Intervista al ministro del Lavoro venezuelano, Eduardo Piñate

di Geraldina Colotti

E’ un dirigente che non si risparmia, Eduardo Piñate. Possente e calmo, risulta a suo agio sia nel fuoco della lotta di massa (com’è accaduto alla frontiera con la Colombia nella “battaglia dei ponti del 23 febbraio”), sia nella direzione politica del partito (è segretario esecutivo della presidenza del PSUV e vicepresidente territoriale del partito), sia alla testa di un ministero cruciale com’è quello del Potere popolare per il Processo sociale del Lavoro, che ora dirige.

Lo incontriamo a Caracas, nella sede dell’MPPPST, nel pieno del sabotaggio elettrico che ha cercato di mettere in ginocchio il paese, lasciando il Venezuela al buio, senz’acqua, senza trasporti e senza comunicazioni.

Cosa significa dirigere un ministero così importante nel pieno di un attacco come questo, che colpisce i bisogni elementari delle persone ma anche la produzione nazionale? Come vedi la congiuntura attuale?

Abbiamo vissuto una lunga fase di aggressioni, di guerra contro la rivoluzione bolivariana: una guerra non convenzionale. E’ iniziata nel 2012, in piena campagna elettorale del Comandante per la presidenza e si è intensificata dopo la sua scomparsa fisica. Da allora abbiamo dovuto affrontare un insieme di attacchi: diverse modalità di guerra economica – dal contrabbando di estrazione, a quello della moneta, alla guerra dei prezzi e all’inflazione indotta, al blocco economico finanziario commerciale contro il nostro paese, a vere e proprie operazioni di pirateria internazionale. Tutto questo con l’obiettivo di far collassare l’economia in un contesto di drastica caduta dei prezzi del petrolio, che ora si trovano in una situazione di equilibrio instabile. Inoltre, si è scatenata una guerra politica, ideologica, mediatica, culturale, psicologica che ha comportato attacchi militari, omicidi selettivi… Insomma, una congiuntura assai complessa. Nell’ultima fase, nel 2017- 18 abbiamo ottenuto un insieme di vittorie politiche, elettorali e morali che ci hanno permesso di rilegittimare tutto l’istituito mediante il voto popolare: l’elezione per l’Assemblea Nazionale Costituente, quelle dei governatori, dei sindaci, dei consigli legislativi regionali,l’elezione presidenziale, l’elezione dei consigli municipali. Abbiamo consolidato la democrazia bolivariana. A partire dal controllo politico del territorio, da una nuova offensiva politica del movimento di massa, siamo passati ad affrontare il piano economico, attraverso il Programma di Recupero economico Crescita e Prosperità. Vedi quei grafici appesi al muro? Sono le 10 linee che lo compongono, me le tengo sempre davanti agli occhi. Si tratta di un programma strategico e di sei micromissioni, approvate dal Congresso della classe operaia e assunte dal Presidente Maduro a ottobre dell’anno scorso…

L’imperialismo è sceso in campo direttamente. Quali sono le contromisure?

