Cuba nella geopolitica imperiale

Indipendentemente da chi diventerà presidente USA nelle elezioni di novembre, una cosa rimane chiara: la soluzione del conflitto Cuba-USA sarà possibile solo quando l’impero riconosca che la nostra Isola è una nazione libera, sovrana ed indipendente.

Jorge Casals Llano  www.granma.cu

Sebbene la geopolitica, come disciplina, sia nata solo tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX in Europa, da “le crociate” prima e con “le scoperte” e la conquista poi, il capitalismo ed i regni europei si espansero, impossessandosi di sempre più territori che strappavano, col sangue e col fuoco, in nome di Dio, ai popoli che li abitavano.

Seguendo lo stesso corso, ma questa volta per motivi puramente “religiosi”, arrivarono, sul Mayflower, i pellegrini in quella che sarebbe diventata la Virginia, nell’Anno Domini 1620, come attesta la storia della nazione che così nasceva. Dieci anni dopo, un missionario avrebbe affermato che “per uno speciale disegno del cielo”, “se gli indigeni avessero agito ingiustamente”, gli arrivati ​​avrebbero avuto “il diritto a scatenare legalmente una guerra contro di loro e sottometterli”.

Poi i grandi proprietari, schiavisti e trafficanti, si diedero una Costituzione che avrebbe creato una repubblica, un governo ed istituzioni capaci di servire chi deteneva la ricchezza; che crebbe rubando e massacrando le popolazioni autoctone e che schiavizzò sotto le spoglie di un modello di democrazia che aveva adottato un nome che tradiva, esplicitamente, il suo destino: Stati Uniti d’America. Nel 1845, il “mandato divino” -ricevuto già dal Mayflower- avrebbe incluso l’idea del Destino Manifesto per il paese nato nel 1787, che non includeva tra i suoi cittadini né gli indiani, né gli schiavi, né i poveri né le donne, e si arrogava il diritto, e perfino l’obbligo, di espandersi per portare libertà e progresso all’intero continente, come avrebbe affermato, allora, un editorialista di una rivista di New York, per essere convertito in simbolo e ripetuto generazione dopo generazione, fino ai nostri giorni.

E a sud del continente, il Mar dei Caraibi, il cui controllo assicurava la sicurezza e la possibilità di collegrsi con il mondo, ed in esso, il suo mare nostrum, Cuba, situata all’ingresso del Golfo. E sebbene nemmeno fossero stati formulati i concetti di geostrategia e geoeconomia, già John Quincy Adams li comprendeva, metaforicamente scriveva della “frutta matura” e, senza metafora, assicurava che: “Non esiste territorio straniero che possa paragonarsi per gli USA come l’isola di Cuba … (che) quasi in vista delle nostre coste, è divenuta di trascendentale importanza per gli interessi politici e commerciali della nostra unione.

Quando nel 1823 la Dottrina Monroe (America per gli americani) fu annunciata dall’ormai quinto presidente della nazione, ed in essa l’intenzione USA di non tollerare l’intervento europeo nel continente, s’ instaurava, a nord delle Americhe, una repubblica imperiale con la sua conseguente presidenza imperiale; pochi anni dopo, anche la dittatura dei due partiti che si sarebbero alternati al potere.

Alla fine del XIX secolo, gli USA intervennero nella guerra ispano-cubana e la trasformarono in quella che Lenin avrebbe chiamato “la prima guerra imperialista”. L’intervento nella guerra, opportunamente ribattezzata ispano-americana, giustificata dall’inganno e dalla manipolazione dell’esplosione della corazzata nordamericana Maine, avrebbe aperto le porte all’espansione imperiale oltre il continente.

Quella contesa, il politologo Zbigniew Brzezinski l’ha definita come: «… la prima guerra di conquista USA al di fuori del proprio territorio … Le rivendicazioni USA di uno status speciale come unico guardiano della sicurezza del continente americano -precedentemente proclamate dalla Dottrina Monroe e più tardi giustificate dal preteso “destino manifesto” USA – si fecero più decise con la costruzione del Canale di Panama … “. Solo fa notare Brzezinski che la costruzione del canale è stata resa possibile dall’indipendenza di Panama dalla Colombia, molto “conveniente” per gli USA.

