Inabilitazione, politica, elezioni

Augusto Marquez

Negli ultimi mesi, mentre lo scenario elettorale prendeva forma, i nostri occhi hanno dovuto assistere al più grande atto di faccia tosta mai registrato nella storia venezuelana. Un gruppo “politico”, che per anni ha promosso sanzioni, invasioni, colpi di stato, il funesto “interim” di Guaidó, tra altre risorse apertamente illegali contro la stabilità del Paese, ha criticato le inabilitazioni che impediva alla sua principale figura di presentarsi alle elezioni e poter assumere cariche pubbliche.

È stato il caso di María Corina Machado, che dopo aver vinto le primarie dell’opposizione ha ritenuto assicurata la sua candidatura presidenziale. Chi ha basato la sua carriera politica sulla promozione dello scontro e dell’odio contro il chavismo sin dai suoi inizi, si è distinta, soprattutto negli ultimi anni di tensione, invocando apertamente operazioni militari e aggressioni economiche e diplomatiche contro il Venezuela. Quindi l’inabilitazione elaborata dalla Contraloria General e successivamente confermata dal TSJ non è stata una sorpresa.

Tuttavia, è apparsa sorpresa, sinceramente sorpresa (e ovviamente infastidita) quando si è accorta che non avrebbe potuto candidarsi alle elezioni presidenziali previste per la metà di quest’anno, dopo la sentenza del TSJ. Quello che considero sia stato un atteggiamento sincero da parte sua nei confronti dell’informazione descrive diverse cose.

In primo luogo, la sua già nota nozione di superiorità, valore comune tra i ricchi. Erede della ricca élite di Caracas, Machado si autoconsidera al di sopra di qualsiasi ordine legale o politico.

In secondo luogo, la sua delirante cosmo visione liberale, secondo la quale gli Stati devono essere portati alla loro minima espressione per consentire l’esercizio estremo della libertà (dei ricchi), anche contro le fondamenta stesse dello Stato, per quanto ridotte queste siano.

Per entrambe le ragioni, promuovere la distruzione dello Stato venezuelano è in sintonia con i suoi principi ideologici e di classe. Per entrambi i motivi l’inabilitazione continua a sembrarle una sorpresa impossibile da digerire.

Ma la realtà finisce sempre per imporsi, non importa quanto si lotti contro di essa. Imitando la frase iconica di Henry Ramos Allup, “devi piegarti per non spezzarti”, sapendo che era impossibile annullare l’inabilitazione, ha deciso di alzare la mano come sostituzione di Corina Yoris, un’accademica del suo circolo che, secondo quanto si è visto in rete, ha sostenuto, all’epoca, la falsa presidenza ad interim di Guaidó e le operazioni di destabilizzazione contro il Venezuela, oltre a promuovere l’odio e la persecuzione contro il chavismo.

La signora di avanguardia, a cui le hanno pubblicizzato il suo candore, professionalità, curriculum accademico, tra le altre “bontà”, è un riflesso del classismo, dell’intolleranza e della pulsione alla violenza che governa la cosiddetta “società civile”. María Corina Machado è stata ancora una volta sorpresa (e ovviamente infastidita) dall’impossibilità di inoltrare la candidatura di Yoris, sulla quale continua a puntare fino alla fine?

Machado ha sicuramente pensato che fosse una manovra “geniale” mettere una signora-fantoccio con il suo stesso nome come candidata sostitutiva. La sua propensione a negare la realtà l’ha portata forse a pensare che, non avendo ricoperto cariche pubbliche, essendo una persona senza esperienza politica nei partiti, la sua iscrizione al CNE sarebbe diventata una realtà.

Ma ciò, difficilmente, potrebbe essere considerata una possibilità concreta. Sostenere sanzioni, governi paralleli, interventi militari, promuovere persecuzioni e odio politico, come ha fatto Corina Yoris e molti altri del settore estremista dell’opposizione, devono essere definitivamente esentati dall’attività politica in Venezuela.

