Il fatto che le giornate dell’aprile 2002 si siano concluse con un clamoroso fallimento non significava che la Casa Bianca avrebbe smesso di insistere sulle azioni destituenti. Poi venne il sabotaggio petrolifero, guidato dagli stessi fattori del golpe mesi prima, tra cui la Confederazione dei Lavoratori Venezuelani (CTV), Fedecámaras, alcuni dirigenti della PDVSA e il Coordinamento Democratico, eventi che produssero perdite stimate in circa 16 miliardi di $, secondo il Ministero del Potere Popolare del Petrolio.

Successivamente, nel 2005, il Comandante Chávez denunciò l’Operazione Balboa, denominata “Esercitazione Specifica Pianificazione Operativa Balboa”, che fece parte del Secondo Corso dello Stato Maggiore Congiunto delle Forze Armate spagnole nel maggio 2001, al quale parteciparono ufficiali invitati da diversi paesi. Si trattava di un’esercitazione marziale dell’esercito spagnolo, membro della NATO, effettuata tra il 3 e il 19 maggio dello stesso anno. È probabile che l’Operazione Puma, un saggio militare argentino avvenuto tra aprile e giugno 2019, la cui missione era l’”invasione umanitaria” del Venezuela sotto il formato della coalizione multinazionale, sia una continuazione strategica di Balboa.

Negli anni 2000, la Casa Bianca produsse una serie di interventi militari, palesi e nascosti, alcuni riusciti e altri falliti, per modificare il quadro internazionale a suo favore. Il golpe di aprile può essere letto in questo quadro di operazioni, tenendo conto che i soggetti che lo realizzarono avevano stretti legami con l’establishment USA (leggasi Leopoldo López, Julio Borges, Iván Simonovis, Pedro Carmona Estanga, María Corina Machado).

Non si deve dimenticare, come riportò all’epoca anche El País de España, il ruolo del Pentagono negli eventi golpisti: “Il tenente colonnello USA, James Rodgers, insediato al quinto piano del Comando dell’Esercito, avrebbe consigliato i generali che disobbedirono a Chávez e rimase con loro fino alla loro sconfitta. Il portavoce dell’ambasciata nordamericana, John Law, negò ogni complicità che non sembra inverosimile perché l’ambasciatore USA, Charles Shapiro, accompagnato dall’ambasciatore spagnolo, Manuel Viturro, si incontrò con Carmona dopo che questi aveva sciolto il Congresso e si era dotato del potere di legiferare per decreto fino all’indizione delle elezioni”.

L’aprile del 2002 in Venezuela era interconnesso con diversi aspetti geopolitici, nel mezzo di numerosi movimenti militari USA e NATO nella regione (Haiti nel 2004), nel sud-est Asiatico e in Africa. Un altro punto sulla mappa delle operazioni occidentali.

In conclusione, se tracciamo una linea storica delle azioni e motivazioni destituenti dell’antichavismo in Venezuela, potremo notare la continuità tra i fattori e gli attori che operarono nell’aprile 2002 e il resto dei tentativi golpisti durante gli due decenni.

Abbiamo già citato i politici Leopoldo López, Julio Borges e María Corina Machado, ma non bisogna sottovalutare il ruolo di Henrique Capriles, firmatario del Decreto Carmona e protagonista dell’assedio dell’ambasciata cubana a Caracas, crimine classificato nei codici del Diritto Internazionale.

Anche lo Stato spagnolo, come gli USA, ha una parte di responsabilità in molti scenari destituenti, compresa la protezione di Leopoldo López dopo la sua fuga.

APRILE, OGGI

Da parte sua, il settore imprenditoriale venezuelano svolse un ruolo importante durante gli anni più intensi della guerra economica interna, soprattutto nell’esorbitante aumento dei prezzi che, in parte, causò un’inflazione con pochi precedenti nella storia repubblicana. La combinazione di questo scenario con il blocco e l’embargo dell’economia nazionale da parte USA fu un terreno fertile ideale per diversi piani golpisti che nell’ultimo decennio il governo del presidente Nicolás Maduro dovette affrontare, con successo e con attuali rendimenti politici.

