Parole di Miguel Mario Díaz-Canel Bermúdez

Parole pronunciate da Miguel Mario Díaz-Canel Bermúdez, Primo Segretario del Comitato Centralt del Partito Comunista di Cuba y Presidente della Repubblica, nella cerimonia per il 65º anniversario della Casa de las Américas, a L’Avana il 27 aprile del 2024, «Anno 66º della Rivoluzione».

Saluto i compagni e le compagne che abitano la Casa de las Américas;

Ammirati e amati decorati di oggi;

Distinti invitati;

Amiche e amici:

Saluto e felicito, in primo luogo, le decorazioni di stamattina, e ringrazio specialmente Jorge Fornet e la sua emozionata valutazione del significato dell’opera di 65 anni che celebriamo oggi, magnifico giusto e bel saggio sulla Casa de las Américas.

Mentre Jorge parlava mi sono venute in mente immagini d’un tempo indimenticabile, quando ero ancora adolescente, in visita a L’Avana, in vacanza a casa dei miei zii, e passavo sempre di qui con l’illusione di veder uscire Haydee Santamaría con uno qualsiasi dei grandi nomi latinoamericani della letteratura, la pittura o la musica. Io ero giunto a pensare che vivessero qui, per averli visti tante volte nei telegiornali ICAIC di Santiago Álvarez.

Secondo me uno dei meriti e degli apporti maggiori della Casa  è aver fatto tesoro di opere e memorie di straordinario valore per le nostre culture, includendo i dettagli della singolare origine di questa casa dell’anima americana, così come lo raccontò  Haydee a un gruppo di lavoratori cubani nel giugno del 1974.  Haydee diceva nelle sue parole rivelatrici: «…Io non capìvo bene perchè dovevo andare lì. Io non ero tra le personalità chiamate dell’arte e la letteratura, non avevo neanche cultura…Era un pezzo di casa che sembrava una chiesa e la gente che stava lì allora. Restai lì due  o tre mesi e le cambiammo il nome. Che cos’era quello di  Sociedad Colombista Panamericana?!, Cambiamole il nome.  E allora mi propongono diversi nomi, e tra quelli proposti ce n’erano alcuni molto pomposi e io restai con quello di Casa de las Américas.

«…Noi che stavamo vicini ai compagni che sapevano quello che poteva succedere, soprattutto Fidel, sapevamo che si avvicinavano rotture nelle relazioni con l’America Latina, che avremmo avuto grandi conflitti. Sapevamo che tutto questo sarebbe avvenuto. Allora io comincio a pensare che quando c’isoleranno dal nostro continente era importante non isolarsi della cultura latinoamericana.

«…Per me, nell’ordine personale, era doloroso pensare che ci separavano  dalla cultura del nostro continente. Pensavo, e continuo a pensare che la cultura del nostro continente è la stessa nel fondamentale. E allora decido di restare nella Casa de las Américas. Non potevo accettare che per l’isolamento che avremmo sofferto, un giorno il nostro popolo non avrebbe saputo chi erano i nostri antenati indigeni, chi erano gli scrittori e gli artisti del nostro Continente che avevano saputo esprimerlo in forma letteraria e artistica.  Mi preoccupava che un giorno in questo paese, i nostri lavoratori, isolati nel nostro continente, non sapessero chi era stato Ricardo Palma, del Perú, o il Martín Fierro argentino. Così anche se le culture si possono chiamare internazionaliste, non si può dubitare che ci sono radici e per l’isolamento potremmo non conoscere le radici di questa nostra meravigliosa cultura, tanto profonda e tanto bella  (…)Non possiamo isolarci dalla nostra cultura, perchè ci allontaniamo dalla nostra politica, da Bolívar, da San Martín, c’isoliamo da Martí.  E se noi ci isoliamo da loro ci allontaniamo dalla nostra cultura perchè anche loro sono parte essenziale della nostra cultura».

Ho cominciato con questa lunga citazione, perchè la storia che segue questi inizi è tanto tremenda che anche noi che abbiamo più anni, più relazioni e quindi più responsabilità nella difesa e l’impulso senza riposo dell’opera della Casa, dimentichiamo e anche ignoriamo molti di quei dettagli commoventi ed essenziali della sua nascita, tanto che una commemorazione come questa, d’anniversario, ci offre un buon pretesto per riportare Haydee, di ritorno alla Casa, come ha fatto prima  Fornet.

