Venezuela, mercenari a caccia di ragazzini

di Geraldina Colotti

Esodo, crisi umanitaria, carestia… La propaganda di guerra contro il Venezuela bolivariano si serve dei sentimenti “un tanto al chilo” per condizionare l’opinione pubblica, orientandone “l’indignazione”. Nel mirino ci sono soprattutto i giovani, attirati da immagini di apparente trasgressione “al potere”, buone per tutte le stagioni. Le grandi agenzie che studiano i condizionamenti culturali – i professionisti della Cia, come i cacciatori di branding delle grandi imprese multinazionali – sanno bene su quali tasti agire: soprattutto in Europa, dove, con la complicità di una certa sinistra sono diventati impronunciabili concetti propri della lotta di classe, che richiedono una conseguenza tra le parole e i fatti.


E così, basta diffondere la maschera di “anonymus” sulle reti sociali, per catturare la “ribellione” di qualche giovane indignato da tastiera. Basta frullare in ogni senso la definizione di “libertario” per fare del fascismo venezuelano un movimento “antiautoritario”. Basta agganciarsi a qualche multinazionale dell’umanitarismo – meglio se di marca cattolica – per raccogliere denaro a tutto spiano: da destinare non “alle pentole solidali”, come pubblicizzano in Italia certi siti di opposizione, ma al rifornimento dei mercenari che abbiamo visto agire durante le famose “guarimbas”.

Molti di quei mercenari erano italiani. Uno dei loro principali obiettivi era quello di adescare ragazzini da utilizzare nelle violenze “guarimbere” L’orientamento di questi siti – per esempio https://www.gofundme.com/llenemoslasollase DisobeyVe – non lascia dubbi: vogliono il golpista Leopoldo Lopez presidente del Venezuela, vengono sponsorizzati da volti noti dell’opposizione venezuelana più oltranzista, presente in Italia. Dichiarano di voler utilizzare “tutti i mezzi” per liberarsi del socialismo bolivariano, e la loro ricetta è quella dei libertariani nordamericani, assai distanti dai libertari che propugnano la comunione dei beni.

Infatti, così dichiarano: “Siamo una organizzazione politica, studentesca e cittadina che si incarica di creare coscienza nelle persone intorno a temi come: Libero Mercato, rispetto della proprietà privata, doveri e diritti dell’individuo…”. Credono “nel Libertarismo come modello politico”, e “pretendono” che “attraverso l’Educazione l’individuo si espanda al massimo e lo Stato si riduca al minimo”.

Una ricetta che i presunti “libertari” intendono imporre in Venezuela “con ogni mezzo”, e intanto vantano i successi ottenuti finora nelle università, nei quartieri e negli ospedali. Uno dei loro principali interventi – affermano – è stato quello di cancellare e modificare tutti i murales e gli slogan che la creatività chavista aveva sparso per le città. E’ dai tempi del golpe contro Chavez che l’imperialismo cerca di innescare in Venezuela lo schema delle “rivoluzioni colorate”, e da allora queste organizzazioni provano a impiantare i simboli di quella balcanizzazione diventata un modello per la guerra di quarta generazione: il logo delle agenzie promosse dalla Cia come Otpor o Canvas, organizzazione in cui si è addestrato l’autoproclamato Juan Guaidó.

Per questo, i libertariani raccolgono, ovviamente, dollari, da destinare al “Venezuela di domani”. In tema sanitario, citano l’esempio dell’ospedale JM de los Rios di Caracas, dove si sono verificate le proteste dei medici di opposizione in risposta agli appelli dell’autoproclamato e per l’entrata “a tutti i costi degli aiuti umanitari”.

Un settore in cui è attiva un’altra organizzazione antichavista, Provea, che camuffa i propri reali obiettivi dietro la maschera dei “diritti umani”.

In questo caso, l’azione è più subdola, soprattutto se rivolta ai lettori che vivono fuori dal Venezuela e non ne conoscono storia e politica. Tanto per capirci, Provea sta accompagnando la ex Procuratrice generale del Venezuela Luisa Ortega Diaz, fuggita in Colombia, nella sua denuncia alla Corte Penale Internazionale per presunti crimini di lesa umanità commessi da Nicolas Maduro. I dati che questa organizzazione fornisce costituiscono la base per costruire altre menzogne, propagandate dalle grandi agenzie dell’umanitarismo come Amnesty International. Il loro appoggio ai golpisti è evidente.

Ortega Diaz era un’avvocata che si batteva per i diritti umani durante la IV Repubblica, vicina a Provea quando, nel 1988, l’organizzazione denunciava il massacro di El Amparo, dove morirono 14 pescatori per mano della polizia politica e delle forze armate. Sul sito dell’organizzazione, restano d’altronde tracce delle denunce compiute anche durante il golpe contro Chavez.

Poi, però, le cose sono cambiate fino al punto in cui si trovano oggi. Il lettore europeo di sinistra, poco avvertito, potrebbe però lasciarsi fuorviare dalla presentazione di un’indagine dell’economista Manuel Sutherland, che usa parametri apparentemente marxisti, ma per arrivare a conclusioni politiche che vanno a tutto vantaggio del campo opposto.

L’umanitarismo di queste filiazioni della Cia è ovviamente uno spettacolo a senso unico. Lo si è visto durante la visita dell’attrice Angelina Jolie alla frontiera tra Colombia e Venezuela. Se si fosse spinta un po’ oltre confine, l’attrice avrebbe visto una vera catastrofe umanitaria, imposta dal governo colombiano ai nativi della Guajira.

Se avesse ascoltato le famiglie dei bambini malati di tumore, che non hanno potuto effettuare il trapianto di midollo osseo negli ospedati italiani a causa del blocco economico-finanziario alle risorse del Venezuela, avrebbe visto il vero volto del problema: le micidiali sanzioni USA, che impediscono al governo bolivariano di portare in patria alimenti e medicine già pagate, che sottraggono risorse al paese con vere e proprie operazioni di pirateria internazionale. Almeno 10 navi cariche di carburante e altre di supporto che trasportavano provviste – ha denunciato Maduro – sono state bloccate e sabotate per impedire che arrivassero a destinazione.

E se di certo non c’è da aspettarsi nulla dall’ipocrisia di chi con una mano ti strangola e con l’altra ti offre briciole da mangiare, c’è però da sperare nella ripresa dell’internazionalismo e di una grande mobilitazione contro il golpe della Cia in Venezuela. Un buon esempio arriva dai lavoratori portuali di Genova, che hanno impedito alla nave saudita Bahri Yanbu di caricare materiale bellico destinato alla guerra in Yemen. Un’azione seguita a quella dei portuali francesi di Le Havre e proseguita da quelli di Marsiglia. “Porti chiusi alle armi, porti aperti ai migranti”, hanno gridato i portuali. Porti chiusi alle armi di aggressione, porti aperte alla pace con giustizia sociale. Porte chiuse al fascismo, porte aperte alla rivoluzione bolivariana.

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