Terminata la guerra -possibile solo grazie alla decisiva partecipazione dei mambises- si crearono le condizioni affinché l’impero, mediante l’emendamento Platt, inaugurasse le misure che in seguito furono chiamate neocolonialismo, applicate con la politica del Gran Bastone, di Theodoro Roosevelt, e del suo emendamento alla dottrina Monroe, il cosiddetto “corollario” secondo il quale, se un paese latinoamericano-caraibico minacciava o metteva in pericolo i diritti o la proprietà di cittadini o società USA, il governo avrebbe dovuto intervenire per ristabilire i diritti dei suoi cittadini “americani”. Per raggiungere lo stesso obiettivo, con altri mezzi, un altro Roosevelt (Franklin Delano) avrebbe applicato la politica del Buon Vicinato, già a partire dalla seconda decade del secolo.

Di modo che, indipendentemente dal colore del partito che governava gli USA (sette repubblicani e tre democratici dal 1898 al 1958), i suoi rappresentanti ed ambasciatori, agendo come proconsoli, tennero Cuba soggetta all’impero: 25 anni con tre interventi militare (1898-1902, 1906-1907, 1917-1923); una Costituzione (1901), mutilata da un emendamento; alcuni brevi periodi di democrazia formale in cui la partecipazione del popolo si imponeva fino ad essere in grado di darsi una Costituzione progressista (1940), e feroci dittature come quelle di Gerardo Machado (1924-1932) e Fulgencio Batista (1952-1958); che, protette dagli USA, massacrarono il popolo quando fu necessario “restaurare l’ordine” imperiale, e per tutto il tempo con una corruzione generalizzata che permeava il paese e le sue istituzioni, senza però riuscire a sottomettere il popolo e la sua ribellione.

***

Rovesciata la dittatura nel 1959, la Cuba indipendente avrebbe avviato la Rivoluzione nel mare nostrum di un solido impero. Sull’America Latina ed i Caraibi, da sempre considerati il ​​suo cortile, gli USA avevano assicurato sin dalla guerra fredda, con la Dottrina Truman ed il maccartismo, meccanismi ed istituzioni che garantivano il controllo assoluto della regione: la Giunta Interamericana dei Difesa, il Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca (TIAR) e l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), la famigerata Scuole delle Americhe (dal 1946), specializzata nell’addestramento di militari latinoamericano in tecniche che includevano la tortura e, quindi, ovviamente, anche la CIA.

La Rivoluzione cubana trionfa in quello che l’impero considerava il suo emisfero, che si era realizzato alle sue spalle, senza consenso, in un paese le cui principali ricchezze erano di proprietà di compagnie USA, dalle elettriche e telefoniche agli hotel, alle saccarifere, banche e raffinerie di petrolio, dove sperimentavano tutto ciò che avrebbero poi applicato nel mondo, dove venivano a bere se nel loro paese c’era la “legge secca” (proibizionismo ndt), a giocare se il gioco era proibito, a far abortire le loro mogli, a passare i fine settimana lontano da occhi indiscreti in cliniche, hotel o bordelli di lusso; dove i marines sbarcavano per calpestare la dignità di cubane/i.

Dopo il 1959, la politica USA contro Cuba intensificò il suo corso ostile, al di là del colore del partito che governava nel “gigante delle sette leghe” e, durante il mandato dei 12 presidenti imperiali, dal 1 gennaio ad oggi, cinque democratici (Kennedy, Johnson, Carter, Clinton e Obama) e sette repubblicani (Eisenhower, Nixon, Ford, Reagan, Bush – padre e figlio – e Trump) sono stati pianificati ed eseguiti, dai loro governi o da i sicari sotto la sua protezione, 681 azioni terroristiche, compresa l’invasione di Playa Girón, l’esplosione dell’aereo di Cubana alle Barbados e persino l’attentato alla nostra ambasciata a Washington, con un costo di 3478 morti e 2099 disabili.