Dal novembre dell’anno scorso, il nemico è passato all’offensiva intensificando l’azione militare, terrorista. Abbiamo smontato il golpe pianificato per questo 23 gennaio che mirava a vulnerare l’integrità territoriale. Un tentativo ripetuto un mese dopo, il 23 febbraio, con quella che nel Tachira chiamiamo “la battaglia dei ponti”, i combattimenti di frontiera con cui abbiamo respinto un’aggressione armata mascherata da “aiuto umanitario”. Abbiamo vinto e l’imperialismo è stato sconfitto anche sul piano diplomatico, con il voto al Consiglio di sicurezza ONU. Questo del sabotaggio elettrico è forse l’operazione terrorista di maggior impatto negativo sulla società venezuelana dal 2002, quando effettivamente ci avevano tolto il potere con un colpo di stato, superiore anche al sabotaggio petrolifero del 2002-2003. Stiamo subendo perdite milionarie. Contro di noi hanno sperimentato molte varianti delle guerre non convenzionali, a partire dalle “rivoluzioni di colore” e dal famoso manuale di Jene Sharp. Con il sabotaggio elettrico, stanno ora applicando la teoria del “caos costruttivo”, per distruggere lo stato e cominciare a costruirne un altro in base agli interessi imperialisti. C’è però sempre una variante che l’imperialismo e le oligarchie che lo rappresentano sottovalutano: il popolo cosciente. Quello che anche ora ha reagito con forza e determinazione a fronte di un sabotaggio elettrico che ha colpito la vita della popolazione in modo trasversale: l’acqua potabile, la distribuzione di alimenti, il sistema sanitario, educativo… Per costruire un’economia produttiva diversificata abbiamo bisogno di un grande apporto energetico. Per superare il modello petrolifero, dobbiamo produrre un milione di barili in più, l’obiettivo della nostra prima micromissione. Il golpe elettrico mira a colpire al cuore l’economia del paese, per questo ti parlo di perdite milionarie. Una strategia che, però, si è scontrata con la resistenza popolare che non ha permesso la caotizzazione della società, com’era nei piani imperialisti: perché puoi sopravvivere tre giorni senza luce, ma senz’acqua è molto più difficile. Si è però imposta la coscienza, la disciplina e la fiducia che il nostro popolo ha in se stesso e nella direzione politica della rivoluzione bolivariana, che lo sta accompagnando in modo costante. Se c’è una cosa che caratterizza la nostra rivoluzione, prima con Chavez e ora con Maduro, è la certezza che il partito e il governo camminano sempre insieme al popolo, ancor di più nei momenti di difficoltà. Abbiamo visto la reazione eroica di tutta la classe operaia: del settore elettrico, degli operai petroliferi, del settore idrologico, della salute, del trasporto… Abbiamo aggiunto anche questa vittoria a quelle ottenute in questi vent’anni, e ne siamo fieri, ma sappiamo che l’imperialismo non si fermerà e che dobbiamo essere pronti a combattere e a vincere di nuovo. Non possiamo arrenderci.

Dopo l’autoproclamazione di Guaidó, la destra ha cercato di spaccare il chavismo e la Forza Armata. Ci sono crepe nel partito? Che cos’è oggi il PSUV?

Io dico sempre che tu sei caraqueña, perché hai seguito il proceso bolivariano fin dall’inizio e lo conosci bene: il chavismo è una cosa seria. In tempi di relativa calma siamo rilassati, possiamo dedicarci alle contraddizioni secondarie, che emergono soprattutto alla base o nei livelli medi del partito e che trovano spazio nel processo di discussione permanente definito nel terzo e nel quarto congresso. Quando la rivoluzione è minacciata, il chavismo però si coesiona, diventa “indistruttibile”, come dice la canzone… Non è una frase retorica, lo abbiamo dimostrato ogni volta che è stato necessario passare allo scontro diretto, come nella battaglia di frontiera del 23 febbraio. Lì, in prima linea, insieme al popolo organizzato, alla FANB, c’erano i dirigenti del partito e i ministri di governo. Lì ha trionfato una volta ancora l’unione civico-militare, e così è stato a Santa Elena de Uairen alla frontiera con il Brasile, ovunque abbiamo visto il popolo dispiegato e organizzato dal nostro partito. Durante il golpe del 2002 il partito non esisteva, la forza egemonica del chavismo era l’organizzazione V Repubblica, di cui non facevo parte. Allora ero nella direzione nazionale della Lega socialista, una formazione marxista-leninista da cui provengono Nicolas Maduro, Fernando Soto Roja, Julio Escalona, e che è confluita nel PSUV. Alla fine del 2005, Chavez si rende conto che il nostro popolo è maturo per assumere il socialismo e, nelle elezioni del 2006 dice: “Chi vota per me, vota per il socialismo”. A metà dicembre, dopo la vittoria elettorale, convoca una riunione per la formazione del Partito Socialista Unito del Venezuela, che costituisce a tutt’oggi un elemento di novità e di forza. Si riunirono allora tutte le varietà del marxismo, dai marxisti-leninisti ai trotskisti, ai maoisti, ai gramsciani, ma anche filoni della socialdemocrazia, della democrazia cristiana e, nel primi momenti, persino seguaci dell’ex dittatore Pérez Jimenez… La maggioranza degli iscritti, però, era composta da gente del popolo che non aveva esperienza di militanza ma che seguiva le indicazioni di Chavez. Nel 2012, ho pubblicato per le edizioni Trinchera un libro dal titolo “Il PSUV e la sua relazione con il movimento di massa”. Un libro critico in cui però riconoscevo che il partito era uno spazio privilegiato per condurre la necessaria battaglia delle idee. Uno spazio che si è consolidato nel corso dei nostri congressi. Come ricorda spesso il vicepresidente Diosdado Cabello, dal primo Congresso al quarto, c’è una differenza come dal cielo alla terra. Al primo io non fui delegato, ma al secondo fui eletto dalla base, al terzo fui delegato perché ero deputato, al quarto per essere membro della direzione nazionale del partito. Uno dei nostri punti forti è l’organizzazione della gioventù. In questi ultimi anni, il partito ha una struttura organizzativa capillare che arriva in ogni strada, in ogni comunità: non solo a fini elettorali, ma per strutturare la difesa e il controllo del territorio, gli spazi di formazione e azione sociale, culturale, politica. Oggi nel partito sono registrate oltre 40.000 comunità, più di 240.000 strade e in ognuna di queste c’è una rete di articolazione e azione socio-politica in cui confluiscono tutte le organizzazioni popolari. Ora stiamo consolidando l’organizzazione della milizia, vi sono organi di direzione nella difesa integrale per la lotta non armata e unità popolari per la difesa integrale nella lotta armata. In questi spazi il PSUV gioca un ruolo fondamentale soprattutto in questi momenti. Considera che abbiamo 6,5 milioni di iscritti, oltre il 59% donne, buona parte dei quali milita in tutte le strutture organizzate della società.

