In-comunicazione politica?

Harold Cardenas Lema http://jovencuba.com

cuba comunicacionUltimamente sto facendo pace con il fatto che viviamo in una rivoluzione incompleta, non chiedere l’impossibile, ma trovare il modo di contribuire a che sia la migliore possibile. E confesso che mi preoccupa diventare conservatore o conformista, che raggiungere i trentina cominci a farsi sentire.

Per evitare questo, ho deciso di scrivere il più possibile circa le ossessioni che mi hanno perseguitato durante i cinque anni della mia presenza su internet. Oggi comincio con una di loro: la scarsa comunicazione politica che si fa a Cuba. E quando dico scarsa forse è già un eufemismo ottimista.

Il giorno in cui René González ha parlato alla TV cubana su nastri gialli e giustizia, ha creato un simbolo politico che ha mobilitato il paese, purtroppo, iniziative come questa sono l’eccezione e non la norma. Il paese che, pochi decenni fa, aveva il leader più carismatico del continente, dopo l’assenza di questi dalla sfera pubblica, vive momenti di poca (un altro eufemismo) comunicazione politica. Ma, è possibile che in un paese cosi istruito, la comunicazione governativa sia sporadica e unidirezionale? Per caso questo rafforza il progetto nazionale?

Il 2015 è stato l’anno in cui, Cuba e USA, hanno aperto le loro rispettive ambasciate. La nostra attività a Washington è stata un misto di solennità e festività, dove c’erano i nostri amici. L’apertura qui, il 14 agosto, è stata una lezione di come generare simboli che trasmettano empatia per scopi politici. Dalle automobili yankee dietro l’ambasciata, fino a John Kerry parlando in spagnolo e raccogliendo il suo bastone, senza dimenticare i vecchi marine e il poeta cubano americano. Non persero una sola opportunità per rafforzare la propria immagine.

Siamo in una posizione sfavorevole. Mentre le nostre figure politiche evitano di essere presenti nei social network (rinunciando a quell’arma che ha caratterizzato il resto dei paesi dell’America Latina in percorsi socialisti) Obama scatta selfy e partecipa ai programmi umoristici nel suo paese. Il suo discorso del 17 dicembre ha generato molta simpatia tra i cubani: qual è il piano per combattere ciò? Non è un pericolo che il riavvicinamento tra i paesi mostri il contrasto di comunicazione politica e finiamo per perdere la lotta per i nostri stessi schemi?

L’assenza di un’opposizione credibile o un periodo limitato di tempo per dimostrare la propria competenza in materia di gestione politica, ci ha permesso di arrivare qui, ma all’ interno provoca danni collaterali. Gli effetti sono visibili, dal presidente appellando per un giornalismo migliore, senza ottenere molti risultati per l’inerzia del sistema di comunicazione e le deviazioni nel rapporto Partito-Stampa, fino al vecchio discorso di rifuggire della critica per non dare “armi al nemico”. Nella battaglia per il cambiamento di mentalità, tutti abbiamo sottovalutato la capacità di questa mentalità obsoleta di auto-conservarsi.

In un laboratorio dei social network e dei media alternativi, al Palazzo delle Convenzioni nel 2011, quando i venezuelani presentarono il loro @chavezcandanga, un nostro funzionario disse che presto Cuba avrebbe avuto qualcosa di simile, ora siamo nel 2015. Nei nostri paesi fratelli latinoamericani dove la cultura politica è molto bassa, si fa abbastanza comunicazione in questo senso. Secondo un vecchio proverbio: “Non basta essere, bisogna apparire”. Siamo un paese con molte cose positive da mostrare, da tempo, e non lo facciamo o lo facciamo male.

Forse quest’ultimo avviene perché si vuole dare un’immagine tanto stereotipata, tanto incontaminata, così politicamente corretta che non risulta credibile. Se facciamo una rapida rassegna dei mass media a Cuba vedremo che, in questi, sono assenti la maggior parte dei temi che vengono discussi nell’agenda pubblica. Un altro fenomeno interessante è i limiti della critica politica nei media, addirittura all’interno degli stessi media ufficiali ci sono aree marcate per la critica. Nei giornali digitali della nostra stampa si pubblicano cose che non arrivano mai alla carta stampata, così come alcuni media specifici sono autorizzati ad esercitare una critica che è impossibile per un media provinciale, o alcuni giornalisti in TV possono fare programmi critici che altri non potrebbero fare.

Il problema della comunicazione politica è grave, ma le forze più rivoluzionarie, dentro il paese, sono proprio quelle che fanno di più per rafforzare e promuovere lo spazio pubblico di dibattito. Mentre un funzionario può credere che con eufemismi ed evitando la polemica, si sta difendendo la Rivoluzione (quando in realtà la si distrugge), leader naturali come René González hanno aperto un loro spazio nei social network e la blogosfera come mezzo di espressione. Inizia a colmare cosi le lacune di una comunicazione politica che è piuttosto povera.

Non possiamo aspettarci che qualcuno decida che questo è importante, bisogna essere propositivi e agire in questo senso. Fino a quando i nostri politici non capiscano che il linguaggio del corpo, le nuove tecnologie ed Internet, sono armi che diventano rivoluzionarie nelle nostre mani, sarà Obama e non una figura cubana che vince i cuori dei cubani. E non può essere cosi.

Bisogna insistere su coloro che ci rappresentano, che capiscano che il paese ha bisogno di tale comunicazione. Non tutti i leader hanno la stessa capacità per farlo e dobbiamo rispettare anche questo ma l’assenza di un messaggio empatico dei nostri funzionari sta già costando caro. Si notano progressi negli ultimi tempi, Raul è apparso in pubblico più spesso e ottiene vittorie diplomatiche che tutti abbiamo condiviso come nostre. Eppure, la comunicazione politica non è una scelta volontaria, nel contesto attuale di Cuba (e forse sempre) costituisce anche un dovere che viene con l’incarico. E’ una lezione per chi sia il suo successore in futuro.

