La “valvola di sicurezza” o il racconto dei fenici

A. Rodríguez Salvador https://lapupilainsomne.wordpress.com

trump ileanaIllustro questo articolo con un racconto popolare. Uno studente dice ad un altro: Guarda, puoi andare alla festa. Da fonte sicura so che il tuo esame di domani, sarà sui fenici. Basta solo studiare questo capitolo. Niente, il giovane gli crede, ma il giorno dopo ha una brutta sorpresa: la domanda riguardava i vandali. Ignaro del tema, riesce solo a scrivere questo: I vandali erano un popolo così feroce che devastavano tutto quanto incontravano al loro passaggio. Tra le città distrutte c’era Cartagine, un insediamento fenicio. Perché i fenici … e poi continuò trascrivendo tutto ciò che sui fenici aveva studiato il giorno prima.

Vago su Internet, e a leggere alcuni giornali e blog, così come i loro portavoce delle reti sociali, vedo che ripetono la stessa cosa: Obama ha privato Cuba di una tradizionale e necessaria “valvola di sicurezza”.

Con questa tesi pretendono mostrare che a Cuba non avvengono rivolte popolari perché coloro che potrebbero iniziarle, periodicamente, fuggono dal paese. Ora, senza il presunto allevio di pressione che significava la politica dei piedi secchi – piedi bagnati, affermano che presto la caldaia scoppierà. Naturalmente, questo è solo l’inizio della loro tesi perché, a continuazione, non smettono mai d’introdurre, intempestivamente, il copione appreso; come è accaduto allo studente nella storia dei fenici.

Già sappiamo in cosa consiste la sua trama: per esempio, in esso non si smette mai di narrare che il socialismo è un fallimento; dicono che qua la gente fugge perché stiamo quasi morendo di fame. Nulla importa che, in questi stessi giorni, l’Organizzazione Pan Americana della Salute ha pubblicato un rapporto che indica che Cuba è il paese dell’America Latina e dei Caraibi con una minore prevalenza di basso peso alla nascita (5.3%), e che la popolazione cubana presenta un 59% di sovrappeso, superata solo da pochi paesi nella regione.

Infine, le tecniche, ossessioni e mezze verità di questa storia si ripetono fino alla nausea. Come sempre, nello stesso racconto fanno sparire un semplice dettaglio: l’emigrazione cubana non ha carattere politico, ma economico.

Negli USA ci sono circa un milione e duecentomila cubani, nati sull’isola, e, nel 2016, ne vennero in visita a Cuba circa 400 mila. Guarda i perseguitati politici che, più volte, ritornano in vacanza al paese che, presumibilmente, li reprime! Una delle risorse più utilizzate dalla disinformazione è la semplificazione esagerata dei dati. La tecnica è quella di potenziarne alcuni e omettere altri, con l’obiettivo di promuovere le informazioni che confermano le proprie convinzioni od ipotesi.

Ad esempio, difficilmente lei si accorge, da loro, che, nonostante il privilegio unico che ha significato la politica dei piedi asciutti – piedi bagnati – insieme alla sua omologa Legge di Aggiustamento Cubano – il nostro Paese occupa solo l’ottavo posto per numero totale di emigranti verso gli USA. Al primo posto c’è il Messico con circa 12 milioni, seguito da El Salvador con tre. Poi dietro a Cuba, ma molto vicini, si trovano Guatemala e Repubblica Dominicana. Mi domandai quanti più emigranti avrebbero questi paesi, e altri, contando sul privilegio di una legge che consegnasse ai loro cittadini immediata residenza nel paese del nord. Due terzi dei boliviani, che prima del governo di Evo Morales esibivano più del 60% della povertà, probabilmente starebbero vivendo negli USA. Ed Haiti? Per caso esisterebbe come nazione?

In quanto al numero di emigrati cubani, degli ultimi tempi, sempre procurano quello che più può impressionare. La tecnica consiste nel raggruppare la cifra di vari anni, diciamo quella di un periodo di cinque o sei in modo che il totale cresca. Prendo a caso uno dei media che in questi giorni affronta la questione, e questo ci dice che, secondo il Department of Homeland Security USA, dal 2012 fino ad oggi, “118000 cubani sono giunti negli USA presentandosi in porti d’ingresso lungo il confine”. A prima vista il numero fa pensare. Tuttavia, si omettono due dettagli. In primo luogo, questo significa un ritmo di circa 19000 e rotti emigrati l’anno, cifra inferiore ai 20000 visti annuali che il governo USA si è impegnato a concedere. Ed in secondo luogo, questo è solo lo 0,17% della popolazione dell’isola.