Il quarto congresso ha determinato una svolta, in termini di coesione politica e di formazione dei giovani, ai quali si sono rivolti i vecchi dirigenti che hanno partecipato alla lotta armata contro le democrazie nate dal Patto di Puntofijo. Quanto conta oggi per il partito trasmettere la memoria e il bilancio di quegli anni nella costruzione del presente?

Chavez ha riscattato e ridato valore all’analisi della storia come storia di lotta di classe, e ha riscattato il progetto di Bolivar adeguandolo alle condizioni del Venezuela. Il nostro progetto socialista s’innerva fortemente in quella storia, è la continuazione diretta della rivoluzione di Bolivar. Il Libertador ha portato a sintesi il pensiero più avanzato della sua epoca, la rivoluzione dei giacobini e quella dei giacobini neri ad Haiti, la lotta per l’indipendenza contro il colonialismo spagnolo e contro le monarchie… Chavez ha fatto una ulteriore sintesi di quella sintesi, amalgamando tutti quegli elementi e aggiungendone altri: le rivoluzioni socialiste, il socialismo reale, la lotta armata degli anni Sessanta e Settanta, la lotta dei popoli latinoamericani contro l’imperialismo. Bolivar nasce in una famiglia aristocratica, Chavez in una famiglia povera e incorpora il marxismo alla dottrina di Bolivar, vi aggiunge elementi della teologia della liberazione, gli insegnamenti della pedagogia libertaria di Simon Rodriguez, Paolo Freire, Prieto Figueroa. La storia per noi è molto importante e dev’essere occasione costante di crescita e di educazione, soprattutto nei confronti dei giovani che non hanno conosciuto i quarant’anni di puntofijismo, la repressione, e danno per scontati i diritti di cui usufruiscono ora. Durante i governi della Quarta repubblica, il Venezuela era una specie di vetrina democratica rispetto alle dittature militari che insanguinavano il continente. Era considerata una democrazia stabile, ma nessuno diceva che, proprio da noi, durante il governo di Raul Leoni, tra il 1964 e il 1969, vi furono i primi desaparecidos: prima che questo accadesse nella dittatura di Pinochet. Quella vetrina venne fatta a pezzi dalla rivolta del Caracazo, nel 1989, durante la quale apparve chiaro quanto fossero deflagranti le contraddizioni di classe in Venezuela. Questa è la memoria che dobbiamo insegnare costantemente, dentro e fuori il partito. Il comandante Chavez fu un grande pedagogo, Maduro, Cabello e gli altri dirigenti ne seguono le orme nei loro programmi televisivi e radiofonici, ma è uno sforzo che dobbiamo moltiplicare anche nel sistema educativo nazionale.

Il chavismo ha vinto organizzando un blocco sociale in cui il popolo degli esclusi costituiva la maggioranza. Qual è oggi il soggetto portante della rivoluzione?

