Il preludio di Playa Girón alla luce del presente

Quel fatto, che commosse d’indignazione l’intero paese, segnò il preludio all’invasione di Playa Girón (Baia dei Porci).

Trascorsi più di sei decenni, il fatto mantiene piena validità, anche quando i detrattori della Rivoluzione, che appena due anni prima avevano sconfitto la dittatura di Fulgencio Batista (1952-1958), pretendano stendere un manto di oblio.

Quel giorno, quando il sole stava appena sorgendo, otto aerei da bombardamento B-26 provenienti da Puerto Cabezas, Nicaragua, si lanciarono sulle basi aeree di Ciudad Libertad e San Antonio de los Baños, in quella che allora era la provincia dell’Avana e Santiago de Cuba, nella parte orientale dell’isola.

Usando bombe ad alto potenziale esplosivo e razzi, gli aggressori pretendevano distruggere, a terra, il maggior numero possibile di navi dell’aviazione cubana.

Come poco dopo avrebbe spiegato il capo della Rivoluzione, Fidel Castro, «si trattò di un’operazione con tutte le caratteristiche e tutte le regole di un’operazione militare».

Assicurò che era il culmine di un’escalation di eventi –l’incendio di campi di canna, ripetute violazioni dello spazio aereo, attacchi pirati a centri economici– prima dell’aggressione armata diretta.

I bombardamenti provocarono la morte di 7 persone e 53 feriti, la maggior parte civili, per il mitragliamento dei quartieri dei dintorni di Ciudad Libertad, in questa capitale, oltre ai danni materiali, benché gli aggressori non riuscirono a distruggere tanti aerei come prevedevano.

Per gli aggressori, come si apprese in seguito, solo cinque B-26 ritornarono in Nicaragua, poiché uno fu abbattuto e altri due gravemente danneggiati dall’artiglieria cubana, uno dei quali atterrò a Cayo Hueso, USA, e l’altro finì nell’Isola di Grand Cayman.

Alla luce del presente, quegli eventi evidenziarono che le montature per ingannare l’opinione pubblica internazionale e quelle che ora vengono chiamate fake news non sono un’invenzione del XXI secolo.

Come dimostrato, gli aerei che attaccarono Cuba il 15 aprile 1961 erano mascherati con le insegne dell’aviazione cubana.

Per presentare, in modo più convincente, i fatti come una rivolta dei piloti cubani, un nono aereo era volato direttamente dal Nicaragua a Miami per simulare una diserzione.

L’agenzia United Press International (UPI), in un cablo datato Miami quel giorno, si è affrettò a dire che “piloti cubani fuggiti dall’aviazione di Fidel Castro, atterrarono in Florida con bombardieri della Seconda Guerra Mondiale dopo aver fatto saltare installazioni militari cubane”.

In termini simili affrontava la notizia anche la statunitense AP e come cassa di risonanza tutta la cosiddetta grande stampa internazionale dell’epoca riprodusse senza obiezioni la versione della presunta rivolta.

Intanto, all’ONU, davanti all’accusa dell’ambasciatore cubano Raúl Roa, sulla responsabilità del governo USA, il rappresentante di Washington, Adlai Stevenson, lanciò la stessa versione che “non furono USA gli aerei, furono aerei dello stesso (Fidel) Castro che decollarono dai suoi stessi campi di aviazione”.

Cuba chiese che fossero presentati pubblicamente i piloti e gli aerei che ipoteticamente avevamo disertato, cosa che ovviamente non avvenne.

Questa non sarebbe l’unica notizia distorta, poiché tra altre, alcuni cubani ricordano, già in corso l’invasione di mercenari, quella della “presa del porto di Bayamo”, divulgata da Radio Swan, una delle emittenti dell’epoca “specializzate” nell’attaccare Cuba, sebbene quella città nell’oriente dell’isola non abbia un porto.

La Storia si sarebbe incaricata di posizionare la verità al suo posto quando, qualche tempo dopo, il presidente John F. Kennedy riconobbe pubblicamente il coinvolgimento USA e si assunse la responsabilità della grossolana operazione forgiata dalla Central Intelligence Agency.

Gli eventi del 15 aprile furono il primo capitolo di ciò che sfociò quattro giorni dopo nel tremendo disastro della Baia dei Porci, che perdura come la prima e più famigerata sconfitta USA Uniti in America Latina.

La lezione per Washington fu chiara: qualsiasi avventura armata contro Cuba avrebbe poche o nessuna possibilità di successo e, di conseguenza, le tattiche dovevano essere modificate.

L’alternativa fu ricorrere a un blocco economico che impedisse lo sviluppo dell’isola, provocasse penurie e disperazione tra la popolazione per costringerla – pensavano e speravano ancora – a rovesciare il governo.

Questo, senza scartare in tutti questi anni minacce, azioni terroristiche di gruppi controrivoluzionari, la fabbricazione di “dissidenti” e campagne mediatiche di ogni tipo.

Quel blocco, decretato ufficialmente nel 1962 (sebbene i primi passi in quella direzione furono fatti molto prima dell’aprile 1961), permane non solo intatto, bensì convertito in legge e rafforzato dalle successive amministrazioni USA, tutte sorde al rifiuto della comunità internazionale.

Ma anche fino ad oggi, le parole di Fidel Castro sembrano continuare a risuonare nelle orecchie dei governanti nordamericani davanti a una inferocita folla di miliziani con le loro armi in alto, durante il discorso di commiato delle vittime dei bombardamenti, nell’emblematico angolo 23 e 12, a L’Avana: “Ciò che gli imperialisti non possono perdonarci è che siamo qui, ciò che gli imperialisti non possono perdonarci è la dignità, l’integrità, il coraggio, la fermezza ideologica, lo spirito di sacrificio e lo spirito rivoluzionario del popolo di Cuba”.