Faccio ricorso al proverbio e dico: ciò che è bene per la tacchina è bene per il tacchino. Voglio dire, che se stravagantemente si afferma che questi 19 mila all’anno sono alcuni presunti guarimberos oppositori fuggiti grazie alla valvola, allora perché non affermare anche che gli 11 milioni e più cubani che rimangono sull’isola appoggiano la Rivoluzione. Non dovrebbero applicare un doppio standard? O sì? Infine, smettiamola con l’ipocrisia: una grande percentuale di coloro che giustificano la politica dei piedi asciutti – piedi bagnati, come la sua pari – ed altrettanto sinistra – il blocco, economico, commerciale e finanziario di Cuba, non è interessato alle vite di coloro che muoiono in mare o nella selva, né la prosperità materiale di noi che stiamo qui; solo brandire il macchiavellico e già noioso argomento che tutti sappiamo.

Continuiamo parlando chiaro: ora si sopprime tale politica per la semplice ragione che non era più moralmente sostenibile. Il suo indecoroso obiettivo, da molto tempo, è rimasto scoperto davanti all’opinione pubblica internazionale. Con lo spietato blocco economico e la politica dei piedi secchi – piedi bagnati si è preteso solo destabilizzare la società cubana, screditare il suo modello politico, drenare da Cuba il suo capitale umano e porre le basi per la creazione di movimenti controrivoluzionari incaricati di eseguire azioni terroristiche ed aggressive contro il popolo. Inoltre, lo stimolo all’emigrazione irregolare poneva in pericolo vite umane e anche incitava la commissione di reati quali la tratta di persone.

Basti un solo esempio per rivelare il carattere cinico e manipolatore di tale politica. Nel 2011 il Dipartimento di Stato USA presentò un rapporto dove Cuba era mostrata totalmente inadempiente del Protocollo delle Nazioni Unite per Prevenire, Reprimere e Punire la Tratta di persone. Questo dimostra che l’intenzione era sempre quella di presentare la vittima come colpevole. Dal momento del trionfo della Rivoluzione, gli USA hanno usato la questione migratoria come arma di destabilizzazione contro il governo cubano. Ricordiamo la chiamata Operazione Peter Pan, perversa manovra organizzato dalla CIA nel 1960, per la quale circa 14 mila bambini furono presi da Cuba e portati negli USA, senza che molti di loro mai tornassero a vedere i loro genitori. In modo perfido fu redatta una falsa legge sulla Patria Potestà, ampiamente divulgata da diversi mezzi di propaganda, per dimostrare che il governo cubano cercava l’eventuale espropriazione dei bimbi, ai loro genitori, al fine di indottrinarli nell’URSS.

Prova che i cosiddetti balseros (profughi su zattere ndt) sono stati solo un pezzo in più nella scacchiera politica USA, è possibile ottenerla in un documento ufficiale, declassificato nel 1997, che raccoglie dettagli della cosiddetta Operazione Northwoods. Questo piano, messo a punto nel 1962 dal Dipartimento dal Ministero della Difesa USA, intendeva realizzare diverse iniziative terroristiche che avrebbero permesso incolpare il governo rivoluzionario cubano al fine di giustificare l’invasione dell’isola. Una di queste azioni consisteva nell’affondamento, “reale o simulato”, di emigranti cubani nella loro rotta verso la Florida. Così lo slogan di moda, la “valvola di sicurezza”, è solo ed esclusivamente una valvola di sicurezza davanti alla frustrazione di 58 anni senza vedere soddisfatti i loro sogni di sconfiggere la Rivoluzione Cubana.