Come è stato che una donna che si è duramente definita come qualcuno senza cultura, è giunta ad essere rispettata, amata e onorata, anche dopo la morte, da alcuni dei più importanti e brillanto autori della nostra lingua, così come testimonia questa magnifica collezione di lettere raccolte nel libro Destino: Haydee Santamaría?Ci dobbiamo chiedere se forse la sensibilità, l’umanesimo, la passione e l’impegno rivoluzionario non sono radici sufficienti per alimentare, far nascere e fiorire la cultura.

Credo che la risposta stia in questa sua frase: “Non possiamo isolarci dalla nostra cultura, perché ci isoleremmo dalla nostra politica».

Il fatto è che questo criterio lo ha espresso una delle eroine della Rivoluzione cubana, non davanti a un auditorio d’artisti e intellettuali come un nucleo attorno alla Casa, ma precisamente davanti a un gruppo di lavoratori della CTC, un fatto naturale solo nel contesto di un’autentica Rivoluzione, così come accadde, e ha ricordato Jorge, quando in quegli spazi furono accolti come parte delle famiglie i contadini che giunsero a l’Avana il primo 26 di Luglio.

O quando l’11 settembre di quell’anno di fondazione venne alla Casa  un giovane  capo guerrigliero di soli 28 anni, vestito con la sua uniforme di campagna, il Comandante Raúl Castro Ruz, per intervenire in un ciclo di conferenze organizzato dalla Biblioteca José Antonio Echeverría.  Raúl giunse in questa stessa sala, che poi è stata chiamata Che Guevara, e da qui lanciò il suo trascendente “Messaggio della Rivoluzione Cubana”, affermando: «Siamo un piccolo paese con una grande responsabilità. Stiamo esplorando i cammini della storia della nuova indipendenza latinoamericana. La nostra Rivoluzione, come un faro di speranza, proietta la sua luce sui nostri paesi fratelli.

La Rivoluzione Cubana ha emozionato duecento milioni di latinoamericani, ha dato loro una nuova coscienza delle loro forze e del loro destino, ha elevato il sentimento di solidarietà e di cooperazione latinoamericana a favore degli alti ideali di liberazione, di progresso e di libertà; ha posto in movimento nuove forze, ha mostrato nuove esperienze e scoperto  nuove possibilità.

L’America Latina troverà i mezzi per unirsi e cooperare, per accelerare il suo sviluppo e garantire la sua libertà.

Cuba è all’avanguardia di questo impegno. Non lasceremo che la luce della Rivoluzione Cubana si spenga per i popoli fratelli d’America».

Alcuni paragrafi prima, in questo lungo e profondo Messaggio della Rivoluzione, Raúl disse che nella Casa si risaltava la radice martiana del trascendentale processo aperto per trionfo rivoluzionario nella sua proiezione latino-americanista: «Quando Martí parlava di Nuestra América, quando non limitava la sua patria alle nostre amate isole, ma si considerava come un figlio e servitore di tutta Nuestra América, aveva presente, sicuramente, questa similitudine dei mali che ci colpiscono, dei nemici che ci attaccano, dei pericoli che ci minacciano.

«Martí è nostro, come sono nostri il padre Hidalgo, e l’indio Juárez, Bolívar e San Martín, Artigas y O’Higgins, Betances e Eloy Alfaro. Soffriamo per i nostri mali e per i mali di tutti i popoli fratelli  dell’America Latina».

L’opera della Casa, dalla sua nascita è stata promuovere le arti e la letteratura della nostra regione, lavorare per l’integrazione  latinoamericana e caraibica nel campo della cultura e combattere le visioni coloniali che s’impongono sui popoli e sussistono e si rinnovano da più di cinque secoli.

Niente di più politico e nello stesso tempo culturale.

Questo è la Casa de las Américas. E questo è la Rivoluzione Cubana.

Il lavoro orientato verso l’emancipazione culturale e verso l’unità sognato da Bolívar e Martí, fu decisivo, in particolare, quando i Governi dell’America Latina, con eccezione del Messico, ruppero –sotto la pressione dell’imperialismo– con la Cuba rivoluzionaria.

Molto tempo dopo, nel 2019, in una caldo messaggio d’auguri a Roberto Fernández Retamar e al suo gruppo, il Generale d’Esercito Raúl Castro Ruz segnalava nuovamente il prezioso apporto dell’istituzione “alla creazione di vincoli e vie di scambio culturale tra i popoli dell’America Latina e i Caraibi e al fomento d’una visione martiana e anticoloniale tra creatori della nostra regione”.

