Julian Assange imperdonabile per l’impero

José Dos Santos

La condanna virtuale di Washington del giornalista australiano, perseguitato da più di un decennio per aver rivelato al mondo i  panni sporchi dell’impero, è passata quasi inosservata.

Così ha riferito Patrick Martin sul portale WSWS: «Il giornalismo non è un crimine», dice Joseph Biden, fatta eccezione per Julian Assange.

Il giornalista ha così intitolato il suo reportage sulla cena annuale della White House Correspondents Association, “un’occasione per l’élite dei media ed i principali politici di Washington per chiacchierare e dichiarare la loro reciproca solidarietà”.

Spiega che in quel tradizionale incontro si suole riferirsi alla difesa del Primo Emendamento, che stabilisce la libertà di stampa, “sebbene questa disposizione costituzionale sia stata sistematicamente calpestata amministrazione dopo amministrazione nell’interesse dell’imperialismo USA”.

E aggiunge: “Lo spionaggio illegale del governo, la violenza della polizia e la violazione di precetti democratici basilari come la separazione tra Chiesa e Stato sono pratiche quotidiane negli USA, e sono spesso ignorati, in silenzio, dai media corporativi quando i loro propri interessi finanziari non si vedano pregiudicati».

Dure critiche a realtà ben note ma ignorate quando si tratta di salvaguardare i sacrosanti pilastri del sistema a cui rispondono.

Martin racconta che lo scorso sabato sera, a quella cena annuale, il presidente Biden e i membri riuniti dell’élite politica e mediatica “hanno finto di difendere la libertà di stampa, ma solo quando serve agli interessi della politica estera dell’imperialismo USA”.

Il giornalista precisa che la maggior parte delle apparizioni presidenziali alla cena – a cui hanno partecipato tutti i presidenti degli ultimi anni tranne Donald Trump – “sono state caratterizzate da commenti in cui prendevano in giro il pubblico, gli oppositori politici e i critici del presidente e lo stesso presidente”.

Biden ha dedicato la maggior parte del suo intervento a una lunga dichiarazione contro le misure repressive adottate contro i giornalisti in Russia, Cina, Iran, Siria e Venezuela, promettendo di dedicare gli sforzi diplomatici USA per ottenere il rilascio del giornalista del Wall Street Journal, Evan Gershkovich, recentemente arrestato in Russia con accuse di spionaggio e altri cittadini USA.

Martin osserva che fosse evidente la coincidenza tra “la lista dei paesi colpevoli di violazione della libertà di stampa e quella dei paesi presi di mira dall’imperialismo USA per le sue operazioni di sovversione e cambio di regime”.

Il caso più evidente di doppio standard è stato quello che coinvolge direttamente l’amministrazione Biden: la persecuzione di Julian Assange: “entro tre minuti dal suo intervento ai festeggiamenti…, Biden ha dichiarato: “Il giornalismo non è un crimine”. La formulazione sembrava una perversa riformulazione di una dichiarazione rilasciata da una mezza dozzina dei principali quotidiani mondiali, compreso il /New York Times/, lo scorso dicembre, quando hanno chiesto all’amministrazione Biden di ritirare le accuse contro Assange perché “pubblicare non è un delitto».

Martin sottolinea che, nella sua cronaca della cena dei corrispondenti, “né il Times, né il Washington Post, né altre pubblicazioni “mainstream” hanno fatto menzione alcuna di Assange o alla contraddizione tra la dichiarazione di fedeltà di Biden al Primo Emendamento e il continuo impulso della sua amministrazione per estradare e imprigionare Assange. Né alcun corrispondente o dirigente dei media, il grosso dei presenti alla cena, ha cercato di sollevare lì la questione”.

Ricorda che sette membri democratici del Congresso, compresi i cinque membri dei Democratic Socialists of America (DSA), hanno recentemente inviato una lettera al procuratore generale Merrick Garland, esortandolo a ritirare l’accusa contro Assange. Nessuno di questi rappresentanti ha cercato di sollevare la questione durante la cena dei corrispondenti, che ha avuto luogo appena quattro giorni prima della Giornata Mondiale della Libertà di Stampa (istituita dalle Nazioni Unite).

Il reportage continua: “Più avanti nel suo discorso, Biden ha adulato la stampa, dichiarando: “Voi rendete possibile che i cittadini comuni critichino l’autorità”. In realtà, i media aziendali USA hanno abbandonato addirittura un impegno simbolico con quella postura d’opposizione al governo USA”.

Afferma che “il Times, che stabilisce l’agenda per la copertura quotidiana dei media USA, è poco più che un’aggiunta alla CIA e al Pentagono su questioni di sicurezza nazionale, in particolare nella guerra in Ucraina”.

E approfondisce su quella pubblicazione affermando che quando l’aviatore della Guardia Nazionale e specialista informatico Jack Teixeira ha pubblicato documenti segreti del Pentagono su Internet, quel media “lo ha localizzato e ha pubblicato il suo nome, il che ha permesso all’FBI di intervenire e detenere il soldato di 21 anni solo poche ore dopo”.

L’elogio di Biden ai media USA e la sua dichiarazione di devozione al Primo Emendamento sono stati seguiti da una serie di battute ovvie e banali, in gran parte a spese di Fox News, oltre ad alcuni riferimenti alla sua  avanzata età, come se quello fosse l’unico problema che s’interpone alla sua campagna per la rielezione.