La propaganda anti-chavisti continua a essere sconfinata nella sua capacità di diffondere raffiche di bufale, notizie false e canali per la fabbricazione di consenso tra il suo pubblico. Tra un tentativo di destituzione e l’altro, il suo ruolo continua ad avere un significato nodale nella guerra dell’informazione e nel teatro delle operazioni di manipolazioni psicologiche, soprattutto il settore che beve dalla fonte USAID, NED e altre ONG associate.

Il fatto che Juan Guaidó sia stato “riconosciuto” come “presidente ad interim” rientra nella narrativa mediatica che si fa eco del mandato USA a livello nazionale e internazionale, un esempio vivente della distorsione informativa sperimentata nell’aprile 2002. Allo stesso tempo, funge da cinghia di trasmissione per il messaggio di odio politico e culturale verso tutto ciò che il chavismo fa, pensa e rappresenta da quei giorni. Niente ha avuto maggiore continuità della denigrazione avallata dai tribunali mediatici e dalla Big Tech a favore dell’antichavismo.

In risposta, lo Stato venezuelano ha generato una fibra che impegna la Forza Armata Nazionale Bolivariana (FANB) alle procedure e aspettative della popolazione politicizzata e organizzata nel chavismo, quella realizzazione originalmente chavista chiamata unione civico-militare, che ha avuto l’opportunità di dimostrare che può replicare ai contro-golpe degli aprili che si scatenano.

Possiamo parlare della Battaglia dei Ponti, del febbraio 2019, e dello smantellamento dell’Operazione Gedeón, nel 2020, come un punto molto chiaro, ma citare anche l’esperienza delle CLAP —soprattutto in altre regioni del paese al di fuori di Caracas—, tenendo conto che il settore economico e sociale è uno degli aspetti più importanti nella strategia del golpe continuo contro la Repubblica Bolivariana, poiché c’è l’aspettativa dell’opposizione che la cittadinanza prenda l’iniziativa di rovesciare il Governo Bolivariano —come nel 2014 e nel 2017—.

Testato al fuoco da più di 20 anni, la miglior arma di cui dispone il Venezuela per contro-arrestare i tentativi di privarlo del diritto di esistere come nazione indipendente e sovrana continua ad essere il Governo Bolivariano e la FANB, insieme al popolo mobilitato come attori integrativi.


GOLPE Y CONTRAGOLPE EN EL SIGLO XXI: ABRIL, HOY

 

Las jornadas del 11 al 13 de abril de 2002 son recordadas con dolor pero también con lecciones que han sido importantes desde entonces para la consolidación del proyecto bolivariano y chavista.

Si no hubiese sido por la línea de resistencia que el pueblo estableció en los alrededores del Palacio de Miraflores, en Caracas, y en otros sitios importantes de Venezuela, la dictadura fascista de sectores empresariales y políticos de la extrema derecha se habría impuesto definitivamente.

El Comandante Hugo Chávez contó en un programa conmemorativo del 11A que el pueblo empezó a llegar a Miraflores luego de que los políticos y medios antichavistas apelaran a su versión insurreccional de “hasta el final”, con la que dirigieron la marcha opositora convocada ese día hacia la sede de gobierno. Provenía desde lejos, desde las afueras de Caracas, de las lomas y las montañas adyacentes: Petare, La Guaira.

El pueblo, consciente del peligro que se avecinaba, empezó a establecer, sin que nadie lo hubiera ordenado, una línea de resistencia. Un grupo de militares traidores logró inmovilizar casi toda la Fuerza Armada y replegó tropas, Guardia Nacional, cuerpos de seguridad, dejándole el campo libre a la marcha opositora. El Comandante Chávez comparaba la maniobra golpista con un partido de fútbol: se retira la defensa y amarran al portero. Algo así ocurrió. El pueblo entendió el guión y llegó a Miraflores, estableció una línea de resistencia, trincheras, y asumió su papel, acompañado por un firme grupo de soldados patriotas.