Fu precisamente il caro e indimenticabile Roberto Fernández Retamar, che nelle sue parole per i trent’anni dell’istituzione, si riferì allo spirito di servizio con cui Haydee aveva marcato la Casa”, considerando    decisivo il fascino personale dell’eroina e “la sua  maniera indimenticabile di vincolare la politica radicale e la sensibilità umanista”, così come la sua convinzione che i lavoratori della Casa sono coloro che lavorano nei suoi locali, come quelli che lo fanno in altri luoghi e altri paesi e la sua necessità organica di giustizia e di bellezza.

Tra questi lavoratori della Casa che sostennero molti dei suoi progetti da altri paesi del continente ci sono creatori che furono assassinati in maniera brutale dalle dittature fasciste patrocinate dall’imperialismo per farli tacere  e distruggere la forza morale delle loro idee, come Rodolfo Walsh, Paco Urondo, Haroldo Conti o Víctor Jara.  Vari intellettuali perseguitati nei loro paesi furono accolti in questa Casa, dove iniziarono linee di lavoro che durano ancora, Manuel Galich e il vilmente assassinato Roque Dalton.  Una figura indimenticabile della Casa, esiliata a Cuba dopo il colpo  fascista, fu Miria Contreras (Payita), vicina collaboratrice del presidente Salvador Allende.Corrispose ugualmente alla Casa de las Américas proteggere le commoventi creazioni di Violeta Parra, tanto amata dai settori popolari quanto odiata dalla destra reazionaria.   Il Fondo Editoriale della Casa pubblicò autori essenziali del pensiero anticoloniale, come Paulo Freire, Darcy Ribeiro, Pablo González Casanova, Adolfo Sánchez Vázquez, George Lamming o lo stesso   Roberto, autore di saggi unici “Caliban”.

Non è nemmeno casuale che la Casa abbia inaugurato la sua collezione “Pensiero di Nuestra América” con due importanti tomi di testi del Comandante Ernesto Che Guevara.  La Casa de las Américas ci ha avvicinato a  Rubén Darío, Machado de Assis, César Vallejo, Pablo Neruda, Alí Primera, Eduardo Galeano, Santiago García, León Ferrari, Osvaldo Dragún, Ernesto Cardenal, Roberto Matta, Augusto Roa Bastos e altri scrittori e artisti di Nuestra América.Se l’uruguaiano Mario Benedetti creò il Centro delle Investigazioni Letterarias della Casa e il guatemalteco Manuel Galich la rivista Conjunto, di teatro latinoamericano, va ricordato il lavoro fondatore di intellettuali e artisti cubani, come Mariano Rodríguez, che fu presidente della Casa; Alejo Carpentier, che scrisse le basi del Premio letterario; José Lezama Lima, Pablo Armando Fernández, Harold Gramatges, Argeliers León, Umberto Peña, Eduardo Heras León e molti altri.

La Nueva Trova ebbe la sua prima sede nella Casa de las Américas con l’appoggio personale di Haydee. Qui, in questa sala, suonarono insieme per la prima volta Silvio, Pablo e Noel Nicola, ai quali si sommarono Vicente, Eduardo Ramos e Martín Rojas.  Quell’ espressione originalissima della nostra cultura si vincolò con molti altri  cantautori convocati dalla Casa, su istanza della cineasta statunitense e cubana Estela Bravo, per partecipare a quegli Incontri della Canzone di protesta.  Tra  le azioni più importanti della Casa è indimenticabile il Primo Incontro degli Intellettuali per la Sovranità dei Popoli di Nuestra America del 1981.

Nella Dichiarazione Finale dell’evento i partecipanti s’impegnarono ad affrontare la macchina imperiale di menzogne e manipolazioni, difendendo la verità, la giustizia e la bellezza e non in un modo astratto, ma con la decisione e la lucidità che esige e merita la personalità originale delle nostre nazioni.

Sembrano parole scritte per oggi, quando i fantasmi del fascismo corrente emergono come pericolose caricature di un passato troppo doloroso e vicino tuttavia, per sottovalutare la loro viltà e la vocazione di sottomissione ai mandati imperiali.

Oggi ho citato autori essenziali le cui vite e opere meritano uno spazio maggiore nella diffusione del pensiero anticoloniale.