El preludio de Playa Girón a la luz del presente


El preludio de Playa Girón a la luz del presente

 

Aquel hecho, que removió de indignación a todo el país, marcó el preludio de la invasión de Playa Girón (Bahía de Cochinos).

Transcurridos más de seis décadas, el hecho mantiene plena vigencia, aun cuando los detractores de la Revolución que apenas dos años antes había derrotado a la dictadura de Fulgencio Batista (1952-1958) pretendan tender un manto de olvido.

Aquel día, cuando apenas el sol comenzaba a despuntar, ocho aviones de bombardeo B-26 procedentes de Puerto Cabezas, Nicaragua, se lanzaron sobre las bases aéreas de Ciudad Libertad y San Antonio de los Baños, en la entonces provincia de La Habana, y Santiago de Cuba, en el oriente de la isla.

Utilizando bombas de alto poder explosivo y cohetes, los agresores pretendían destruir en tierra la mayor cantidad posible de naves de la fuerza aérea cubana.

Como explicaría poco después el líder de la Revolución, Fidel Castro, “se trató de una operación con todas las características y todas las reglas de una operación militar”.

Aseguró que era la culminación de una escalada de hechos –quema de cañaverales, violaciones reiteradas del espacio aéreo, ataques piratas a centros económicos- previos a la agresión armada directa.

Los bombardeos se saldaron con la muerte de siete personas y 53 heridos, la mayoría civiles, por el ametrallamiento a barriadas de los alrededores de Ciudad Libertad, en esta capital, además de los daños materiales, aunque los atacantes no lograron destruir tantos aviones como esperaban.

Por los agresores, según se conoció después, solo cinco B-26 regresaron a Nicaragua, pues uno fue derribado y otros dos dañados seriamente por la artillería cubana, uno de los cuales aterrizó en Cayo Hueso, Estados Unidos, y el otro fue a parar a la isla Gran Caimán.

A la luz del presente, aquellos sucesos evidenciaron que los montajes para engañar a la opinión pública internacional y las ahora denominadas fake news no son un invento del siglo XXI.

Como quedó demostrado, los aviones que atacaron a Cuba el 15 de abril de 1961 estaban enmascarados con las insignias de la fuerza aérea cubana.

Para presentar de forma más convincente los hechos como una sublevación de pilotos cubanos, un noveno aparato había volado directamente desde Nicaragua a Miami para simular una deserción.

La agencia United Press Internacional (UPI), en un cable fechado en Miami ese día, se apresuró a decir que “pilotos cubanos que escaparon de la fuerza aérea de Fidel Castro, aterrizaron en la Florida con bombarderos de la Segunda Guerra Mundial tras haber volado instalaciones militares cubanas”.

En términos parecidos abordaba la noticia la también estadounidense AP y como caja de resonancia toda la denominada gran prensa internacional de la época reprodujo sin objeciones la versión de la supuesta sublevación.

Mientras, en las Naciones Unidas, ante la acusación del embajador de Cuba Raúl Roa, sobre la responsabilidad del gobierno de Estados Unidos, el representante de Washington, Adlai Stevenson, lanzó la misma versión de que “no fueron de Estados Unidos los aeroplanos, fueron aviones del propio (Fidel) Castro que despegaron de sus propios campos”.

Cuba exigió que fueran presentados públicamente los pilotos y aviones que presuntamente habían desertado, lo cual obviamente no ocurrió.

No sería esta la única noticia tergiversada, pues entre otras, algunos cubanos recuerdan, ya en marcha la invasión de mercenarios, aquello de la “toma del puerto de Bayamo”, divulgada por Radio Swan, una de las emisoras de la época “especializadas” en atacar a Cuba, aunque esa ciudad del oriente de la isla carece de puerto.

La Historia se encargaría de ubicar la verdad en su lugar cuando tiempo después el presidente John F. Kennedy reconoció públicamente la implicación norteamericana y cargó con la responsabilidad de la burda operación fraguada por la Agencia Central de Inteligencia.

Los sucesos del 15 de abril fueron el primer capítulo de lo que desembocó cuatro días más tarde en el tremendo descalabro de Bahía de Cochinos, que perdura como la primera y más sonada derrota de Estados Unidos en América Latina.

La lección para Washington fue clara: cualquier aventura armada contra Cuba tendría muy pocas o ninguna posibilidades de triunfar, y en consecuencia había que cambiar la táctica.

La alternativa fue apelar a un bloqueo económico que impidiera el desarrollo de la isla, provocara carencias y desesperación entre la población para compulsarla -pensaban y esperan todavía- a derrocar al gobierno.

Esto, sin desechar durante todos estos años amenazas, acciones terroristas de grupos contrarrevolucionarios, la fabricación de “disidentes” y campañas mediáticas de todo tipo.

Ese bloqueo, decretado oficialmente en 1962 (aunque los primeros pasos en esa dirección fueron dados mucho antes de abril de 1961), permanece no solo intacto, sino convertido en ley y reforzado por sucesivas administraciones estadounidenses, sordas todas al rechazo de la comunidad internacional.

Pero también hasta hoy parecen seguir resonando en los oídos de los gobernantes norteamericanos las palabras de Fidel Castro ante una enardecida multitud de milicianos con sus armas en alto, durante el discurso por la despedida de duelo de las víctimas de los bombardeos, en la emblemática esquina de 23 y 12, en La Habana: “Lo que no pueden perdonarnos los imperialistas es que estemos aquí, lo que no pueden perdonarnos los imperialistas es la dignidad, la entereza, el valor, la firmeza ideológica, el espíritu de sacrificio y el espíritu revolucionario del pueblo de Cuba».

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