Los ejecutantes del golpe venían por varias direcciones. Por El Calvario iba una avanzada muy violenta, con armas largas, granadas de mano; una fuerza de combate paramilitar en buena parte formada por militares traidores y sicarios. Por la avenida Baralt trataron de operar, al igual que por el liceo Fermín Toro, organizados en varios frentes de marcha, cada uno con una vanguardia violenta y golpista. Los francotiradores estaban bien ubicados, lograron controlar las alturas predominantes en los alrededores, quienes chocaron con la resistencia de un grupo patriota de guardias nacionales y soldados de la Casa Militar, la Guardia de Honor, sin hacer uso de armas de fuego: esa fue la orden del Comandante Chávez.

HASTA EL ÚLTIMO MINUTO

El golpe del 11 de abril se fue tejiendo en vivo y directo, a vox populi, disfrazado de reclamos sociales y democráticos y de una bandera falsa, que fue el asesinato de civiles inocentes con motivos políticos para criminalizar al Gobierno Bolivariano, una táctica que han repetido hasta la saciedad desde entonces. La única forma de evitar el golpe habría sido que el Comandante Chávez se hubiera entregado a la mal llamada burguesía venezolana y al imperio. Esa era la única forma de evitarlo, pero el Comandante nunca retrocedió y el pueblo lo respaldó.

Sin la línea de resistencia y el grupo de soldados patriotas, la marcha fascista habría concluido su objetivo: asaltar el Palacio de Miraflores y asesinar a Chávez. Por eso, cada 11 de abril rendimos tributo a los mártires de Puente Llaguno, al pueblo sin armas que puso resistencia a las balas del fascismo.

El Comandante Chávez siempre agradeció los esfuerzos del pueblo durante aquellas jornadas. Dijo en el mencionado programa que “gracias al sacrificio de ellos yo estoy vivo, y por eso, ¿qué me queda? Luchar, luchar y luchar hasta el último día de mi vida. Hagamos realidad ese sueño por el que ellos murieron, como tantos mártires a lo largo de estos años”. Palabras que tienen una clara actualidad.

El enemigo tomó el control el 11 de abril, había vencido momentáneamente el fascismo. El 12 comenzó la rebelión cívico-militar para restaurar la Revolución Bolivariana al poder. La Guardia de Honor permaneció leal y se unió a la línea de resistencia popular que se había congregado en los alrededores del palacio de gobierno.

Ahora tiene diferentes rostros, más envejecidos, pero el mismo enemigo estaba paseándose por los pasillos de Miraflores aquel 12 de abril, celebrando, dándose abrazos. El Comandante Chávez comentó que “se abrieron los cementerios de la IV República y llegaron aquí los cadáveres insepultos, tomaron esto creyendo que ya el mandado estaba hecho”.

Pasaron por la escuela del fascismo en aquella ocasión y siguieron empleando esas prácticas. Muchos de los factores opositores que estuvieron involucrados y apoyaron o dieron el visto bueno a la brevísima dictadura de Pedro Carmona Estanga siguen llamando al golpe, a la insurrección, a la insubordinación militar contra el gobierno y el Estado. La conspiración continúa para desestabilizar el país, para cometer magnicidio contra el presidente Nicolás Maduro. Siguen tratando de sabotear el sistema eléctrico, la industria petrolera, la economía nacional.

13 DE ABRIL: ALTERNATIVA AL FASCISMO

Ante los planes del fascismo golpista, la responsabilidad que tenemos las y los venezolanos es continuar fortaleciendo lo fértil del proyecto bolivariano, enfrentando y derrotando dichas facciones o la que surja en cualquier campo de batalla.