Devo molto al riconoscimento di queste opere agli importanti appoggi della Casa e del suo attuale presidente, il nostro caro Abel Prieto e a parte del suo staff nella permanente e acuta critica alla profonda crisi culturale che vive il mondo, condotto da un capitalismo selvaggio e dalla terribile barbarie annunciata da Rosa Luxemburg.

Non è possibile dimenticare che mentre qui celebriamo quel grande avvenimento culturale che fu la nascita della nostra Casa de las Américas, Israele oltraggia la memoria del suo stesso popolo, massacrando i palestinesi che sopravvivono tra le macerie di Gaza.

E gli Stati Uniti, dopo i successivi veti, si astengono dal votare un cessate il fuoco nel già inutile Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma approvano somme milionarie per alimentare guerre, reprimono brutalmente gli studenti che protestano per il cinismo dei loro governanti e accusano altri della loro evidente mancanza di rispetto per i diritti umani.

Non c’è miglior omaggio per tutti gli intellettuali e gli artisti che hanno dedicato le loro opere alla lotta antifascista e anti imperialista promossa dalla Casa, che fare causa comune con coloro che combattono per gli stessi ideali di giustizia sociale, pace e autentica libertà.

Non voglio terminare senza dedicare un grato saluto alla Giuria del Premio Casa, che quest’anno celebra 65 anni assieme a noi.

Siamo molto orgogliosi di ospitare coloro che lavorano intensamente perché continui ad essere un Premio anticoloniale, martiano e calibanico, espressione di un vincolo indiscutibile alla cultura, come lo definì in modo brillante alcuni anni fa Abel Prieto.

Un abbraccio va a tutti i compagni di distinte generazioni che sono stati decorati oggi e che formano parte della ricca storia di questa istituzione che ha nutrito la cultura cubana, latinoamericana e caraibica.

Mi felicito e li abbraccio in questo giorno così pieno di significato.

Abbraccio tutti e ognuno dei lavoratori della Casa e chiedo loro di mantenere la mistica ereditata da Haydee, de Roberto e dai  fondatori, che è la mistica propria della Rivoluzione Cubana.

Che continuino ad affrontare la menzogna e le manipolazioni dell’impero, dei suoi mercenari e del nuovo fascismo con la verità, la giustizia e la bellezza.

Molte grazie


Palabras pronunciadas por Miguel Mario Díaz-Canel Bermúdez, Primer Secretario del Comité Central del Partido Comunista de Cuba y Presidente de la República, en el acto por el Aniversario 65 de Casa de las Américas, en La Habana, el 27 de abril de 2024, «Año 66 de la Revolución»

 

Saludos a las compañeras y compañeros que habitan Casa de las Américas;

Admirados y queridos condecorados hoy;

Distinguidos invitados;

Amigas y amigos:

Saludo y felicito, en primer lugar, a los condecorados esta mañana, y agradezco especialmente a Jorge Fornet su emocionada evaluación del significado de la obra de 65 años que celebramos hoy, magnífico, justo y bello ensayo sobre Casa de las Américas.

Mientras Jorge hablaba me han asaltado imágenes de un tiempo entrañable, cuando siendo adolescente aún y de visita en La Habana, de vacaciones –venía a casa de mis tíos–, pasaba siempre por aquí con la ilusión de ver salir a Haydée Santamaría junto a cualquiera de los grandes nombres latinoamericanos de la literatura, las artes plásticas o la música, que yo llegué a pensar que vivían aquí de tanto verlos en los noticieros ICAIC de Santiago Álvarez.

En mi opinión, uno de los mayores méritos y aportes de Casa es haber atesorado obras y memorias de extraordinario valor para nuestras culturas, incluyendo los detalles del singular origen de este hogar del alma americana, tal como lo contó Haydée a un grupo de trabajadores cubanos en junio de 1974.  (Y cito sus reveladoras palabras:)

Decía Haydée en sus reveladoras palabras:

«[…] Yo no entendía bien por qué tenía que ir allí. Yo no estaba entre las personalidades llamadas del arte y la literatura, ni siquiera tenía cultura…»

«…Era un pedazo de casa que parecía una iglesia, y la gente que estaba allí entonces. Ahí estuve dos o tres meses y le cambiamos el nombre. ¡¿Qué cosa era aquello de Sociedad Colombista Panamericana?!, pues vamos a cambiarle el nombre.  Entonces me proponen varios nombres y entre los propuestos había nombres muy pomposos, y me quedé con el de Casa de las Américas. 