Nessuna persona, sia essa politica o accademica, che militi attivamente per raggiungere questi obiettivi, deve partecipare ai processi elettorali, poiché ciò implicherebbe un’umiliazione della legalità esistente e una demolizione, autorizzata dallo stesso Stato contro la popolazione, della convivenza politica e sociale nazionale che le stesse leggi devono proteggere.

Non è legale, ma nemmeno politico, iscriversi come candidata se il tuo programma di azione e di governo consiste nel fatto che il tuo proprio paese venga invaso militarmente, lo fondino a bombe, gli distruggano l’economia e gli impongano un governo illegittimo dall’estero. Ciò non solo implica la violazione di qualsiasi quadro giuridico, bensì dello stesso significato fondamentale della politica: orientata al bene comune e alla preservazione della società.

Pertanto, le inabilitazioni e le restrizioni a questo settore, contrariamente a quanto pensano i suoi esponenti, sono un modo per mantenere la convivenza e la realizzazione di elezioni sane dove loro non vedono realizzate le loro aspirazioni.

Consentire a una persona che persegue questi obiettivi di candidarsi a una elezione per una carica pubblica equivarrebbe ad autorizzare un processo di autodistruzione. La biologia ha un nome per qualcosa di simile: necrosi. È il processo attraverso il quale si decompone il tessuto corporeo, la sua condizione è irreversibile ed è causato da una carenza di flusso sanguigno.

Se ciò fosse consentito, valga l’analogia, lo Stato venezuelano (entità di rappresentazione materiale e simbolica della nazione) si esporrebbe ad un processo di necrosi, dove la sua materialità (le leggi) e il suo corpo naturale (il popolo) si decomporrebbero finché non rimanga più nulla. La cosa peggiore della situazione è che sarebbe lo stesso Stato ad avviare questo processo di danno strutturale autoinflitto.

Lo Stato, mediante le inabilitazioni, è obbligato a proteggere il Paese, il suo popolo, da coloro che hanno attivamente militato per la sua distruzione, sofferenza e perdita della qualità di vita, sia attraverso una aristocratica frustrata, una signora accademica piena di titoli o di chiunque altra persona sia interessata al fatto che il Venezuela cessi di esistere così come lo conosciamo.


INHABILITACIÓN, POLÍTICA Y ELECCIONES

Augusto Márquez

En los últimos meses, a medida que se ha venido cobrando forma el escenario electoral, nuestros ojos han tenido que presenciar el acto mayor caradurismo del que se tenga registro en la historia venezolana. Un grupo “político”, que durante años promovió sanciones, invasiones, golpes de Estado, el funesto “interinato” de Guaidó, entre otros recursos abiertamente ilegales contra la estabilidad país, cuestionó las inhabilitaciones que le impedía a su principal figura presentarse a elecciones y optar a cargos públicos.

Este fue el caso de María Corina Machado, quien luego de haber ganado las primarias opositoras daba por asegurada su postulación como candidata presidencial. Quien ha basado su carrera política en promover la confrontación y el odio al chavismo desde sus inicios, se destacó especialmente en los últimos años de tensión pidiendo abiertamente operaciones militares y agresiones económicas y diplomáticas contra Venezuela. Así que la inhabilitación tramitada por la Contraloría General y luego confirmada por el TSJ no fue una sorpresa.

Sin embargo, lució sorprendida, genuinamente sorprendida (y por supuesto molesta) cuando se enteró que no podía presentarse a las elecciones presidenciales pautadas para mediados de este año, tras la sentencia del TSJ. Lo que considero fue una actitud sincera de su parte ante la información describe varias cosas.

Primero, su ya bien sabida noción de superioridad, valor común entre los ricos. Heredera de la acaudalada élite caraqueña, Machado se autopercibe por encima de todo orden legal o político.