Non ha fatto alcuna menzione della guerra in Ucraina, che ogni giorno rischia di trasformarsi in uno scambio nucleare USA e Russia, né della pandemia di COVID, che continua ad essere una minaccia mortale per la popolazione mondiale.


Julian Assange imperdonable para el imperio

Por: José Dos Santos

 

Pasó casi inadvertida la sentencia virtual de Washington al periodista australiano perseguido desde hace más de una década por develarle al mundo sus trapos sucios.

Así lo reportó Patrick Martin en el portal WSWS: “El periodismo no es un delito”, dice Joseph Biden, salvo para Julian Assange.

El periodista titula así su reporte de la cena anual de la Asociación de Corresponsales de la Casa Blanca, “ocasión para que la élite de los medios de comunicación y los principales políticos de Washington charlen y declaren su solidaridad mutua”.

Expone que en esa tradicional cita se suele referir a la defensa de la Primera Enmienda, la que establece la libertad de prensa, “aunque esa disposición constitucional ha sido sistemáticamente pisoteada por administración tras administración en interés del imperialismo estadounidense”.

Y añade: “El espionaje ilegal del gobierno, la violencia policial y la violación de preceptos democráticos tan básicos como la separación de la Iglesia y el Estado son prácticas cotidianas en Estados Unidos, y los medios de comunicación corporativos suelen pasarlas por alto en silencio mientras sus propios intereses financieros no se vean perjudicados”.

Duras críticas a realidades bien conocidas pero ignoradas a la hora de resguardar los sacrosantos pilares del sistema al que responden.

Relata Martin que el pasado sábado por la noche, en esa cena anual, el presidente Biden y los miembros de la élite política y mediática reunidos “fingieron defender la libertad de prensa, pero sólo cuando sirve a los intereses de la política exterior del imperialismo estadounidense”.

Significa el reportero que la mayoría de las apariciones presidenciales en la cena —a la que han asistido todos los mandatarios de los últimos años excepto Donald Trump— “se han caracterizado por comentarios en los que se burlaban del público, de los oponentes políticos y críticos del presidente, y del propio presidente”.

Biden dedicó la mayor parte de su intervención a una larga declaración de su oposición a las medidas represivas adoptadas contra los periodistas en Rusia, China, Irán, Siria y Venezuela, y prometió dedicar los esfuerzos diplomáticos de Estados Unidos a conseguir la liberación del periodista del Wall Street Journal Evan Gershkovich, detenido recientemente en Rusia por cargos de espionaje, y de otros estadounidenses.

Observa Martin que era obvia la coincidencia entre “la lista de países culpables de violar la libertad de prensa y la de países en la mira del imperialismo estadounidense para sus operaciones de subversión y cambio de régimen”.

El caso más evidente de doble rasero fue uno que implica directamente a la Administración de Biden: la persecución de Julian Assange: “a los tres minutos de su intervención en los festejos…, Biden declaró: “El periodismo no es un delito”. La formulación parecía una perversa reformulación de una declaración emitida por media docena de los principales periódicos del mundo, incluido el /New York Times/, el pasado diciembre, cuando pidieron al gobierno de Biden que retirara los cargos contra Assange porque “publicar no es un delito”.

Martin destaca que, en su cobertura de la cena de corresponsales, “ni el Times ni el Washington Post ni ninguna otra publicación “mainstream” hicieron mención alguna a Assange o a la contradicción entre la declaración de fidelidad de Biden a la Primera Enmienda y el continuo impulso de su administración para extraditar y encarcelar a Assange. Tampoco ningún corresponsal o directivo de los medios de comunicación, el grueso de los asistentes a la cena, trató de plantear allí la cuestión”.

Recuerda que siete miembros demócratas del Congreso, incluidos los cinco miembros de los Socialistas Demócratas de Estados Unidos (DSA), enviaron recientemente una carta al fiscal general Merrick Garland, instándole a abandonar el enjuiciamiento de Assange. Ninguno de estos representantes trató de plantear la cuestión en la cena de corresponsales, que tuvo lugar sólo cuatro días antes del Día Mundial de la Libertad de Prensa (designado por las Naciones Unidas).

Continúa el reporte: “Más adelante en su discurso, Biden halagó a la prensa, declarando: “Vosotros hacéis posible que los ciudadanos de a pie cuestionen la autoridad”. En realidad, los medios corporativos estadounidenses han abandonado incluso un compromiso simbólico con esa postura de oposición al gobierno de Estados Unidos”.

Afirma que “el Times, que marca la agenda de la cobertura diaria en los medios de comunicación estadounidenses, es poco más que un adjunto de la CIA y el Pentágono en cuestiones de seguridad nacional, especialmente en la guerra de Ucrania”.

Y abunda sobre esa publicación al exponer que cuando el aviador de la Guardia Nacional y especialista en informática Jack Teixeira publicó en Internet documentos secretos del Pentágono, ese medio “lo localizó y publicó su nombre, lo que permitió al FBI intervenir y detener al soldado de 21 años sólo unas horas después”.

El elogio de Biden a los medios de comunicación estadounidenses y su declaración de devoción a la Primera Enmienda fueron seguidos de una serie de chistes obvios y banales, en gran parte a costa de Fox News, así como de algunas referencias a su avanzada edad, como si ése fuera el único problema que se interpone en su campaña de reelección.

No hizo ninguna mención a la guerra de Ucrania, que cada día amenaza con convertirse en un intercambio nuclear entre Estados Unidos y Rusia, ni a la pandemia de COVID, que sigue siendo una amenaza mortal para la población mundial.

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