El 13 de abril, una operación militar con amplio apoyo popular restauró el poder presidencial a Chávez y con ello se inauguró una nueva etapa del proceso revolucionario.

Fue después de ese día cuando comenzamos a hablar de antiimperialismo y, luego, de socialismo. El golpe y su contragolpe contribuyeron poderosamente a perfilar mucho más el rumbo de la Revolución Bolivariana y a profundizarla. El llamado desde entonces ha sido el de seguir cincelando mejor ese rumbo, como también lo advierte constantemente el presidente Maduro.

Las jornadas del 11 al 13 de abril pudiéramos compararlas con la resistencia exitosa a la invasión estadounidense de Playa Girón contra la revolución cubana. Una analogía histórica que muy posiblemente quepa mencionar en cuanto al giro que dieron ambos procesos, cubano y venezolano, tras la intervención directa de Estados Unidos.

“GRACIAS, MEDIOS DE COMUNICACIÓN”

Pasemos a analizar lo que de allí derivó en cuanto a política e historia, geopolítica y tecnologías para el “cambio de régimen”. Se trata de registrar los fenómenos, más allá de lo que ocurrió en sí, hacia otras dimensiones.

Siendo el primer golpe mediático en la historia, se debe resaltar el carácter político de los medios de comunicación privados en Venezuela, desde los tiempos cuando los principales canales de televisión y de prensa comenzaron a influir en la opinión pública a favor o en contra de ciertas corrientes y acciones de partidos políticos, movimientos sociales y programas administrativos que tendrían gran influencia en la dinámica nacional.

Marcel Granier, presidente de RCTV, tuvo un papel esencial durante el golpe de 2002, con su televisora ejerció un bloqueo informativo de los sucesos en Caracas que concluyeron en el secuestro del presidente Chávez, bajo una política de “cero chavismo” en las pantallas durante el 11 de abril, introduciendo en su lugar una narrativa que dio paso no a la información sino a la construcción sentimental de un consenso a favor del cambio de régimen que ocurría en tiempo real.

Recordemos la expresión en el programa televisivo de Napoleón Bravo el 12 de abril de 2002: “Gracias, medios de comunicación”.

Podemos observar que lo mismo está ocurriendo con Rusia a lo largo de la geografía occidental con los cierres de canales y restricción y censura de portales web de RT y Sputnik a través de los conglomerados mediáticos y de la Big Tech, los cuales cercenan de raíz la emisión de información y análisis divergentes a la cobertura estadounidense y europea, no solo de la Operación Militar Especial rusa en Ucrania, sino de todo suceso a lo largo y ancho del mundo.

Este factor produce, al mismo tiempo, una modificación en la recepción hacia todo lo ruso, traducida en una actitud de hostilidad y de “cancelación cultural” que se derivan, en su proceder, en abril de 2002 —y en adelante—, cuando se vieron motivados hacia todo lo chavista desde los medios y voceros políticos del extremismo opositor, abiertamente protegidos por el paraguas estadounidense. En esta arista hay una continuidad de los procedimientos, con motivaciones políticas y culturales de disparadores hacia lo mediático.

Que el trabajo de RCTV y El Nacional, entre otros medios, haya producido consecuencias políticas no es una casualidad; tampoco lo es que derivara en una agenda fascista de persecución y “cancelación” del chavismo los días 11 y 12 de abril. El golpe mediático retroalimentó el golpe político.

En ese sentido, también hubo una prolongación de la labor política-mediática de Granier, desde la década de 1970 hasta 2006, año cuando termina la concesión oficial de RCTV para su transmisión en el espectro comunicacional venezolano.

EN LA FRANJA INTERNACIONAL DEL GOLPE Y EL CAOS

Por otro lado, desde el punto de vista internacional, Estados Unidos estaba llevando a cabo acciones en diferentes escenarios geopolíticos que tuvieron consecuencias en distintas dinámicas nacionales en 2002.