I repubblicani iniziarono, dal marzo 1959, le operazioni segrete e, in base alla vecchia Legge del Commercio con il nemico (risalente al 6 ottobre 1917), avviarono, con accanimento e perversità, il blocco economico, commerciale e finanziario che ogni anno tutti i presidenti USA riattivano. Allo stesso modo, hanno orchestrato campagne per rendere più tese le relazioni con Cuba, che includevano, dall’inventarsi una base di sottomarini nucleari sovietici nella baia di Cienfuegos, agli “attacchi sonori” ai suoi funzionari; hanno finanziato, incoraggiato o consentito che organizzazioni terroristiche agissero contro Cuba, come quella creata, nel 1981, dalla CIA, la Fondazione Nazionale Cubano-Americana; hanno firmato una Legge per la Democrazia a Cuba, la Legge Torricelli, proposta da due democratici, che evidenzia la politica dello Stato, e non partitica, delle relazioni, fin a che l’attuale presidente, Donald Trump, esacerbasse i conflitti e moltiplicasse l’uso del ricatto politico contro soci, amici o avversari.

I democratici, a loro volta, eseguirono i piani d’invasione di Cuba di Eisenhower, che terminarono con la sconfitta dei mercenari a Playa Girón; avviarono ufficialmente il blocco economico con l’ordine esecutivo n. 3447; alimentarono le tensioni che provocarono la cosiddetta Crisi di Ottobre, che mise il mondo sull’orlo di una guerra nucleare; fecero sì che l’OSA approvasse una risoluzione sulla rottura delle relazioni diplomatiche con Cuba; provocarono le ondate migratorie di Camarioca e Mariel, e firmarono persino quella che, su proposta dei repubblicani, fu chiamata Legge di libertà e solidarietà democratica con Cuba, nota come Helms-Burton, che ribadì la natura statale della politica riguardo la Maggiore delle Antille. E sebbene Obama, nel 2016, chiedesse di lasciare il passato e “guardare al futuro”, non è riuscito a nascondere, con il suo travestimento, l’obiettivo della sua amministrazione: ottenere il tanto agognato “cambio di regime”, che aveva già spiegato alla controrivoluzione cubana a Miami: «È ora che il denaro cubano-americano renda le proprie famiglie meno dipendenti dal regime di Castro».

Indipendentemente da chi diventerà presidente USA nelle elezioni di novembre, una cosa rimane chiara: la soluzione del conflitto Cuba-USA sarà possibile solo quando l’impero riconoscerà che la nostra Isola è una nazione libera, sovrana ed indipendente.


Cuba en la geopolítica imperial

Sin importar quién resulte presidente de Estados Unidos en las elecciones de noviembre, una cosa sigue siendo evidente: la solución del conflicto Cuba-EE.UU. solo será posible cuando el imperio reconozca que nuestra Isla es una nación libre, soberana e independiente

Autor: Jorge Casals Llano

Aunque la geopolítica como disciplina no nace sino a fines del siglo XIX y principios del XX en Europa, desde «las cruzadas» primero y con «los descubrimientos» y la conquista después, el capitalismo y los reinos europeos se expandieron apoderándose de cada vez más territorios que arrebataban, a sangre y fuego, en nombre de dios, a los pueblos que en ellos vivían.

Siguiendo el mismo curso, pero esta vez por motivos puramente «religiosos», llegaron en el Mayflower los peregrinos a lo que sería Virginia en el Anno Domini de 1620, como quedara certificado para la historia de la nación que así nacía. Diez años más tarde, un misionero afirmaría que «por un designio especial del cielo», «si los nativos obraran injustamente», los llegados tendrían el «derecho a librar legalmente una guerra con ellos y a someterlos».

Luego los grandes propietarios, esclavistas y traficantes, se dieron una Constitución que crearía una república, un gobierno e instituciones capaces de servir a los que detentaran la riqueza; que creció robando y masacrando a las poblaciones autóctonas y a las que esclavizó bajo el disfraz de un modelo de democracia que había adoptado un nombre que, explícitamente, delataba su destino: Estados Unidos de América. En 1845, el «mandato divino» –recibido ya desde el Mayflower– incluiría la idea del Destino Manifiesto para el país nacido en 1787, que no incluía entre sus ciudadanos ni a indios, ni a esclavos, ni a pobres, ni a mujeres, y se arrogaba el derecho, y hasta la obligación, de expandirse para llevar la libertad y el progreso a todo el continente, como afirmaría entonces un articulista de una revista de Nueva York, para ser convertido en símbolo y repetido generación tras generación, hasta nuestros días.