Il soggetto storico è il popolo. Al suo interno, nella fase di costruzione del socialismo, nella fase presente, il soggetto fondamentale è la classe operaia. Il nostro compito attuale è quello di sviluppare la forza produttiva, costruire la base produttiva del socialismo. Questo implica rafforzare e ampliare la proprietà sociale dei mezzi di produzione, sia quella statale (che la costituzione indica come proprietà sociale indiretta), sia quella diretta, gestita dai lavoratori e dalle lavoratrici, ove l’economia comunale gioca un ruolo molto importante.

Nell’economia comunale, comuneras e comuneros sono i produttori. Nella comuna s’incontrano sia la classe operaia tradizionale, industriale, sia i nuovi soggetti produttivi, frutto delle condizioni attuali, che sono diverse da quelle descritte da Marx, da Lenin e anche dalla rivoluzione cubana dei primi anni. Nella rivoluzione bolivariana, l’elemento territoriale è molto importante. Il grande contributo di Chavez al socialismo è stato proprio l’accento posto sulla composizione di classe presente sul nostro territorio, sulla fabbrica che si concretizza nel territorio: per costruire il socialismo territoriale sul piano economico, politico, culturale, etico. Nel processo di formazione della comuna, giocano un ruolo importante organismi come i consigli comunali, le organizzazioni di quartiere, quelle per la salute integrale comunitaria… L’anno scorso, si è svolta un’intensa e importante discussione democratica che ha portato al Congresso costituente della classe operaia. Da quel Congresso sono emerse importanti linee di azione relative al modello di gestione industriale e all’economia d’impresa in sei grandi aree produttive. In questa fase, la classe operaia è il soggetto storico della rivoluzione, senza il suo ruolo di avanguardia non possiamo costruire il socialismo.

Cuba resiste da sessant’anni perché ha messo fuori legge la borghesia mediante una rivoluzione. Come si può pensare di farcela avendo al proprio interno forze potenti che si dedicano a sabotare ogni progetto? Non c’è il rischio che il popolo si stanchi?

Finora il nostro popolo non si è stancato, ed è capace di risollevarsi con lo stesso spirito che il Che evocava nel libro “El socialismo y el hombre” a proposito dell’atteggiamento eroico che si deve assumere anche nel quotidiano. Ci pensavo mentre guardavo Caracas immersa nell’oscurità. Ci ho pensato partecipando alla straordinaria marcia antimperialista che si è svolta nella capitale il 9 marzo, il giorno dopo il sabotaggio elettrico. Un sabotaggio che si è ripetuto quando avevamo appena ripristinato buona parte del servizio elettrico. Ci siamo risollevati. Fra la nostra rivoluzione e quella cubana vi sono similitudini, perché le rivoluzioni socialiste rispondono in ultima istanza a leggi generali, ma si tratta di due processi distinti. Noi continuiamo ad andare avanti per la via democratica che abbiamo deciso con Chavez. Un cammino indubbiamente rischioso, ma la nostra democrazia è forte perché non si basa su un voto esercitato ogni 4 anni. E’ un processo partecipativo che si sviluppa in un dibattito permanente e in un percorso di costruzione collettiva, che s’inventa costantemente. Il nostro compagno Soto Roja lo definisce “il disordine creativo della rivoluzione”. Implica una costante rimessa in causa del proprio agire e un’analisi dei propri errori. Nel 2015 abbiamo perso le elezioni per il Parlamento, il secondo potere dello stato. Abbiamo perso a causa della guerra economica, ma anche dei nostri errori. Come ha detto il presidente Maduro, la guerra economica si stava manifestando attraverso le code, che noi non abbiamo saputo vedere. Però abbiamo ripreso l’iniziativa politica rivoluzionaria. Per questo non hanno potuto imporci la loro agenda di guerra. Siamo un popolo pacifico, allegro e ospitale, ma sappiamo combattere quando occorre. E stiamo combattendo per la pace. Stiamo cercando di costruire il socialismo in una economia di guerra, assumendo la sfida costante con l’imperialismo. La nostra è un’economia monopolistica, che abbiamo ereditato dal capitalismo. Né la prima né il secondo si possono abolire per decreto, ma in un processo costante di decostruzione e costruzione. Il nostro progetto contempla la coesistenza della proprietà privata e della proprietà mista. Per quanto tempo coesisteranno dipenderà dalle condizioni oggettive. Il nostro modello non è nemico della proprietà privata, ma del latifondo e del monopolio, che sono proibiti dalla costituzione. In questo periodo in cui abbiamo bisogno di una massiccia immissione di divisa, la proprietà privata non solo è consentita ma è anzi stimolata. Nell’ANC si è svolto un vivace dibattito a proposito della legge sugli investimenti esteri produttivi, fermo restando la difesa della nostra sovranità nazionale. Una legge che non è fatta per attrarre imprese comuniste, ma capitaliste, per attrarre capitali assumendo quotidianamente nel concreto la tensione tra gli interessi dell’impresa e quelli del lavoro.

