Pedro Antonio García http://www.granma.cu
Gli anni ’60 furono caratterizzati da importanti eventi storici nella nazione cubana, dallo scontro con la sovversione controrivoluzionaria e la guerra diplomatica che si sferrava dall’esterno
Cominciava il 1962. La stampa cubana informava di 50000 borse di studio offerte agli alfabetizzatori che avevano completato, con successo, la campagna che dichiarava il nostro paese territorio libero dall’analfabetismo. Nell’antico Centro Asturiano si inaugurava il Palazzo Nazionale dei Pionieri e nell’Università di L’Avana si annunciava l’entrata in vigore della Riforma Universitaria. Lo stadio del Cerro indossava i suoi abiti migliori per iniziare la Prima Serie Nazionale di baseball con una partita tra Orientales e Azucareros.
Novanta miglia più a nord, Robert Kennedy, fratello del presidente USA e influente figura nella sua amministrazione, confessava in una riunione che il rovesciamento della Rivoluzione cubana aveva la massima priorità nella sua amministrazione. “Tutto il resto è secondario, non deve risparmiarsi né tempo, né denaro, né sforzi né forze umane”.
In quei giorni, il presidente yankee già aveva ricevuto il progetto di sovversione contro Cuba, che più tardi sarebbe stato chiamato Operazione Mangusta. Ruolo di primo piano nella realizzazione di questo piano avrebbe la stazione CIA in Florida, che con il codice JM-Wave divenne centro rettore di tutte le attività di sovversione, terrorismo ed intelligence della tenebrosa agenzia contro la nazione caraibica.
Con a libro paga circa 500 ufficiali e più di 3000 contrattati, secondo le ricerche dello storico Jacinto Valdés Dapena, JM-Wave sviluppò, nei mesi successivi, 45 infiltrazioni armate nell’isola, 30 azioni paramilitari di rilevanza, per via aerea o marittima, contro obiettivi economici, 55 reti di spionaggio e sabotaggi in circa 600 obiettivi economici importanti. Sotto la sua egida operarono in tutte le province 181 bande con più di 1000 insorti, 500 dei quali nell’Escambray e 300 a Matanzas.
Alla sovversione controrivoluzionaria si sommava la guerra diplomatica. Il 22 gennaio s’iniziò una riunione di ministri degli esteri del continente nella località di Punta dell’Este, Uruguay. L’obiettivo: isolare Cuba escludendola dall’OSA (Organizzazione degli Stati Americani).
A L’Avana, nel frattempo, continuava il combattimento della Rivoluzione contro il terrorismo. Gli organi di sicurezza disarticolarono una rete terroristica, finanziata dalla CIA, che pianificava paralizzare il trasporto urbano nella capitale. A Las Villas i miliziani catturarono il capo controrivoluzionario Braulio Amador, assassino dell’alfabetizzatore Manuel Ascunce. Posto sotto processo, ricevette la condanna per fucilazione.
Con la complicità di governi latino-americani servi, gli USA riuscirono ad escludere Cuba dall’organismo regionale.
Ma già il popolo dell’isola avevano preparato la sua risposta. Il 4 febbraio 1962 quasi un milione di persone riempirono la Piazza della Rivoluzione. Gli edifici circostanti ornarono le facciate con grandi striscioni: nel Teatro Nazionale, due di loro proclamavano Cuba non fallirà e Vinceremo.
Nell’allora Ministero dell’Industria, in cui oggi si trova quello dell’Interno e vi è un’effige del Che, un grande cartello era Vivo il socialismo, insieme con i profili di Fidel e di Lenin. Più in là si vedeva un disegno allegorico di un miliziano, la bandiera cubana, un fucile e un aratro. Immagini di José Martí e Antonio Maceo condividevano il frontespizio del Ministero delle Forze Armate con un cartello che proclamava Cuba Territorio Libero d’America.