Y al sur del continente, el mar Caribe, cuyo control aseguraba la seguridad y la posibilidad de conectarse con el mundo, y en ese, su mare nostrum, Cuba, situada a la entrada del Golfo. Y aunque tampoco habían sido formulados los conceptos de geoestrategia y geoeconomía, ya John Quincy Adams los comprendía, metafóricamente escribía sobre «la fruta madura» y, sin metáfora, aseguraba que: «No hay territorio extranjero que pueda compararse para los EE.UU. como la isla de Cuba… (que) casi a la vista de nuestras costas, ha venido a ser de trascendental importancia para los intereses políticos y comerciales de nuestra unión».

Cuando en 1823 fuera anunciada por el ya quinto presidente de la nación la Doctrina Monroe (América para los americanos), y en ella la intención de EE.UU. de no tolerar la intervención europea en el continente, quedaba instaurada, al norte de las Américas, una república imperial con su consecuente presidencia imperial; pocos años más tarde, también la dictadura de los dos partidos que alternarían en el poder.

A fines del siglo XIX, EE.UU. intervino en la guerra hispano-cubana y la convirtieron en la que Lenin denominara «primera guerra imperialista». La intervención en la guerra, convenientemente renombrada hispano-americana, justificada mediante el engaño y la manipulación de la voladura del acorazado norteamericano Maine, abriría las puertas a la expansión imperial más allá del continente.

A esa contienda, el politólogo Zbigniew Brzezinski la caracterizó como: «… la primera guerra de conquista de los EE.UU. fuera de su territorio… Las reivindicaciones estadounidenses de un estatus especial como único guardián de la seguridad del continente americano –proclamadas anteriormente por la doctrina Monroe y justificadas más adelante con el pretendido «destino manifiesto» estadounidense– se hicieron más firmes a partir de la construcción del canal de Panamá…». Solo obvia Brzezinski que la construcción del canal fue posibilitada por la independencia de Panamá de Colombia, muy «conveniente» para EE.UU.

Terminada la guerra –solo posible por la decisiva participación de los mambises– quedaban creadas las condiciones para que el imperio, Enmienda Platt mediante, inaugurara las medidas que luego fueran denominadas neocolonialismo, aplicadas con la política del Gran Garrote, de Theodoro Roosevelt, y su enmienda a la doctrina Monroe, el denominado «corolario» según el cual, si un país latinoamericano-caribeño amenazaba o ponía en peligro los derechos o propiedades de ciudadanos o empresas de EE.UU., el gobierno debía intervenir para restablecer los derechos de sus nacionales «americanos». Para alcanzar el mismo objetivo, con otros medios, otro Roosevelt (Franklin Delano) aplicaría la política del Buen Vecino, ya a partir del segundo decenio del siglo.

De manera que, con total independencia del color del partido que gobernara EE.UU. (siete republicanos y tres demócratas de 1898 a 1958), sus representantes y embajadores, actuando como procónsules, mantuvieron a Cuba sometida al imperio: 25 años con tres intervenciones militares (1898-1902, 1906-1907, 1917-1923); una Constitución (1901), mutilada por una enmienda; unos cortos periodos de democracia formal en la que la participación del pueblo se imponía hasta ser capaz de darse una Constitución progresista (1940), y dictaduras feroces como las de Gerardo Machado (1924-1932) y Fulgencio Batista (1952-1958); quienes, amparados por EE.UU., masacraron al pueblo cuando fue necesario «restaurar el orden» imperial, y todo el tiempo con una corrupción generalizada que permeaba al país y a sus instituciones, aunque sin lograr someter al pueblo y su rebeldía.

***

Derrocada la dictadura en 1959, la Cuba independiente iniciaría la Revolución en el mare nostrum de un imperio sólido. Sobre América Latina y el Caribe, siempre considerados su patio trasero, EE.UU. había asegurado desde la guerra fría, con la Doctrina Truman y el macartismo, mecanismos e instituciones que garantizaban el absoluto control de la región: la Junta Interamericana de Defensa (JID), el Tratado Interamericano de Asistencia Recíproca (TIAR) y la Organización de Estados Americanos (OEA), la tristemente célebre Escuela de las Américas (desde 1946), especializada en el entrenamiento de militares latinoamericanos en técnicas que incluían la tortura y, por supuesto, también la CIA.