«…Quienes estábamos cerca de los compañeros que en este país saben lo que puede suceder, sobre todo Fidel, estábamos al tanto de que se avecinaban rupturas de relaciones con la América Latina, de que tendríamos grandes conflictos, todo eso ya sabíamos que vendría. Entonces yo empiezo a pensar que cuando nos aíslen de nuestro continente, era importante no aislarse de la cultura latinoamericana.

«…Para mí, en el orden personal, era angustioso pensar que nos separaran de la cultura de nuestro continente. Pensaba, y sigo pensando, que la cultura de nuestro continente es en lo fundamental la misma. Y entonces decido quedarme en la Casa de las Américas.  No podía aceptar que por el aislamiento que íbamos a padecer, un día nuestro pueblo no supiera cuáles eran nuestros antepasados indígenas, quiénes eran los escritores y los artistas de nuestro Continente que habían sabido expresarlo en formas literarias y artísticas. Me preocupaba que un día, en este país, nuestros trabajadores, por haber quedado aislados de nuestro continente, no supieran quién había sido Ricardo Palma, del Perú, o el Martín Fierro argentino. Pues, aunque las culturas puedan llamarse internacionalistas, no cabe la menor duda de que hay raíces, y por aislamiento pudiéramos no conocer las raíces de nuestra maravillosa cultura, tan profundas y tan hermosas.  (…) No podemos aislarnos de nuestra cultura, porque nos aislamos de nuestra política, nos aislamos de Bolívar, nos aislamos de San Martín, nos aislamos de Martí.  Y si nos aislamos de ellos, nos aislamos de nuestra cultura, porque ellos son parte esencial de nuestra cultura también». 

He comenzado con esta larga cita, porque la historia que sigue a esos inicios es tan tremenda, que incluso quienes tenemos más años, más relación y por tanto más responsabilidad en defender e impulsar sin reposo la obra de Casa, olvidamos e incluso desconocemos muchos de aquellos detalles conmovedores y esenciales de su nacimiento, hasta que una conmemoración como esta, de aniversario, nos da un buen pretexto para traer a Haydée de vuelta a Casa, como ha hecho antes Fornet.

¿Cómo fue que una mujer que se definió duramente a sí misma como alguien sin cultura, llegó a ser respetada, querida y honrada, aun después de la muerte, por algunos de los más prominentes y deslumbrantes autores de nuestra lengua, tal como atestigua esa magnífica colección de cartas recogidas en el libro Destino: Haydée Santamaría?

Hay que preguntarse si a caso la sensibilidad, el humanismo, la pasión y el compromiso revolucionario no son raíces suficientes para alimentar y hacer nacer y florecer la cultura.

Creo que la respuesta está en esa frase suya: “No podemos aislarnos de nuestra cultura, porque nos aislamos de nuestra política”.  Y está en que ese criterio lo expresara una de las heroínas de la Revolución Cubana no ante un auditorio de artistas e intelectuales nucleados en torno a la Casa, sino precisamente ante un grupo de trabajadores, en la CTC, (un) su suceso natural solo en el contexto de una Revolución auténtica, tal y como ocurrió y lo recordaba Jorge, cuando en estos espacios fueron acogidos, como parte de la familia, los campesinos que vinieron al primer 26 de Julio en La Habana.

O cuando el 11 de septiembre de ese año fundacional vino a la Casa un joven jefe guerrillero de solo 28 años, vestido con su uniforme de campaña, el Comandante Raúl Castro Ruz, para intervenir en un ciclo de conferencias organizado por la Biblioteca José Antonio Echeverría.  Llegó Raúl a esta misma sala, que después se llamaría Che Guevara, y desde aquí lanzó su trascendente “Mensaje de la Revolución Cubana”, afirmando:

«Somos un país pequeño con una gran responsabilidad.  Estamos explorando los caminos de la historia de la nueva independencia latinoamericana.  Nuestra Revolución, como un faro de esperanza, proyecta su luz sobre nuestros países hermanos.  La Revolución Cubana -la Revolución de nuestro pequeño país-, ha sacudido a doscientos millones de latinoamericanos, les ha dado una nueva conciencia de sus fuerzas y de su destino, ha elevado el sentimiento de solidaridad y de cooperación latinoamericana en pro de los altos ideales de liberación, de progreso y de libertad, ha puesto en movimiento nuevas fuerzas, ha mostrado nuevas experiencias y descubierto nuevas posibilidades.

