Salvatore Mancuso porta la crisi politica della Colombia ad un nuovo livello

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Nel mezzo del cataclisma politico e giudiziario che vive la Colombia con il paramilitarismo, i massacri ed il coronavirus perseguitando la popolazione in generale, appare di nuovo sui tabloid fisici e digitali un criminale iconico delle temute Unità di Autodifesa della Colombia (UAC): Salvatore Mancuso.

Storicamente, Mancuso è noto per essere stato l’operatore di fatti oscuri e letali in territorio colombiano come attentati, massacri, omicidi di alto profilo, traffico di droga ed il suo legame chiave con lo sviluppo della parapolitica.

La cronaca dell’estradizione di Mancuso, risale al 2008, quando l’allora presidente della Colombia, Álvaro Uribe Vélez, ordina, in modo inaspettato e repentino, l’estradizione di Mancuso negli USA, dopo il processo di smobilitazione del 2005, dove i paramilitari si sarebbero reincorporati come “poliziotti civici non armati”, secondo Uribe.

Mancuso ha scontato la sua condanna per traffico di droga negli USA e la sua difesa ha chiesto di inviarlo in Italia, giustificando che non ha garanzie di sicurezza in Colombia. Al contrario, dalla Colombia, il Tribunale Superiore del Distretto Giudiziario di Bogotá ha sollecitato il mandato d’arresto contro Mancuso per la sua estradizione in quel paese.

C’è tutto un labirinto giudiziario (e politico) sull’estradizione del famoso criminale in Colombia od in Italia.

Gli avvocati di Mancuso sostengono che ha adempiuto agli obblighi stabiliti nell’accordo di pace, negoziato nel 2003, sotto mandato di Uribe, che limita le pene detentive ad otto anni per i paramilitari che confessano i loro crimini.

Inoltre, Mancuso conosce molto bene le manovre dell’oligarchia colombiana nella gestione del sistema giudiziario. L’insistenza che la sua deportazione sia in Italia si basa sul fatto che la Colombia non ha un trattato di estradizione con il paese europeo.

La polemica lettera di Mancuso

Altri fattori hanno fatto scattare l’allarme: la lettera che Mancuso scrive in risposta all’appello dell’ex ministro e mediatore nei processi di pace, Álvaro Leyva, affinché sia Mancuso che l’ex capo delle FARC, Rodrigo Londoño (alias Timochenko), esprimano le loro verità e vadano alla Commissione per la Verità.

Mancuso riconosce il lavoro di Leyva per ottenere un incontro telefonico con Londoño, dove hanno concordato sulla necessità di dire la verità sull’ampio conflitto armato in Colombia. Nella lettera il paramilitare scrive alcune importanti confessioni:

Sostiene che da quando si è smobilitato non ha mancato di adempiere ai suoi impegni e assicura che continuerà a rispettarli “fino al completamento dei processi di transizione.

Spiega che la Colombia merita di conoscere la verità su tutto ciò che è accaduto, senza permettere che la verità sia manipolata, a prescindere da chi ne beneficia o danneggia.

Ricorda la sua confessione, di anni addietro, in cui afferma che il 35% del congresso colombiano era sostenuto dalle UAC nel quadro della parapolitica.

Allo stesso modo, commenta che la sua estradizione è stata eseguita per zittirlo e per vendetta, poiché rivelava la sua vicinanza al governo di Álvaro Uribe, compreso l’attuale ambasciatore colombiano negli USA, Francisco Santos, e l’ex vicedirettore del Dipartimento Amministrativo della Sicurezza (DAS), José Miguel Narváez.

Ribadisce che è disposto a comparire davanti alla Commissione per la Verità. Se il paese non conosce l’autenticità del conflitto è perché non esiste alcun interesse politico per esso, aggiungendo che: “la verità non può continuare a servire a beneficio di oscuri interessi”

Dubbiosa giustizia colombiana

Non si può dimenticare il rapporto dell’UAC con lo Stato colombiano, e ancor più, con l’uribismo. È ben noto come le élite del potere economico e politico orbitino nel finanziamento di gruppi irregolari.

Queste pratiche iniziarono il loro procedere quando Uribe divenne presidente, avviando la “Politica di Sicurezza Democratica” (PSD), come cortina fumogena per dispiegare una strategia di repressione e terrorismo di Stato non solo politicamente ma anche economicamente, costringendo lo spostamento di contadini e, di conseguenza, il controllo di terre ricche di risorse minerarie ed agricole nelle mani di grandi gruppi economici oligarchici.

E’ stato palpabile la frettolosità del processo di estradizione di Mancuso in Colombia. Ancor più se paragonata alla deportazione di un altro capo paramilitare, Rodrigo Tovar Pupo, alias “Jorge 40”, dove la richiesta di estradizione non è stata ostacolata né ha presentato interruzioni.

Infatti, l’Alto Commissario per la Pace, Miguel Ceballos, ha riferito, giorni fa, che Jorge 40, al suo arrivo in Colombia, sarà immediatamente rinchiuso in un carcere.

La differenza in entrambi i processi si centra sulle informazioni fornite da entrambi i capi paramilitari, in particolare quelli che si riferiscono ai legami politici ed economici con l’oligarchia colombiana ed Uribe. Comparativamente, il canto di Mancuso è molto più delicato di quella di “Jorge 40”.

Così come il processo giudiziario di Uribe è stato tiepido e con mille carte nella manica, da parte sua, rafforzando la sfiducia della popolazione colombiana nelle istituzioni dello Stato gestite dall’oligarchia, è incerto cosa potrà accadere con il processo di Mancuso se ritorna in Colombia, nonostante i sostegni di cui conta.