¿In-comunicación política?

Por: Harold Cárdenas Lema

Últimamente estoy haciendo las paces con el hecho de que vivimos en una revolución incompleta, de no pedirle peras al olmo sino buscar una forma de contribuir a que sea lo mejor posible. Y confieso que me preocupa volverme conservador o conformista, que llegar a los treinta me comience a pasar factura. Para evitar esto he decidido escribir lo más posible sobre las obsesiones que me han perseguido durante los cinco años que llevo existiendo en Internet. Hoy comienzo con una de ellas: la escasa comunicación política que se hace en Cuba. Y cuando digo escasa quizás ya sea un eufemismo optimista.

El día que René González habló en la televisión cubana sobre cintas amarillas y justicia, creó un símbolo político que movilizó al país, lamentablemente, iniciativas como esa son la excepción y no la norma. El país que hace unas décadas tenía el líder más carismático del continente, después de la ausencia de este de la esfera pública, vive momentos de poca (otro eufemismo) comunicación política. Pero, ¿es viable que en un país tan instruido la comunicación gubernamental sea esporádica y unidireccional? ¿Acaso eso fortalece el proyecto nacional?

El 2015 fue el año en que Cuba y Estados Unidos abrieron sus respectivas embajadas. La actividad nuestra en Washington fue una mezcla de solemnidad y festejo donde estaban nuestros amigos. La apertura acá el 14 de agosto, fue una lección de cómo generar símbolos que transmitan empatía con fines políticos. Desde los autos yanquis detrás de la embajada, hasta John Kerry hablando en español y recogiendo su bastón, sin olvidar a los antiguos marines y el cubanoamericano poeta. No desperdiciaron una sola oportunidad para afianzar su imagen.

Estamos en desventaja. Mientras nuestras figuras políticas evitan tener presencia en redes sociales (renunciando a esa arma que ha caracterizado el resto de los países latinoamericanos en caminos socialistas), Obama se saca selfies y participa en programas humorísticos en su país. Su discurso el 17 de diciembre generó mucha simpatía entre los cubanos, ¿cuál es el plan para combatir esto? ¿No es un peligro que el acercamiento entre países muestre el contraste de comunicación política y terminamos perdiendo la pelea por nuestros propios esquemas?

La ausencia de una oposición creíble o un período limitado de tiempo para demostrar eficiencia en la gestión política, nos ha permitido llegar hasta aquí pero a lo interno provoca daños colaterales. Los efectos son visibles, desde el presidente abogando por un mejor periodismo sin lograr muchos resultados por la inercia del sistema de comunicación y las desviaciones en la relación Partido-Prensa, hasta el viejo discurso de rehuirle a la crítica para no dar “armas al enemigo”. En la batalla por el cambio de mentalidad, todos subestimamos la capacidad de esa mentalidad obsoleta por autopreservarse.

En un taller de redes sociales y medios alternativos en el Palacio de las Convenciones en 2011, cuando los venezolanos presentaron su @chavezcandanga un funcionario nuestro dijo que pronto en Cuba tendríamos algo similar, ya estamos en el 2015. En nuestros países hermanos de América Latina donde la cultura política es muy baja, se hace bastante comunicación en este sentido. Según un viejo proverbio: “no basta con ser, hay que parecer”. Somos un país con muchas cosas positivas que mostrar desde hace tiempo y no lo hacemos, o lo hacemos mal.

Quizás esto último ocurre porque se quiere dar una imagen tan estereotipada, tan impoluta, tan políticamente correcta que no resulta creíble. Si hacemos un repaso rápido a los medios masivos de Cuba veremos que en ellos están ausentes buena parte de los temas que están a debate en la agenda pública. Otro fenómeno interesante son los límites de la crítica política en los medios de comunicación, incluso dentro de los propios medios oficiales hay zonas marcadas para la crítica. En los periódicos digitales de nuestra prensa se publican cosas que nunca llegan a formato papel, así como algunos medios específicos están autorizados a practicar una crítica que es imposible para un medio provincial, o unos periodistas en la televisión pueden hacer programas críticos que otros no podrían.

El problema de la comunicación política es grave, pero las fuerzas más revolucionarias dentro del país son precisamente las que más hacen por fortalecerla e impulsar el espacio público de debate. Mientras un funcionario puede creer que con eufemismos y evitando la polémica se está defendiendo la Revolución (cuando en realidad se la destruye), líderes naturales como René González han abierto su espacio en las redes sociales y la blogosfera como mecanismo de expresión. Va llenando así los vacíos de una comunicación política que es bastante pobre.

No podemos esperar que alguien decida que esto es importante, hay que ser propositivos y actuar en este sentido. Hasta que nuestros políticos no entiendan que el lenguaje corporal, las nuevas tecnologías y el Internet son armas que se vuelven revolucionarias en nuestras manos, será Obama y no una figura cubana quien gane los corazones de los cubanos. Y no puede ser así.

Hay que urgir a quienes nos representan, que entiendan que el país necesita esa comunicación. No todos los dirigentes tienen la misma capacidad para hacerlo y debe respetarse también esto pero la ausencia de un mensaje empático por parte de nuestros funcionarios ya está costando caro. Se notan avances en los últimos tiempos, Raúl ha salido en público con más frecuencia y tiene victorias diplomáticas que todos hemos compartido como nuestras. Aun así, la comunicación política no es una opción voluntaria, en el contexto actual de Cuba (y quizás siempre) constituye también un deber que viene con el cargo. Es una lección para quien sea su sucesor en el futuro.

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