«América Latina encontrará los medios de juntarse y cooperar para acelerar su desarrollo y garantizar su libertad».

«Cuba está en la vanguardia de ese empeño.  No dejaremos que la luz de la Revolución Cubana se apague para los pueblos hermanos de nuestra América».

Párrafos antes, en ese largo y profundo “Mensaje de la Revolución”, que Raúl dio a conocer en la Casa, se resalta la raíz martiana del trascendental proceso abierto por el triunfo revolucionario en su proyección latinoamericanista:

«Cuando Martí hablaba de Nuestra América, cuando no limitaba su patria a nuestras queridas islas, sino que se consideraba como hijo y servidor de toda Nuestra América, tenía presente, seguramente, esta similitud de los males que nos azotan, de los enemigos que nos atacan, de los peligros que nos amenazan.

«Nuestro es Martí, como nuestros son el cura Hidalgo, y el indio Juárez, Bolívar y San Martín, Artigas y O’Higgins, Betances y Eloy Alfaro.

«Sufrimos por nuestros males y por los males de todos los pueblos hermanos de América Latina».

La obra de la Casa, desde su nacimiento, ha sido promover las artes y la literatura de nuestra región, trabajar para la integración latinoamericana y caribeña en el campo de la cultura y combatir las visiones coloniales que se imponen sobre los pueblos y subsisten y se renuevan desde hace más de cinco siglos.  Nada más político y a la vez cultural.  Eso es Casa de las Américas. Y eso es la Revolución Cubana.

La labor orientada hacia la emancipación cultural y hacia la unidad que soñaron Bolívar y Martí, fue decisiva, en particular, cuando los gobiernos de América Latina, con excepción de México, rompieron —bajo la presión del imperialismo— con la Cuba revolucionaria.   

Mucho después, en 2019, en cálido mensaje de felicitación a Roberto Fernández Retamar y a su equipo, el General de Ejército Raúl Castro Ruz destacaba, nuevamente, el valioso aporte de la institución a la creación de «lazos y vías de intercambio cultural (para) entre los pueblos de América Latina y el Caribe» y al fomento de «una visión martiana y anticolonial entre los creadores de nuestra región».

Fue precisamente el querido e inolvidable Roberto Fernández Retamar, quien en sus palabras por los treinta años de la institución, se refirió al «espíritu de servicio con que Haydée marcó a la Casa», considerando determinante el hechizo personal de la heroína y “su manera inolvidable de vincular la política radical y la sensibilidad humanista», así como «su convicción de que tan trabajadores de la Casa son los que laboran en sus locales como los que lo hacen en otros lugares y países, su necesidad orgánica de justicia y de belleza».

Entre esos «trabajadores de la Casa» que sostuvieron muchos de sus proyectos desde otros países del continente, hay creadores que fueron asesinados de manera brutal por las dictaduras fascistas patrocinadas por el imperialismo para acallarlos y destruir la fuerza moral de sus ideas, como Rodolfo Walsh, Paco Urondo, Haroldo Conti o Víctor Jara.  

Varios intelectuales perseguidos en sus países fueron acogidos en esta Casa, donde iniciaron líneas de trabajo que aún perduran, como Manuel Galich y el también vilmente asesinado Roque Dalton.  Una figura entrañable de la Casa, exiliada en Cuba tras el golpe fascista, fue Miria Contreras (Payita), cercana colaboradora del presidente Salvador Allende.

Correspondió igualmente a la Casa de las Américas proteger las conmovedoras arpilleras de una creadora como Violeta Parra, tan amada por los sectores populares como odiada por la ultraderecha.    

El Fondo Editorial de la Casa publicó a autores esenciales del pensamiento anticolonial, como Paulo Freire, Darcy Ribeiro, Pablo González Casanova, Adolfo Sánchez Vázquez, George Lamming o el propio Roberto, autor de ensayos ineludibles, como «Caliban». Tampoco es casual que la Casa haya inaugurado su colección «Pensamiento de Nuestra América» con dos importantes tomos de textos del Comandante Ernesto Che Guevara.  