Quel che sì è certo è che l’élite colombiana coinvolta manovrerà per continuare a coprire il sole con un dito.


Salvatore Mancuso lleva la crisis política de Colombia a un nuevo nivel

En medio del cataclismo político y judicial que vive Colombia con el paramilitarismo, las masacres y el coronavirus acechando a la población general, aparece de nuevo en los tabloides físicos y digitales un criminal icónico de las temidas Autodefensas Unidas de Colombia (AUC): Salvatore Mancuso.

Históricamente, a Mancuso se le conoce por haber sido el operador de hechos sombríos y letales en el territorio colombiano como atentados, masacres, asesinatos de alto perfil, tráfico de droga y su vinculación clave con el desarrollo de la parapolítica.

La crónica de la extradición de Mancuso data desde 2008, cuando el entonces presidente de Colombia, Álvaro Uribe Vélez, ordena de manera inesperada y repentina la extradición de Mancuso a los Estados Unidos, después del proceso de desmovilización de 2005, donde los paramilitares se reincorporarían como “policías cívicos no armados”, según Uribe.

Mancuso ha cumplido su condena por tráfico de drogas en territorio estadounidense y su defensa pidió enviarlo a Italia justificando que no tiene garantías de seguridad en Colombia. En contraste, desde Colombia, el Tribunal Superior del Distrito Judicial de Bogotá solicitó la orden de captura contra Mancuso para su extradición a ese país.

Existe todo un laberinto judicial (y político) sobre la extradición del famoso criminal a Colombia o a Italia.

Los abogados de Mancuso sostienen que él ha cumplido las obligaciones de lo establecido en el acuerdo de paz que se negoció en 2003, bajo el mandato de Uribe, que limita las condenas de prisión a ocho años para los paramilitares que confiesan sus crímenes.

Además, Mancuso conoce muy bien las maniobras de la oligarquía colombiana en el manejo del sistema judicial. La insistencia de que su deportación sea a Italia recae en que Colombia no tiene tratado de extradición con el país europeo.

La polémica carta de Mancuso

Otros factores han encendido las alarmas: la carta que escribe Mancuso en respuesta al llamado que hace el ex ministro y mediador en los procesos de paz, Álvaro Leyva, para que tanto Mancuso como el ex jefe de las FARC, Rodrigo Londoño (alias Timochenko), expresen sus verdades y acudan a la Comisión de la Verdad.

Mancuso reconoce la labor de Leyva para lograr un encuentro telefónico con Londoño, donde coincidieron en la necesidad de contar la verdad del extenso conflicto armado a Colombia. En la misiva, el paramilitar redacta algunas confesiones importantes:

Alega que desde que se desmovilizó no ha dejado de cumplir con sus compromisos y asegura que seguirá cumpliendo con eso “hasta culminar los procesos transicionales”.

Explica que Colombia merece conocer la verdad de todo lo ocurrido, sin permitir que la verdad sea manipulada, sin importar a quién beneficia o perjudica.

Hace el recordatorio de su confesión años atrás en la que afirma que el 35% del congreso colombiano estaba apoyado por las AUC en el marco de la parapolítica.

Asimismo, comenta que su extradición se llevó a cabo para silenciarlo y por venganza, ya que revelaba su cercanía con el gobierno de Álvaro Uribe, incluyendo al actual embajador de Colombia en EEUU, Francisco Santos, y el ex subdirector del Departamento Administrativo de Seguridad (DAS), José Miguel Narváez.

Reitera que está dispuesto a comparecer ante la Comisión de la Verdad. Si el país no conoce la veracidad del conflicto es porque no existe el interés político para eso, agregando que: “la verdad no puede seguir sirviendo para beneficiar a intereses oscuros”

Dudosa justicia colombiana

No se puede olvidar la relación de las AUC con el Estado colombiano, y mucho más, con el uribismo. Es bien sabido cómo las élites de poder económico y político orbitan en el financiamiento a grupos irregulares.

Estas prácticas iniciaron su proceder cuando Uribe llega a la presidencia, iniciando la “Política de Seguridad Democrática” (PSD), como una cortina de humo para desplegar una estrategia de represión y terrorismo de Estado no sólo en lo político sino en lo económico, forzando el desplazamiento de campesinos y, en consecuencia, el control de tierras ricas en recursos minerales y agrícolas en manos de grandes grupos económicos oligárquicos.

Ha sido palpable lo atropellado del proceso de extradición de Mancuso a Colombia. Más todavía si se compara con la deportación de otro líder paramilitar, Rodrigo Tovar Pupo, alias “Jorge 40”, donde la solicitud de extradición no ha sido entorpecida ni ha presentado interrupciones.

De hecho, el Alto Comisionado para la Paz, Miguel Ceballos, informó hace días que Jorge 40, al llegar a Colombia, será recluido inmediatamente en una cárcel.

La diferencia en ambos procesos se centra en las informaciones que han suministrado ambos líderes paramilitares, sobre todo aquellas que refieren a los vínculos políticos y económicos con la oligarquía colombiana y Uribe. Comparativamente, el canto de Mancuso es mucho más delicado que el de “Jorge 40”.

Así como el proceso judicial de Uribe ha sido tibio y con mil cartas bajo la manga de su parte, reforzando la desconfianza de la población colombiana en las instituciones del Estado manejado por la oligarquía, resulta incierto lo que pueda suceder con el procesamiento de Mancuso si regresa a Colombia, a pesar de los respaldos con los que cuenta.

Lo que sí es seguro es que la élite colombiana involucrada maniobrará para continuar tapando el sol con un dedo.

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