Lawfare in Argentina. Assolta Cristina Kirchner

lantidiplomatico.it

Il giudice federale Sebastian Casanello ha ordinato l’archiviazione della vicepresidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner in un caso di presunto riciclaggio di denaro, il cosiddetto “La ruta del dinero K”.

Il magistrato ha seguito l’opinione del procuratore Guillermo Marijuán, che dopo dieci anni in cui ha avuto in mano il caso ha stabilito che non ci sono mai state prove contro l’ex presidente.

Nella sua sentenza, il giudice ha accolto “la richiesta dell’accusatore e titolare dell’azione penale”, cioè l’accusa, “di prosciogliere” l’ex presidente dalle accuse per cui era stata perseguita.

Ha ritenuto che “i requisiti di ragionevolezza e legalità” di questa richiesta fossero stati soddisfatti, e ha espresso la sua “soddisfazione” per aver rispettato “l’ordine legale” di analisi e interpretazione degli elementi del fascicolo, che, come rivelato la scorsa settimana, non forniva prove a sostegno delle accuse.

In altre parole, non è stata trovata alcuna prova che l’ex presidente abbia avuto a che fare con il riciclaggio di denaro per cui è stato condannato l’imprenditore Lázaro Báez.

In questo modo, il magistrato ha posto fine a un altro dei processi scandalosi contro Cristina Kirchner, in cui un settore della magistratura, di concerto con i media egemoni, ha fatto prevalere l’aspetto per così dire spettacolare, rispetto a prove concrete dei reati di cui era accusata l’ex presidente.

L’accusa sostenuta per anni si basava sia sulla sentenza di Marijuan sia sui rapporti dell’Amministrazione Federale delle Entrate Pubbliche (AFIP) e dell’Unità di Informazione Finanziaria (UIF), che smontavano le accuse della ONG querelente, di tendenza macrista (sostenitrice dell’ex presidente neoliberista Mauricio Macri) Bases Republicanas.

La sentenza

La sentenza di Casanello ha decretato “l’archiviazione di Cristina Elisabet Fernández (…) in relazione ai fatti per i quali è stata interrogata”. E ha dichiarato che “la formazione della presente indagine non intacca il buon nome e l’onore di cui avrebbe goduto”.

Nelle sue motivazioni, il giudice ha fatto eco al ritiro dell’atto di accusa contro CFK che Marijuan ha presentato il 24 maggio, con il quale ha chiuso l’indagine aperta sette anni fa e “dopo aver considerato esaurite le prove per determinare se l’ex presidente abbia partecipato alle operazioni di riciclaggio di denaro attribuite in questo caso a Lázaro Báez e al suo entourage”.

“Senza un’incriminazione, non è possibile alcun procedimento penale”, ha affermato Casanello nella sua memoria di tre pagine, in cui ha basato la sua decisione sulle motivazioni presentate una settimana fa dalla Procura.

Su questo punto, il testo ha adottato un criterio della Corte di Cassazione che difende l’operato del rappresentante della Procura nella fase dibattimentale per avanzare o meno verso la fase dibattimentale.

Per questo motivo, prosegue il testo, in assenza di un’accusa da parte del pubblico ministero, “la competenza del giudice è limitata” e “non può andare oltre la pretesa richiesta dall’accusa o soppiantare la missione punitiva dello Stato”.

“Di conseguenza, di fronte alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero e del titolare dell’azione penale (…), il compito del giudice si limita a esaminare i requisiti di ragionevolezza” di questa richiesta e non ad andare oltre, conclude il testo.

Non ci sono né accuse né prove

L’ennesima manovra di lawfare contro l’ex presidente si è conclusa in un nulla di fatto. Come ha ben riassunto il giornalista e scrittore argentino Raul Kollmann sul quotidiano Pagina|12: “Non ci sono né accuse né prove. Con questa semplice ma devastante conclusione, il giudice federale Sebastián Casanello ha ordinato l’archiviazione di Cristina Fernández de Kirchner nel caso denominato ‘La ruta del dinero K’. È successo che il procuratore Guillermo Marijuan ha cercato – all’epoca anche con l’aiuto dei fondi avvoltoio – conti esteri, società nascoste, beni non dichiarati della vicepresidente e non ha trovato nulla. Ha anche cercato di verificare se i beni di Lázaro Báez fossero intestati a qualche oscura società che potesse essere collegata ai Kirchner. Non ha trovato nulla. Ha fatto pozzi in Patagonia, ha scandagliato i muri delle case di Cristina e ha persino minacciato di fare irruzione nel mausoleo dove riposa Néstor Kirchner. E non ha ottenuto alcun risultato”.

D’altronde che si trattasse di una rozza manovra di lawfare per incastrare Cristina Fernandez era chiaro sin dall’inizio, come evidenzia nel suo articolo Kollmann: “Il fascicolo è iniziato come La ruta del dinero K a seguito del programma televisivo di Jorge Lanata nell’aprile 2013. L’indagine era incentrata su Báez ma, con una manovra, venne coinvolta Cristina Kirchner: il reo confesso Leonardo Fariña, scritturato dall’Agenzia Federale di Intelligence ‘Macrista’, raccontò ai giudici che il “suo capo”, Báez, gli disse di essere stato a Olivos con l’allora presidente e che lei gli disse che l’ambasciata statunitense a Buenos Aires le aveva rivelato che lui, Báez, portava soldi all’estero. Cristina avrebbe chiesto al costruttore se ciò fosse vero.

Sulla base di questa non testimonianza di un pentito, che non ha assistito a nulla, ma ha riferito che gli era stato detto, l’intero caso giudiziario è stato diretto contro l’ex presidente. Secondo quanto ammesso da Marijuan nel suo rapporto del 24 maggio, sono stati cercati soldi, conti e società appartenenti a CFK in Uruguay, Svizzera, Stati Uniti, Panama, Belize, Lichtenstein, Spagna, Seychelles, “tra gli altri Paesi”, ma senza alcun risultato. La procura e il resto delle agenzie del governo di Mauricio Macri hanno avuto l’aiuto dei fondi avvoltoio statunitensi, al punto che la Task Force argentina, che ha chiesto la resa del Paese nel contenzioso per una piccola parte del debito estero, ha persino fornito il nome di società a Panama, in Nevada e in Svizzera, che in alcuni casi erano collegate a Báez, soprattutto con i suoi due figli, mai con Cristina. La tattica degli avvoltoi era quella di estorcere denaro con presunte scoperte affinché l’ex presidente cedesse al pagamento di quanto richiesto da questi fondi.

Il sistema giudiziario argentino ha chiesto al governo statunitense se esistesse un presunto avvertimento da parte degli Stati Uniti all’ex presidente riguardo al denaro – 31 milioni di dollari – che Báez aveva portato in Svizzera. Washington non ha mai risposto e non ha mai fornito alcuna prova”.

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