La Casa de las Américas nos acercó a Rubén Darío, Machado de Assis, César Vallejo, Pablo Neruda, Alí Primera, Eduardo Galeano, Santiago García, León Ferrari, Osvaldo Dragún, Ernesto Cardenal, Roberto Matta, Augusto Roa Bastos y a otros escritores y artistas de Nuestra América.

Si el uruguayo Mario Benedetti creó el Centro de Investigaciones Literarias de la Casa y el guatemalteco Manuel Galich la revista Conjunto, de teatro latinoamericano, hay que recordar la labor fundadora de intelectuales y artistas cubanos, como Mariano Rodríguez, que fue presidente de la Casa; Alejo Carpentier, que escribió las bases del Premio literario; José Lezama Lima, Pablo Armando Fernández, Harold Gramatges, Argeliers León, Umberto Peña, Eduardo Heras León y muchos otros.

La Nueva Trova tuvo en la Casa de las Américas su primer hogar, con el apoyo personal de Haydée. Aquí, en esta sala, tocaron juntos por primera vez Silvio, Pablo y Noel Nicola, a quienes se sumaron Vicente, Eduardo Ramos y Martín Rojas.  Aquella expresión originalísima de nuestra cultura se conectó con otros muchos cantautores convocados por la Casa, a instancias de la cineasta estadounidense y cubana Estela Bravo, para participar en aquellos Encuentros de la Canción Protesta.  

Inolvidable entre las acciones trascendentes de Casa, el Primer Encuentro de Intelectuales por la Soberanía de los Pueblos de Nuestra América de 1981. En la Declaración Final del evento los participantes se comprometieron a enfrentar la maquinaria imperial de mentiras y manipulaciones defendiendo «la verdad, la justicia y la belleza, y no de un modo abstracto, sino con la decisión y la lucidez con que lo exige y lo merece la personalidad original de nuestras naciones».  

Parecen palabras escritas para hoy, cuando los fantasmas del fascismo corriente emergen como peligrosas caricaturas de un pasado, demasiado doloroso y cercano todavía para desestimar su vileza y su vocación de sometimiento a los mandatos imperiales.

Hoy he citado autores esenciales cuyas vidas y obras merecen un mayor espacio en la difusión del pensamiento anticolonial.  Mucho debo en el reconocimiento de esas obras a los importantes apoyos de la Casa y de su actual presidente, nuestro querido Abel Prieto y parte de su equipo, en la permanente y aguda crítica a la profunda crisis cultural que vive el mundo, conducido por el capitalismo salvaje a la temible barbarie anunciada por Rosa Luxemburgo.

No es posible olvidar que mientras aquí celebramos aquel gran hecho cultural que fue el nacimiento de nuestra Casa de las Américas, Israel ultraja la memoria de su propio pueblo, masacrando a los palestinos que sobreviven entre los escombros de Gaza.  Y Estados Unidos, tras sucesivos vetos, se abstiene de votar un alto al fuego en el ya inútil Consejo de Seguridad de las Naciones Unidas, pero aprueba sumas mil millonarias para alimentar guerras, mientras reprime brutalmente a los estudiantes que protestan por el cinismo de sus gobernantes y acusa a otros de su ya inocultable irrespeto a los derechos humanos.

No hay mejor homenaje a todos los intelectuales y artistas que entregaron sus vidas junto con sus obras a la lucha antifascista y antimperialista promovida por la Casa, que hacer causa común con los que hoy batallan por los mismos ideales de justicia social, paz y auténtica libertad.

No quiero terminar sin dedicar un saludo agradecido al Jurado del Premio Casa, que este año celebran los 65 junto a nosotros.  Sentimos profundo orgullo por hospedar a quienes trabajan intensamente para que siga siendo este Premio «anticolonial, martiano, calibánico, expresión de apego innegociable a la cultura», como hace unos años lo definió brillantemente Abel Prieto.

Abrazo también a los compañeros de distintas generaciones que han sido condecorados hoy y que ya forman parte de la rica historia de esta institución, que ha nutrido la cultura cubana, latinoamericana y caribeña.

Los felicito y los abrazo en este día de tanta significación.  Abrazo a todos y cada uno de los trabajadores de la Casa y les pido que mantengan la mística que heredaron de Haydée, de Roberto y de los fundadores, que es la mística propia de la Revolución Cubana.

¡Sigan enfrentando la mentira y las manipulaciones del imperio y sus mercenarios, y del nuevo fascismo, con la verdad, la justicia y la belleza!

Muchas gracias 

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.