Dalla tribuna, si ascoltò la voce di Fidel. “Si riunisce per la seconda volta, con carattere di organo sovrano della volontà del popolo cubano, questa Assemblea Generale nel giorno di oggi; “[…] Andiamo, quindi, alla cosa più importante di questo pomeriggio, che è la Seconda Dichiarazione dell’Avana, il nostro messaggio ai popoli d’America e del mondo, la parola del nostro popolo in questo momento storico”.
Tra applausi sottolineò: “Il dovere di ogni rivoluzionario è fare la rivoluzione. Sappiamo che in America e in tutto il mondo la rivoluzione vincerà, ma non è dei rivoluzionari sedersi davanti alla porta della loro casa per veder passare il cadavere dell’imperialismo (…) Ora, sì, la storia dovrà contare sui poveri d’America, sugli sfruttati e vilipesi dell’America Latina, che hanno deciso di iniziare a scrivere loro stessi, per sempre, la loro storia.
Oltre continuò: “E questa onda di fremente rancore, di giustizia reclamata, di diritto calpestato che inizia a sollevarsi da dentro le terre dell’America Latina, questa onda ora non si fermerà più. Quest’onda crescerà ogni giorno che passa […] Perché questa grande umanità ha detto: Basta!, e si è messa in movimento. E la sua marcia di giganti ora non si fermerà fino a conquistare la vera indipendenza”.
In quel giorno, il popolo, costituito in Assemblea Generale approvò per acclamazione la Seconda Dichiarazione dell’Avana, che rendeva patente la decisione di una nazionalità di continuare resistendo e costruendo il socialismo, nonostante le difficoltà e le aggressioni dell’imperialismo.
La risposta del popolo cubano a una vile provocazione
Nella capitale di Cuba, 54 anni fa, più di un milione di cubani approvò con il voto libero e diretto in Piazza della Rivoluzione, la II Dichiarazione de L’Avana con la quale si costituì la chiamata allora Assemblea Generale Nazionale del Popolo di Cuba.
Quel trascendentale documento fu la risposta dell’Isola alla VIII Riunione di Consultazione dei Ministri degli esteri della OSA – Organizzazione degli Stati Americani – a Punta del Est, in Uruguay, nel gennaio del 1962.
La volgare risoluzione adottata significò un nuovo indurimento del criminale blocco degli Stati Uniti imposto all’Isola, e chiamava l’America Latina ad isolare totalmente il pueblo cubano perché aveva scelto il cammino della sovranità e la dignità.
La II Dichiarazione de L’Avana fu una forte risposta dei cubani, che chiamarono i popoli dell’America Latina a lottare per la loro unica, vera e irrinunciabile indipendenza.
Una respuesta de pueblo
La década del 60 estuvo marcada por importantes acontecimientos históricos en la nación cubana, por el enfrentamiento a la subversión contrarrevolucionaria y a la guerra diplomática que se asestaba desde el exterior
Pedro Antonio García
Comenzaba 1962. La prensa cubana informaba sobre las 50 000 becas ofrecidas a los alfabetizadores, quienes habían culminado exitosamente la campaña que declaraba a nuestro país territorio libre de analfabetismo. En el antiguo Centro Asturiano se inauguraba el Palacio Nacional de los Pioneros y en la Universidad de La Habana se anunciaba la puesta en vigor de la Reforma Universitaria. El estadio del Cerro vestía sus mejores galas para dar inicio a la Primera Serie Nacional de pelota con un juego entre Orientales y Azucareros.
Noventa millas más al norte, Robert Kennedy, hermano del presidente estadounidense y figura influyente en su administración, confesaba en una reunión que el derrocamiento de la Revolución cubana tenía máxima prioridad en su gobierno. “Todo lo demás es secundario, no debe escatimarse ni tiempo, ni dinero, ni esfuerzos, ni fuerzas humanas”.
Por aquellos días, el mandatario yanqui ya había recibido el proyecto de subversión contra Cuba, que luego se denominaría Operación Mangosta. Papel protagónico en la ejecución de ese plan tendría la estación CIA en la Florida, que bajo el código de JM-Wave devino centro rector de todas las actividades de subversión, terrorismo e inteligencia de la tenebrosa agencia contra la nación caribeña.
