Cosa c’era dietro le luci al neon della Cuba anni ’50?

Raúl Antonio Capote

I mezzi di comunicazione al servizio del Governo USA, la stampa corporativa o la rete dei siti digitali controrivoluzionari che si riferiscono alla Cuba di prima del 1959, la dipingono come si colora la tela di un paese che non è mai esistito.

Lo fanno come con foto di riviste, come si fa uno spot pubblicitario, e chi vende disperazione per tornare a quell’epoca dorata, dovrà trascinare tutto indietro, cancellare uno per uno i passi che ha fatto la Rivoluzione per la dignità del popolo, sino a tornare nei nostri campi e città al punto esatto della realtà sociale superata dal trionfo ribelle del 1959.

Cosa c’era dietro le luci al neon della Cuba degli anni ’50?

Dietro la scenografia commerciale correva il sangue dei crimini della dittatura batistiana delle istituzioni che servirono da modello per la repressione in America Latina, come il Burò per la repressione delle attività comuniste (BRAC), il Servizio d’Intelligenza Militare (SIM), il Servizio dell’Intelligenza Navale (SIN), la Polizia Marittima, il Burò delle Investigazioni e la Polizia Nazionale, vere accademie di tortura e morte.

L’Avana era un paradiso, sì, ma solo per le mafie del gioco, dell’ alcool, delle droghe e della prostituzione, un regno d’impunità che cresceva come «città del peccato», in parallelo a Las Vegas, con grandi vantaggi rispetto alla perla del Nevada.

Quello che avveniva a L’Avana restava a L’Avana. Qui non c’era un luogo frequentato senza un’offerta di droghe, un tavolo da gioco, un segnalatore e prostitute disponibili.

Con il denaro del paese si costruirono lussuosi hotels e casinò, i cui guadagni partivano ogni giorno per gli Stati Uniti. Era un «bisnes» rotondo grazie a Batista, l’uomo forte che sosteneva ogni formula di saccheggio del popolo con il fine di finanziare un affare sporco che non riportava alcuna utilità

Molte delle grandi opere pubbliche che oggi sono una base della propaganda contro Cuba, come mostra del successo di quella repubblica borghese, furono azioni di corruzione.

Il denaro lo dava lo Stato alle imprese di proprietà di figuri del regime che ricevevano milioni di pesos per progetti che costavano mille pesos.

Batista raccoglieva il 35 % di tutte le transazioni – tutte in assoluto –e i guadagni sporchi della corruzione.

LA TAZZA D’ORO

In quella Cuba «meravigliosa» migliaia di persone occupavano posti nei ministeri e ricevevano lo stipendio senza lavorare; era il famoso broglio detto «botella», istituito nella Repubblica, erano incarichi che si assegnavano come pagamenti di favori o come impegni di politicanti, etc.

Mentre la capitale si riempiva di casinò e hotels di sogno, cattedrali dell’inganno e dell’imbroglio, l’altra faccia della città mostrava una miseria dolorosa.

Si costruivano centinaia di cittadelle miseria. Las Yaguas, la Cueva del Humo e tante altre cittadelle dell’indigenza crescevano all’ombra delle nuove sontuose costruzioni.

Nel quartiere di Las Yaguas, come si può osservare nella rivista Bohemia, vivano molto male migliaia di famiglie in condizioni disumane, con ripari di foglie di palma, usate dall’ industria per avvolgere le foglie di tabacco, riciclate come pareti e tetti quando le fabbriche già le gettavano via

Ragazze contadine portate nella capitale con l’inganno, erano sfruttate nel famoso cinturone della prostituzione, che dava servizio agli hotels, ai casinò e ai cabaret.

Il paradiso insulare era di Meyer Lansky, Santo Trafficante, Amleto Battisti Lora, Joe Stassi, Amadeo Barletta e Fulgencio Batista; cinque capi, un presidente, tutti la stessa mafia.

Il siciliano Santo Trafficante, secondo capo del detto Impero de L’Avana, testa visibile negli affari della mafia statunitense in Cuba, con il suo quartiere generale nel cabaret Sans Souci, era, dagli anni ’30, l’incaricato di portare la cocaina da Medellín, in Colombia, e l’eroina da Marsiglia.

Per queste operazioni avevano fondato a Cuba compagnie aeree che operavano attraverso gli aeroporti militari, con staff e tecnici della forza aerea cubana, protetti dall’esercito e dalla polizia nazionale. L’Avana era, inoltre, il centro più importante per il lavaggio del denaro delle Americhe.