Secondo alcune componenti che si dicono più chaviste di Chavez, ci sono sindacalisti in carcere. E’ vero?

Molti di noi sono stati dirigenti sindacali, in diverse occasioni. Non ci sono persone in carcere per motivi politici o per le lotte di categoria, ma per atti delinquenziali, di sabotaggio alla produzione di imprese strategiche: per essere al servizio dell’imperialismo. La Centrale Bolivariana Socialista dei Lavoratori ha 19 federazioni nazionali, 1500 sindacati circa, vi sono poi più di 1000 consigli dei lavoratori, comitati di prevenzione. Un vero esercito che rappresenta la grande forza operaia in Venezuela. Quando l’autoproclamato ha annunciato scioperi scaglionati in vista di uno sciopero generale, durante una conferenza stampa ho presentato quei dirigenti sindacali uno per uno.

Di recente, il presidente Maduro ha indicato la corruzione come uno dei principali ostacoli. Un ostacolo che la destra sta usando per comprare defezioni e tradimenti, anche nella FANB. Come state affrontando questo tema?

Negli anni Novanta, alcuni dirigenti della Lega Socialista come Soto Roja e Nora Castaneda hanno definito la corruzione dilagante come una delle forme di accumulazione originaria del capitale. Un’eredità del passato coloniale, importata dalla dominazione spagnola. Nel proceso bolivariano la corruzione non è arrivata a quei livelli, ma bisogna combatterla senza quartiere. Il presidente ha indicato tre linee fondamentali: il recupero economico, la difesa integrale della nazione e la lotta contro corruzione, burocratizzazione, negligenza e minimalismo. Come? Combinando un insieme di fattori che riguardano la chiarezza politica, i valori, la battaglia delle idee. Una battaglia che il partito deve assumere ricordando la critica di Marx alla mercificazione della vita. Bisogna sviluppare valori alternativi di responsabilità, dovere sociale, senso del collettivo come forma di prevenzione. L’altro elemento è però quello coercitivo, sui corrotti deve cadere il peso della legge, come già sta accadendo, poiché sono andati in carcere ex ministri, governatori, sindaci, funzionari. E bisogna andare avanti con decisione, purtroppo la corruzione ha permeato anche settori del proletariato.

Gli Stati Uniti hanno ribadito che puntano al collasso dell’economia venezuelana e annunciato ulteriori sanzioni. Quali scenari si prospettano?

Abbiamo discusso di questo nella direzione del partito. Ci sarà un inasprimento della guerra economica, dei sabotaggi, il tentativo di creare un esercito di mercenari da impiegare contro dirigenti politici e militari. Abbiamo aumentato la vigilanza e l’attività di intelligence. La destra interna ha poco margine di manovra sul terreno politico, una capacità di mobilitazione molto bassa che va scemando. L’autoproclamato è come la spuma, che sale e poi si sgonfia sempre di più. Per questo hanno bisogno di far scendere in campo Trump e i vari Bolton, Pompeo, Rubio, perché non hanno un progetto nazionale, il loro progetto coincide con quello dell’imperialismo, delle multinazionali, dell’oligarchia finanziaria transnazionale e del governo yankee che è di estrema destra. Il loro piano non è solo quello di distruggere Maduro, ma l’intera nazione. Vogliono frammentare l’unità nazionale, balcanizzare il paese come hanno fatto con la Jugoslavia. Si scontrano, però, con un popolo che non è diviso in fazioni e che è profondamente coeso nella unione civico-militare e con il socialismo bolivariano che ci ha lasciato Chavez.Non possono fare come con la Libia di Gheddafi o con l’Iraq di Saddam Hussein, o con i leader dei Balcani negli anni 90. L’imperialismo s’incunea nelle differenze interne come ha fatto a Grenada, quando ha approfittato del colpo di stato contro Bishop per invadere il paese. Anche a Panama ha approfittato della contraddizione esistente tra la élite che governava sotto la guida di Noriega e buona parte del popolo per intervenire. Una situazione che in Venezuela non esiste, per questo i loro piani falliscono.

