Repressione, controllo del pensiero e omicidi nel Perù di Dina Boluarte

Julio Zamarròn

Con le stazioni di polizia del Paese sovraffollate di detenuti, oltre 65 morti a causa della repressione, decine di dispersi e più di mezzo migliaio di feriti gravi, la situazione in Perù si fa sempre più incandescente.  Nel contesto dei cortei che si stanno svolgendo giorno dopo giorno in tutto il Paese (soprattutto nella capitale e nel sud), la polizia carica e risponde alle proteste con grande durezza. I manifestanti chiedono le dimissioni di Dina Boluarte e una nuova assemblea costituente.

Come ormai consuetudine, le forze in divisa non rispettano la legalità: colpi diretti e ravvicinati al petto e alla testa, lancio di bottiglie e pietre contro i manifestanti, arresti arbitrari, manifestanti investiti con le moto e uso di puntatori laser. A tutto ciò si aggiunge l’uso di mezzi militari nella repressione attiva delle proteste.  Ma la più grave è l’evidente violazione dei diritti umani da parte delle forze dello Stato. Attacchi e arresti arbitrari nei pronto soccorso degli ospedali, fuoco vivo diretto contro i manifestanti, denunce di torture e abusi durante gli arresti, assalti armati alle università e assassinii di manifestanti pacifici.

Sebbene i primi morti siano caduti nelle zone rurali del sud, il governo Boluarte ha già ucciso il primo nella capitale Lima.

Il 28 gennaio, gli agenti di polizia hanno ucciso Victor Santiesteban Yacsavilca, 55 anni, con una granata lacrimogena direttamente alla testa, a meno di quattro metri dall’agente che aveva sparato. Victor è caduto nelle vie Abancay e Pierola a Lima, un luogo tristemente noto per la morte di Inti Sotelo e Bryan Pintado, sempre per mano della polizia, nel 2020, durante il governo di Manuel Merino.

Sebbene il governo di Boluarte e i media tradizionali sostengano che la causa della morte di Santiesteban sia stata l’impatto con un oggetto contundente, esistono video registrati dalle telecamere di sicurezza che smentiscono questa versione ufficiale e in cui si vede il colpo sparato dagli agenti della Polizia nazionale peruviana, oltre a diversi testimoni che hanno assistito agli eventi. Secondo un video pubblicato dal media peruviano Wayka sui social media, gli agenti di polizia hanno sparato un candelotto di gas lacrimogeno che ha colpito Santisteban.

D’altra parte, la persecuzione politica nel Perù di Dina Boluarte non sembra arrestarsi. I mezzi di comunicazione di massa e quelli controllati dal governo stanno conducendo una guerra contro tutto e chiunque potrebbe formulare un percorso alternativo o di dissidenza. Ad esempio, il processo ai 7 giovani leader sociali di Ayacucho (la maggior parte dei quali sotto i trent’anni) accusati di terrorismo solo perché erano i capi visibili della mobilitazione contro il governo. Sono già stati detenuti per più di 15 giorni, come consentito dalla legge peruviana, e sono in detenzione preventiva che può raggiungere i 18 mesi senza una sentenza definitiva. Un governo apparentemente cieco di fronte alla situazione sociale del Perù ha instaurato una procedura di repressione diffamatoria nei media e, cosa ancora più grave, imprigionando e intimidendo i leader sociali. Molte voci parlano già di dittatura e non c’è da stupirsi perché tutto quanto si discosta dalla linea ideologica dello Stato viene immediatamente bollato come terrorismo, in una pratica nota in Perù come “terruqueo”. Questa pratica consiste nello stigmatizzare i leader sociali e nell’allontanarli dalla protesta attraverso gravi accuse a cui vengono allegate richieste di lunghe condanne, di solito senza prove. Questa pratica è un attacco diretto alla libertà di espressione e di pensiero, come denunciato dal Comitato di coordinamento contro il ‘terruqueo’ nel suo rapporto alle Nazioni Unite, insieme a molte altre associazioni per i diritti umani.

Questa situazione, sostenuta dalla comunità internazionale che chiude gli occhi, pone il Perù lontano da quella che può essere considerata una vera democrazia. Il Perù ha quindi bisogno dell’intervento della comunità internazionale per concentrarsi sul rispetto dei diritti umani da parte del Congresso e del governo di Dina Boluarte.

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