La Revolución cubana triunfa en lo que el imperio consideraba su hemisferio, que se había realizado a sus espaldas, sin consentimiento, en un país cuyas principales riquezas eran propiedades de empresas estadounidenses, desde las eléctricas y las telefónicas hasta las hoteleras, las azucareras, los bancos y las refinerías de petróleo, donde experimentaban todo lo que después aplicarían en el mundo, donde venían a beber si había «ley seca» en su país, a jugar si el juego era prohibido, a hacer abortar a sus mujeres, a pasar fines de semana lejos de miradas indiscretas en clínicas, hoteles o prostíbulos de lujo; donde desembarcaban los marines para hollar la dignidad de cubanas y cubanos.

Luego de 1959, la política de EE. UU. contra Cuba arreció su curso hostil, más allá del color del partido que ha gobernado en «el gigante de las siete leguas» y, durante el mandato de los 12 presidentes imperiales, desde el 1ro. de enero hasta hoy, cinco demócratas (Kennedy, Johnson, Carter, Clinton y Obama) y siete republicanos (Eisenhower, Nixon, Ford, Reagan, Bush –padre e hijo– y Trump) se planearon y ejecutaron, por sus gobiernos, o por los sicarios bajo su protección, 681 acciones terroristas, entre las que se incluyen la invasión por Playa Girón, la voladura del avión de Cubana en Barbados, y hasta el atentado a nuestra embajada en Washington, con un costo de 3 478 muertes y 2 099 discapacitados.

Los republicanos comenzaron, desde marzo de 1959, las operaciones encubiertas y, sobre la base de la vieja Ley de Comercio con el enemigo (data del 6 de octubre de 1917), iniciaron, con saña y perversidad, el bloqueo económico, comercial y financiero que cada año todos los presidentes estadounidenses reactivan. Igualmente, orquestaron campañas para tensar las relaciones con Cuba, que incluyeron, desde inventarse una base de submarinos nucleares soviéticos en la bahía de Cienfuegos, hasta «ataques sónicos» a sus funcionarios; financiaron, estimularon o permitieron que organizaciones terroristas actuaran contra Cuba, como la creada en 1981 por la CIA, la Fundación Nacional Cubano-Americana; firmaron un Acta por la democracia en Cuba, la Ley Torricelli, propuesta por dos demócratas, que evidencia la política de Estado, y no partidaria, de las relaciones, hasta que el actual mandatario, Donald Trump, agudizara los conflictos y multiplicara el uso de chantaje político contra socios, amigos o adversarios.

Los demócratas, en sus turnos, ejecutaron los planes de invasión a Cuba de Eisenhower, que terminaron con la derrota de los mercenarios en Playa Girón; dieron inicio oficial al bloqueo económico con la orden ejecutiva No. 3447; alimentaron las tensiones que provocaron la llamada Crisis de Octubre, que puso al mundo al borde de la guerra nuclear; hicieron que la OEA aprobara una resolución sobre la ruptura de las relaciones diplomáticas con Cuba; provocaron las olas migratorias de Camarioca y el Mariel, y hasta firmaron la que, a propuesta de los republicanos, fuera denominada Ley de libertad y solidaridad democrática con Cuba, conocida como Helms-Burton, que reiteró el carácter de Estado de la política respecto a la Mayor de las Antillas. Y aunque Obama en 2016 pediría dejar el pasado y «mirar al futuro», no pudo esconder, con el disfraz, el objetivo de su administración: lograr el añorado «cambio de régimen», que ya había explicado a la contrarrevolución cubana en Miami: «ya es hora de que el dinero cubano-americano haga a sus familias menos dependientes del régimen de Castro».

Sin importar quién resulte presidente de Estados Unidos en las elecciones de noviembre, una cosa sigue siendo evidente: la solución del conflicto Cuba-EE.UU. solo será posible cuando el imperio reconozca que nuestra Isla es una nación libre, soberana e independiente.

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