Nulla di quanto intentato contro Cuba gli diede il frutto anelato. Hanno provato di tutto: blocco economico, invasioni, minaccia di una guerra nucleare, tentativo di isolare la Rivoluzione sul piano internazionale, guerra batteriologica e psicologica, terrorismo di stato, centinaia di piani per assassinare Fidel … e niente. Pertanto ora è comprensibile il risentimento, e che solo gli rimanga esprimere, più volte, il copione appreso -benché non faccia al caso- come nel racconto dei fenici.


La “válvula de escape” o el cuento de los fenicios

Por Antonio Rodríguez Salvador

Ilustro este artículo con un cuento popular. Un estudiante le dice a otro: Mira, puedes ir a la fiesta. De buena tinta sé que tu examen de mañana será sobre los fenicios. Solo tienes que estudiar ese capítulo. Total, que el joven le hace caso, pero al día siguiente recibe una desagradable sorpresa: la pregunta era sobre los vándalos. Desconocedor del tema, solo atina a escribir lo siguiente: Los vándalos eran un pueblo tan feroz que asolaban cuanto hallaran a su paso. Entre las ciudades arrasadas estuvo Cartago, un asentamiento fenicio. Porque los fenicios… Y a continuación transcribió todo lo que sobre los fenicios el día anterior había estudiado.

Deambulo por internet, y al leer ciertos diarios y blogs, así como a sus voceros de las redes sociales, veo que una y otra vez repiten lo mismo: Obama ha privado a Cuba de una tradicional y necesaria “válvula de escape”.

Con esa tesis pretenden mostrar que en Cuba no ocurren revueltas populares porque quienes podrían iniciarlas periódicamente escapan del país. Ahora, sin el supuesto alivio de presión que significaba la política de pies secos-pies mojados, afirman que pronto la caldera estallará. Desde luego, este es solo el arranque de su tesis, porque a continuación nunca dejan de introducir intempestivamente el guión aprendido, según sucedió al estudiante en el cuento de los fenicios.

Ya sabemos en qué consiste su trama: por ejemplo, en él nunca se deja de narrar que el socialismo es un fracaso; dicen que acá la gente huye porque casi nos estamos muriendo de hambre. Para nada importa que por estos mismos días la Organización Panamericana de la Salud haya emitido un informe donde indica que Cuba es el país de América Latina y el Caribe con menor prevalencia de bajo peso al nacer (5,3%), y que la población cubana presenta un 59% de sobrepeso, solo superada por muy pocos países de la región.

En fin, las técnicas, obsesiones y medias verdades de ese cuento se repiten hasta el cansancio. Como siempre, en él asimismo procuran escamotear un simple detalle: la emigración cubana no tiene carácter político, sino económico.

En Estados Unidos hay alrededor de un millón doscientos mil cubanos nacidos en la isla, y, en 2016, vinieron de visita al país unos 400 mil. ¡Vaya perseguidos políticos que una y otra vez regresan de vacaciones al país que supuestamente los reprime! Uno de los recursos más usados en la desinformación, es la simplificación exagerada de datos. La técnica consiste en potenciar unos, y omitir otros, con el objetivo de favorecer informaciones que confirmen las propias creencias o hipótesis.

Por ejemplo, difícilmente usted se entere por ellos de que, a pesar del privilegio único que ha significado la política de pies secos-pies mojados —unida a su par, la Ley de Ajuste Cubano—, nuestro país solo ocupa el octavo lugar por el número total de emigrantes a Estados Unidos. En primer sitio está México con unos 12 millones, seguido de El Salvador con tres. Por detrás de Cuba, pero muy próximos, se ubican Guatemala y República Dominicana. Me preguntó cuántos más emigrantes tendrían tales países, y otros, de haber contado con el privilegio de una ley que otorgara a sus ciudadanos residencia inmediata en el país norteño. Dos tercios de los bolivianos, que antes del gobierno de Evo Morales exhibían más de un 60 % de pobreza, probablemente estarían viviendo en Estados Unidos. ¿Y Haití? ¿Acaso existiría como nación?