En 2001 ocurrió la invasión de Afganistán, y a principios de 2003 la Casa Blanca —entonces gobernada por George W. Bush— se preparaba para la invasión a Irak.

En 2002, luego del golpe y contragolpe en Venezuela, el Departamento de Estado norteamericano designó a Corea del Norte, Cuba, Irán, Irak, Libia, Sudán y Siria como “Estados promotores del terrorismo”. Desde entonces, la ofensiva económica, financiera y comercial contra todos esos países fue incrementándose con los años, y en algunos las operaciones militares estadounidenses los caotizaron, inclusive hasta llegar a cambios de régimen: Irak, Libia, Sudán. En Siria, donde aun existe una base estadounidense que ocupa parte del noroeste rico en yacimientos petroleros, no pudieron derrocar el gobierno de Bashar al-Assad; sin embargo es un espacio que persiste como fuente de logística y protección para terroristas del ISIS y Al-Qaeda.

Venezuela compartía un sitio en las aspiraciones occidentales de cambio de régimen en el mapa geopolítico. Si bien el control de las agendas nacionales ya no es una prerrogativa de Estados Unidos no solo en la República Bolivariana sino en varios de los países mencionados, en su momento, siendo nuestro país uno que en todo el siglo XX orbitó bajo la gravedad influyente de Washington, desde la capital estadounidense se creía que en virtud del formato del golpe de Estado y el establecimiento de un gobierno liderado por empresarios y políticos —que hoy disfrutan de su protección— podría obtener el mismo resultado que planificaban para Irak y, posteriormente, Libia.

Que las jornadas de abril de 2002 concluyeran en un rotundo fracaso no significaba que la Casa Blanca iba a dejar de insistir en acciones destituyentes. Luego vino el sabotaje petrolero, liderado por los mismos factores del golpe meses antes, entre ellos la Confederación de Trabajadores de Venezuela (CTV), Fedecámaras, cierta cúpula de PDVSA y la Coordinadora Democrática, hechos que produjeron pérdidas calculadas en unos 16 mil millones de dólares, de acuerdo con el Ministerio del Poder Popular de Petróleo.

Luego, en 2005, el Comandante Chávez denunció la Operación Balboa, llamado “Ejercicio Específico Planeamiento Operativo Balboa”, que formó parte del Segundo Curso de Estado Mayor Conjunto de las Fuerzas Armadas españolas en mayo de 2001, al cual asistieron oficiales invitados de varios países. Consistió en un ejercicio marcial del ejército de España, miembro de la OTAN, realizado entre el 3 y el 19 de mayo del mencionado año. Es probable que la Operación Puma, un ensayo castrense argentino que se dio entre abril y junio de 2019, cuya misión fue la “invasión humanitaria” de Venezuela bajo el formato de coalición multinacional, sea una continuación estratégica de Balboa.

En la década del 2000 la Casa Blanca produjo una serie de intervenciones militares, abiertas y encubiertas, algunas exitosas y otras que culminaron en fracaso, para modificar el cuadro internacional a su favor. En este marco de operaciones puede leerse el golpe de abril, teniendo en cuenta que los sujetos que lo protagonizaron tienen estrechas conexiones con el establishment estadounidense (léase Leopoldo López, Julio Borges, Iván Simonovis, Pedro Carmona Estanga, María Corina Machado).

No se debe olvidar, como incluso lo reportó El País de España en su momento, el papel del Pentágono en los sucesos golpistas: “El teniente coronel estadounidense James Rodgers, instalado en el quinto piso de la Comandancia del Ejército, habría asesorado a los generales que desobedecieron a Chávez y permanecido con ellos hasta su derrota. El portavoz de la embajada norteamericana, John Law, negó una complicidad que no parece descabellada porque el embajador de Estados Unidos, Charles Shapiro, acompañado por el de España, Manuel Viturro, se entrevistó con Carmona después de que este hubiera disuelto el Congreso y se dotara de la facultad de legislar por decreto hasta la convocatoria de elecciones”.