Il Venezuela si trova al centro di uno scontro di interessi che interessa lo scacchiere politico a livello internazionale. Qual è la tua analisi?

Il conflitto geopolitico che vediamo configurarsi a livello mondiale è l’espressione concreta della lotta di classe per come si presenta oggi. Le nuove economie emergenti che prefigurano un mondo multipolare mettono in crisi l’egemonia USA nel contesto di un capitalismo in crisi strutturale che sta mettendo in pericolo la stessa esistenza del pianeta. Il sistema di relazioni che si è imposto dopo la Seconda guerra mondiale ha vissuto un processo di decadenza che si evidenzia in quello delle grandi istituzioni internazionali. L’Unione europea, lo abbiamo visto anche in occasione dell’attacco contro il Venezuela, è subalterna agli Stati Uniti. La contesa torna a essere quella tra socialismo e capitalismo. A livello globale, si confrontano due progetti: l’unipolarità di chi si crede il gendarme del mondo e che può farla finita con l’umanità, e un altro mondo multicentrico e pluripolare, nel quale Russia e Cina costituiscono un freno all’arroganza yankee. Chavez ha avuto il merito di costruire alleanze strategiche sud-sud, non solo con Russia, Cina, India, Iran, ma anche con i nostri Caraibi per una nuova integrazione latinoamericana. Alleanze fondamentali per questo periodo di resistenza che hanno impedito l’applicazione della Carta Interamericana all’OSA, costituendo un primo anello di difesa fondamentale. L’ultima discussione al Consiglio di sicurezza ONU ha mostrato l’importanza delle relazioni con Russia e Cina. L’imperialismo yankee è stato obbligato a retrocedere, ma resta sommamente pericoloso perché ha come obiettivo quello di recuperare l’iniziativa nel continente latinoamericano, nella Maiuscola America, come la chiamava il Che. E la rivoluzione bolivariana è un grosso ostacolo che impedisce di ricolonizzare il continente. Di certo, gli USA hanno recuperato posizioni rispetto all’onda socialista e progressista dell’inizio di questo secolo. Oggi il ritorno di un neoloberismo repressivo nei confronti delle classi popolari e ancora più subalterno all’imperialismo di quello degli anni Settanta, sta depotenziando la Unasur, la Celac. Gli apologisti del sistema capitalista parlano di fine del ciclo progressista. Io condivido invece l’analisi di Nicolas Maduro: ci sarà una seconda ondata, più profonda e più radicale e se si azzardano a colpire la rivoluzione bolivariana, si incendierà l’intero continente.

Che pensi di quel che accade in Europa? Perché non si riesce a costruire un’opposizione vincente al capitalismo e un appoggio di massa al Venezuela?

Le principali ragioni si situano nella sconfitta del movimento operaio, nella perdita delle conquiste ottenute nel secolo scorso, nell’assenza di una direzione politica dei processi seguiti alla crisi degli anni Ottanta e alla caduta dell’Unione Sovietica. In Italia avete scontato la deriva della socialdemocrazia a partire almeno dall’”eurocomunismo”, la scomparsa del PCI e il progressivo allineamento della sinistra all’idea che non vi siano alternative al capitalismo. I due movimenti di massa più significativi sono stati, io credo, gli indignados in Spagna e ora i gilet gialli in Francia. Questi ultimi mostrano una connotazione di classe più marcata rispetto agli indignados e questo lascia ben sperare. Penso che i movimenti di massa avranno modo di avanzare verso il socialismo quando si incontreranno se non proprio con la Comune di Parigi, almeno con le aspirazioni del Maggio ’68: un movimento radicale antiautoritario, che non era marxista-leninista e anche per questo è stato più facilmente recuperato dal nemico, ma che in Francia era quasi riuscito a far cadere il governo e che ha scontato l’arretratezza del PCF. In Italia, c’è stato il grande ciclo di lotta nato dal ’68-69, che è durato a lungo e che contiene ancora grandi insegnamenti. I movimenti di massa in Europa devono incontrarsi con questa tradizione radicale di pensiero e adattarla alle nuove condizioni. Da voi stanno applicando le stesse ricette neoliberiste che hanno portato alla rivolta del Caracazo in Venezuela.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.