En cuanto al número de emigrados cubanos de los últimos tiempos, siempre procuran el que más pueda impresionar. La técnica consiste en agrupar la cifra de varios años, digamos la de un período de cinco o seis de modo que el total crezca. Tomo al azar uno de los medios que por estos días abordan el tema, y este nos dice que, según el Departamento de Seguridad Nacional de los Estados Unidos, de 2012 a la fecha “118 mil cubanos han llegado a Estados Unidos presentándose en puertos de ingreso a lo largo de la frontera”. A primera vista el número pone a pensar. Sin embargo, se omiten un par de detalles. Primero, esto significa un ritmo de unos 19 mil y tantos emigrantes al año, cifra inferior a las 20 mil visas anuales que se ha comprometido a otorgar el gobierno norteamericano. Y, segundo, esto es apenas el 0,17 % de la población de la isla.

Yo echo mano al refrán y digo: lo que es bueno para la pava es bueno para el pavo. Quiero decir, si destempladamente se afirma que esos 19 mil anuales son unos supuestos guarimberos opositores escapados por la válvula, entonces por qué no afirmar también que los 11 millones y más de cubanos que permanecen en la isla apoyan la Revolución. No deberían aplicar un doble estándar ¿O sí? En fin, dejémonos de hipocresía: un gran porciento de quienes justifican la política de pies secos-pies mojados, tanto como la de su par —e igual de siniestro—, el bloqueo económico, comercial y finaciero a Cuba, no les interesan las vidas de los que mueren en el mar o la selva, ni la prosperidad material de los que estamos aquí; solo esgrimir el maquiavélico y ya cansón argumento que todos sabemos.

Continuemos hablando claro: ahora se suprime dicha política por la simple razón de que ya no era moralmente sostenible. Su indecoroso objetivo hace mucho tiempo quedó al desnudo ante la opinión pública internacional. Con el despiadado bloqueo económico y la política de pies secos-pies mojados solo se ha pretendido desestabilizar la sociedad cubana, desacreditar su modelo político, drenar a Cuba de su capital humano y sentar las bases para la creación de movimientos contrarrevolucionarios encargados de realizar acciones terroristas y agresivas contra el pueblo. Además, el estímulo a la emigración irregular ponía en peligro vidas humanas y asimismo incitaba la comisión de delitos como la trata de personas.

Baste un solo ejemplo para revelar el carácter cínico y manipulador de esa política. En 2011 el Departamento de Estado de los Estados Unidos presentó un informe donde Cuba era mostrada con nulo cumplimiento del Protocolo de las Naciones Unidas para Prevenir, Reprimir y Sancionar la Trata de Personas. Ello demuestra que la intención siempre fue presentar a la víctima como culpable. Desde el mismo triunfo de la Revolución, Estados Unidos utilizó el tema migratorio como arma desestabilizadora contra el gobierno cubano. Recordemos la llamada Operación Peter Pan, perversa maniobra organizada por la CIA en 1960, por la cual unos 14 mil niños fueron sacados de Cuba y llevados a Estados Unidos, sin que muchos de ellos volvieran a ver jamás a sus padres. De manera alevosa fue redactada una falsa ley de Patria Potestad, divulgada exhaustivamente por diversos medios de propaganda, para hacer ver que el gobierno cubano pretendía la eventual expropiación de niños a sus padres, con el fin de adoctrinarlos en la URSS.

Prueba de que los llamados balseros solo han sido una pieza más en el ajedrez político norteamericano, es posible obtenerla de un documento oficial, desclasificado en 1997, el cual recoge pormenores de la denominada Operación Northwoods. Este plan, elaborado en 1962 por el Ministerio de defensa estadounidense, proponía realizar diversas iniciativas terroristas que permitieran culpar al gobierno revolucionario cubano, para así justificar una invasión a la isla. Una de estas acciones consistía en el hundimiento “real o simulado” de emigrantes cubanos en su curso a la Florida. De manera que el eslogan de moda, la llamada “válvula de escape”, es única y exclusivamente una propia válvula de escape ante la frustración de 58 años sin ver cumplidos sus sueños de derrotar la Revolución Cubana.

Nada de lo intentado contra Cuba les rindió el fruto esperado. Han ensayado de todo: bloqueo económico, invasiones, amenaza de guerra nuclear, intento de aislar la Revolución en el plano internacional, guerra bacteriológica y psicológica, terrorismo de Estado, cientos de planes para asesinar a Fidel… Y nada. Por tanto, ahora es comprensible el pataleo, y que solo les quede soltar una y otra vez el libreto aprendido —aunque no venga al caso—, como en el cuento de los fenicios.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.