Segundo, su delirante cosmovisión liberal, según la cual los Estados deben ser llevados a su mínima expresión para permitir el ejercicio extremo de la libertad (de los ricos), aun en contra de los propios fundamentos del Estado, por más reducido que este sea.

Por ambas razones, promover la destrucción del Estado venezolano está en sintonía con sus principios ideológicos y de clase. Por ambas razones, la inhabilitación le sigue pareciendo una sorpresa imposible de digerir.

Pero la realidad siempre termina por imponerse, por más que se luche contra ella. En un remedo de la icónica frase de Henry Ramos Allup, “hay que doblarse para no partirse”, a sabiendas de que era imposible revertir la inhabilitación, decidió levantarle la mano como sustituta a Corina Yoris, una académica de su círculo cercano que, según se ha visto en redes, apoyó en su momento el falso interinato de Guaidó y las operaciones de desestabilización contra Venezuela, además de promover el odio y la persecución contra el chavismo.

La señora de avanzada, a quien le publicitaron su candidez, profesionalismo, currículum académico, entre otras “bondades”, es un reflejo del clasismo, la intolerancia y la pulsión por la violencia que gobierna a la denominada “sociedad civil”. María Corina Machado se ha vuelto a sorprender (y a molestar, evidentemente) ante la imposibilidad de tramitar la candidatura de Yoris, por la cual sigue apostado ¿hasta el final?

Machado seguro pensó que era maniobra “brillante” poner a una señora-títere que se llama igual que ella como candidata sustituta. Su propensión a negar la realidad quizás la llevó a pensar que, al no haber ocupado cargos públicos, al ser alguien sin recorrido político en partidos, su inscripción ante el CNE se haría realidad.

Pero, difícilmente, esto podría plantearse como una posibilidad concreta. Apoyar sanciones, gobiernos paralelos, intervenciones militares, promover la persecución y el odio político, como lo ha hecho Corina Yoris y otros tantos más del sector opositor extremista, deben estar exentos, definitivamente, de la actividad política en Venezuela.

Ninguna persona, tenga carrera política o académica, que milite activamente para conseguir estos objetivos debe participar en procesos electorales, pues ello implicaría una humillación a la legalidad existente y una demolición, autorizada por el propio Estado contra la población, de la convivencia política y social nacional que las mismas leyes deben proteger.

No es legal, pero tampoco político, inscribirte como candidata si tu programa de acción y gobierno consiste en que a tu propio país lo invadan militarmente, lo fundan a bombas, le destrocen la economía y le impongan un gobierno ilegítimo desde el extranjero. Esto no sólo implica violar todo marco legal, sino el propio sentido básico de la política: orientada al bien común y a la preservación de la sociedad.

Por ende, las inhabilitaciones y las restricciones a este sector, contrario a lo que piensan sus figuras, son una vía para mantener la convivencia y la realización de elecciones sanas donde ellos no ven realizadas sus aspiraciones.

Que se permita que una persona que persigue estos objetivos se postule a una elección para un cargo público sería algo parecido a autorizar un proceso de autodestrucción. La biología tiene un nombre para algo parecido: necrosis. Es el proceso mediante el cual se de scompone el tejido corporal, su condición es irreversible y es ocasionado por una escasez de flujo sanguíneo.

Si esto se permitiera, valga la analogía, el Estado venezolano (ente de representación material y simbólico de la nación) se expondría a un proceso de necrosis, donde su materialidad (las leyes) y su cuerpo natural (la gente) se descompondrían hasta que no quede nada. Lo peor de la situación es que sería el propio Estado el que inicia esto proceso de daño estructural autoinflingido.

El Estado, mediante las inhabilitaciones, está en la obligación de proteger al país, a su gente, de quienes han militado activamente en pro de su destrucción, sufrimiento y pérdida de calidad de vida, sea a través de una mantuana frustrada, una señora académica llena de títulos o de cualquier persona interesada en que Venezuela deje de existir como la conocemos.

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