Con una nómina de unos 500 oficiales de caso y más de 3 000 contratados, según investigaciones del historiador Jacinto Valdés Dapena, JM-Wave desarrolló en los meses siguientes 45 infiltraciones armadas a la Isla, 30 acciones paramilitares de relevancia, por vía aérea o marítima, contra objetivos económicos, 55 redes de espionaje y sabotajes en unos 600 objetivos económicos importantes. Bajo su égida operaron en todas las provincias 181 bandas con más de 1 000 alzados, 500 de ellos en el Escambray y 300 en Matanzas.
A la subversión contrarrevolucionaria se sumaba la guerra diplomática. El 22 de enero se inició una reunión de cancilleres del continente en el balneario de Punta del Este, Uruguay. El objetivo: aislar a Cuba excluyéndola de la OEA (Organización de Estados Americanos).
En La Habana, entretanto, continuaba el combate de la Revolución contra el terrorismo. Los órganos de seguridad desarticularon una red terrorista, financiada por la CIA, que planeaba paralizar el transporte urbano en la capital. En Las Villas los milicianos aprehendieron al cabecilla contrarrevolucionario Braulio Amador, asesino del alfabetizador Manuel Ascunce. Sometido a juicio, recibió la pena por fusilamiento.
Con la complicidad de gobiernos latinoamericanos lacayos, Estados Unidos logró excluir a Cuba del organismo regional.
Pero ya el pueblo de la Isla tenía preparada su respuesta. El 4 de febrero de 1962 casi un millón de personas colmaron la Plaza de la Revolución. Los edificios aledaños engalanaron sus fachadas con grandes pancartas: en la del teatro Nacional, dos de ellas proclamaban Cuba no fallará y Venceremos.
En el entonces Ministerio de Industrias, donde hoy se ubica el del Interior y existe una efigie del Che, un gran letrero daba vivas al Socialismo, junto a perfiles de Fidel y Lenin. Más allá, se veía un dibujo alegórico de un miliciano, la bandera cubana, un fusil y un arado. Imágenes de José Martí y Antonio Maceo compartían el frontispicio del Ministerio de las Fuerzas Armadas con un cartel que proclamaba a Cuba Territorio Libre de América.
Desde la tribuna, se oyó la voz de Fidel. “Se reúne por segunda vez, con carácter de órgano soberano de la voluntad del pueblo cubano, esta Asamblea General en el día de hoy; “[…] Vamos, pues, a lo más importante de esta tarde, que es la Segunda Declaración de La Habana, nuestro mensaje a los pueblos de América y del mundo, la palabra de nuestro pueblo en este minuto histórico”.
Entre vítores subrayó: “El deber de todo revolucionario es hacer la revolución. Se sabe que en América y en el mundo la revolución vencerá, pero no es de revolucionarios sentarse en la puerta de su casa para ver pasar el cadáver del imperialismo (…) Ahora, sí, la historia tendrá que contar con los pobres de América, con los explotados y vilipendiados de América Latina, que han decidido empezar a escribir ellos mismos, para siempre, su historia.
Continuó más adelante: “Y esa ola de estremecido rencor, de justicias reclamada, de derecho pisoteado que se empieza a levantar por entre las tierras de Latinoamérica, esa ola ya no parará más. Esa ola irá creciendo cada día que pase […] Porque esta gran humanidad ha dicho: ¡Basta!, y ha echado a andar. Y su marcha de gigantes ya no se detendrá hasta conquistar la verdadera independencia”.
Y aquel día, el pueblo, constituido en Asamblea General, aprobó por aclamación la Segunda Declaración de La Habana, la cual patentizaba la decisión de una nacionalidad de seguir resistiendo y construyendo el Socialismo, a pesar de las dificultades y agresiones del imperialismo.