Abril de 2002 en Venezuela estaba interconectado con diferentes aristas geopolíticas, en medio de varios movimientos militares de Estados Unidos y la OTAN en la región (Haití en 2004), en el Sudoeste Asiático y en África. Una tachuela más en el mapa de operaciones occidentales.

Para terminar, si trazamos una línea histórica de las acciones y motivaciones destituyentes por parte del antichavismo en Venezuela, podremos notar la continuidad existente entre los factores y actores que operaron en abril de 2002 y el resto de los intentos golpistas a lo largo de las últimas dos décadas.

Ya hemos mencionado a los políticos Leopoldo López, Julio Borges y María Corina Machado, pero tampoco se debe desestimar el papel de Henrique Capriles, firmante del Decreto Carmona y protagonista del asedio a la embajada de Cuba en Caracas, un delito tipificado en los códigos de Derecho Internacional.

El Estado español, asimismo, al igual que Estados Unidos, tiene una cuota de responsabilidad en muchos escenarios destituyentes, incluida la protección de Leopoldo López tras su fuga.

ABRIL, HOY

Por su parte, el sector empresarial venezolano tuvo una función importante durante los años más intensos de guerra económica interna, sobre todo en la desorbitada alza de precios que, en parte, provocó una inflación con pocos precedentes en la historia republicana. La combinación de este escenario con el bloqueo y embargo de la economía nacional por parte de Estados Unidos fue un caldo de cultivo ideal para diversos planes golpistas en la última década que el gobierno del presidente Nicolás Maduro tuvo que enfrentar, con éxito y dando actuales réditos políticos.

La mediática antichavista sigue desbordada en su capacidad de emitir ráfagas de bulos, noticias falsas y canales para la manufactura de consensos entre su audiencia. Entre uno y otro intento destituyente, su papel sigue teniendo un sentido nodal en la guerra informativa y en el teatro de operaciones de las manipulaciones psicológicas, sobre todo el sector que bebe de la fuente Usaid, NED y demás ONG asociadas.

Buen grado de que a Juan Guaidó se le haya “reconocido” como “presidente interino” recae sobre la narrativa mediática que se hace eco del mandato estadounidense en el espectro nacional e internacional, un vivo ejemplo del sesgo informativo que se vivió en abril de 2002. A su vez, sirve como correa de transmisión para el mensaje de odio político y cultural de todo lo que hace, piensa y representa el chavismo desde aquellos días. Nada ha tenido mayor continuidad que la denostación avalada por los tribunales mediáticos y la Big Tech a favor del antichavismo.

En respuesta, el Estado venezolano ha generado una fibra que compromete a la Fuerza Armada Nacional Bolivariana (FANB) con los procederes y expectativas de la población politizada y organizada en el chavismo, esa hechura originalmente chavista denominada unión cívico-militar, que ha tenido oportunidades para demostrar que puede replicar los contragolpes de los abriles que se desencadenen.

Podemos hablar de la Batalla de los Puentes en febrero de 2019 y el desmontaje de la Operación Gedeón en 2020 como un botón clarísimo, pero asimismo mencionar la experiencia de los CLAP —muy especialmente en otras regiones del país fuera de Caracas—, teniendo en cuenta que el área económica y social es una de las aristas más importantes en la estrategia de golpe continuado contra la República Bolivariana, pues existe la expectativa opositora de que la ciudadanía tome la iniciativa de derrocar el Gobierno Bolivariano —como en 2014 y 2017—.

Probado a fuego durante más de 20 años, la mejor arma que tiene Venezuela para contrarrestar las tentativas de segarle el derecho a existir como nación independiente y soberana sigue siendo el Gobierno Bolivariano y la FANB, en conjunción con el pueblo movilizado como actores integradores.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.