UN PAESE «SVILUPPATO»

Della Cuba che la controrivoluzione oggi s’affanna a presentare come «un paese sviluppato», il censimento del 1953 diceva chiaramente che il 68,5 % dei contadini viveva in capanne miserabili col tetto di foglie di palma e il pavimento di terra, l’ 85 % non aveva acqua corrente e il 54 % mancava dei servizi sanitari.

Solo l’11% delle famiglie consumava latte, il 4% carne e il 2% uova; il 44% non sapeva leggere e scrivere, e, secondo il Consiglio Nazionale d’Economia, 738000, nel 1958, persone erano disoccupate, su una popolazione di poco più di 6000000 di abitanti.

Quasi 3000000 di cubani non avevano la luce elettrica perché l’infrastruttura copriva solo il 56 % del paese.

Al trionfo della Rivoluzione c’erano 600000 bambini senza scuola e 10000 maestri senza lavoro. Un milione e mezzo di abitanti con più di sei anni non aveva alcun grado di scolarità e solo il 17% dei giovani tra i 15 e i 19 anni riceveva un tipo d’educazione. La popolazione con più di 15 anni aveva un livello d’educazione medio inferiore alla terza elementare.

Nelle città una persona su cinque non sapeva leggere e scrivere, nella campagna uno su due contadini era analfabeta e le poche scuole che esistevano erano abbandonate.

Si sfruttava solo il 20% della terra coltivabile mentre s’importava il 60% degli alimenti dagli USA.

Più della metà delle terre migliori del paese erano in mani straniere e le proprietà della United Fruit Company e della West Indian univano la costa nord alla costa sud dell’allora provincia d’Oriente.

LA CASA CHE ERA UN ESEMPIO PER L’AMERICA LATINA

Inter Press Service (IPS), aveva informato che quando la Rivoluzione aveva preso il potere «il settore della casa era gravemente deteriorato, per via del’enorme deficit delle abitazioni , le notevoli differenze tra la campagna e la città, la variabilità dei materiali usati, e l’esistenza di cordoni di povertà nelle principali città, soprattutto a L’Avana.

Uno studio del 1953, coordinato dall’Ufficio del Censimento degli Stati Uniti, aveva concluso che solo il 13 % delle case si poteva considerare buono.

Nella stessa capitale, da un lato c’era un bellissimo litorale con esclusive costruzioni della borghesia, lussuosi edifici d’appartamenti e fastose residenze, e dall’altro enormi zone di quartieri indigenti.

Le risorse idrauliche erano amministrate precariamente nelle condizioni di sottosviluppo economico che presentava Cuba.

Su 300 insediamenti con più di mille abitanti, solo 114 contavano la fornitura d’acqua via acquedotto e 12 con le fognature.

All’inizio del 1959, funzionavano 16 installazioni di disinfezione con cloro e quattro impianti per potabilizzare a Camagüey, Santa Clara, Palma Soriano e Cienfuegos, ma due avevano problemi per mancanza di prodotti chimici e una non funzionava da tre anni.

La fognatura a L’Avana era stata costruita circa 50 anni prima ed era insufficiente.

L’unico impianto di depurazione delle acque residuali, situato a Santa Clara, era abbandonato e le fognature di Holguín, Guantánamo e Pinar del Río erano in costruzione da diversi anni.

Nella nazione esistevano solo 13 piccoli laghi artificiali distribuiti a Camagüey, Las Villas, Holguín e Santiago di Cuba.

Questo inventario d’argomenti, ovviamente non conviene al commerciale che vogliono restaurare coloro che bramano il ritorno agli anni ’50, e agli ingenui che «inghiottono» l’ inganno e non diranno mai che la causa era la condizione di neocolonia yankee, una grande tenaglia che stringeva il paese ai livelli più indegni del sottosviluppo, la dipendenza, e alla mercé d’una satrapia di militari assassini, funzionari venali e mafiosi.

Non diranno nemmeno che la miserabile realtà che soffriva l’Isola profonda è stato quello che ha dato il calore di popolo all’insorgenza guerrigliera che fece tremare le montagne e sollevò il paese in una rivoluzione radicale.

Questa stessa Rivoluzione di oggi, invitta, eroica, in permanente resistenza, che aspira alla prosperità, ce la bloccano questi che desiderano la ricchezza e l’invocano al costo di vendere la nazione con tutto e con la dignità, come accadeva nei nostalgici ’50.

Pie de Foto: L’abbandono e la povertà della maggioranza dei contadini cubani sono stati uno dei problemi cronici che la Rivoluzione incontrò e dovette trasformare. 

 

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