Geraldina Colotti
Volgare, violento, dipinto a colori scuri. Il disegno satirico, diffuso dal fascismo venezuelano, mostra il vicepresidente del Psuv, Diosdado Cabello, impiccato a una corda. Il capitano lo ha fatto vedere durante la trasmissione Con el Mazo dando, provocando nel folto pubblico un moto di raccapriccio. Impossibile non ricordare quanto l’estrema destra abbia cercato di tradurre in pratica quel macabro disegno, rappresentando, oltre a Diosdado, tutte le più alte cariche della rivoluzione bolivariana, che si sono succedute nel corso di questi ultimi 25 anni.
Le stesse facce dal golpe contro Chávez del 2002, con quale new entry, ma per gli stessi scopi e identici interessi: tornare a mettere le mani sulle immense risorse del paese, che la rivoluzione bolivariana ha messo a disposizione del popolo. “È questa la pace di cui parlano”, ha detto Diosdado presentando in dettaglio lo svolgimento e i propositi delle cosiddette primarie. Un “evento” organizzato dalla parte più estremista dell’opposizione venezuelana, fuori dagli organi preposti dalla costituzione bolivariana. Un evento mediatico dal duplice scopo: mettere fuori gioco quella parte dell’opposizione che ha sottoscritto con il governo il recente accordo firmato alle Barbados, e convincere i padrini Usa a riattivare, questa volta al femminile, la farsa dell’”autoproclamazione”, ampiamente fallita nella versione “Guaidó”.
Con video e testimonianze, il capitano ha mostrato l’entità della frode, denunciata anche da numerose voci provenienti dalla stessa “commissione nazionale della primaria”, che ha proclamato vincitrice la quasi unica candidata, Maria Corina Machado: “con oltre il 90% dei voti”, si sono affannati a enfatizzare i media internazionali, presentandola come la “rappresentante anti-Maduro” in corsa per la presidenza, alle prossime elezioni del 2024.
Una corsa che, però, data l’inabilitazione per 15 anni dovuta ai suoi trascorsi golpisti, è destinata a finire su un binario morto, e dimostra solo il reiterato disprezzo di queste frange per le istituzioni elette dal popolo. In tutte le democrazie borghesi che tanto agognano, i crimini che commettono i golpisti venezuelani sarebbero puniti con l’ergastolo o con lunghe condanne, mentre nella Repubblica bolivariana devono essere considerate bazzecole da cancellare con un tratto di penna per permettere loro di ricominciare a tessere la prossima trama.
Per loro, che preferiscono anteporre la bandiera nordamericana a quella nazionale, o cancellare l’ottava stella dal tricolore, valgono ancora le parole pronunciate da Kissinger cinquant’anni fa, dopo la vittoria elettorale del socialista Salvador Allende in Cile. Torniamo a ricordarle: “Non vedo alcuna ragione per cui a un paese dovrebbe essere permesso di diventare marxista soltanto perché il suo popolo è irresponsabile – disse -. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli”.
Lo schema, proposto al femminile in Venezuela e rilanciato dai media internazionali, è il medesimo che abbiamo visto agitare la scena in Cile, in Ecuador, in Argentina, e in Europa: personaggi torvi, cercano di aggirare i giovani e i settori popolari, provati dalle conseguenze di una situazione che proprio le politiche da loro invocate, mediante aggressioni, ingerenze e “sanzioni”, hanno provocato.
Machado ha dedicato la sua “vittoria” ai militari. Il gruppo di alti ufficiali presenti al Mazo (la promozione Gran Mariscal de Ayacucho) che salutavano con deferenza “il Capitano” pur avendo il grado di generali, ha però mostrato di aver ben presente la trappola filo-atlantica, e di percepirsi come esercito del popolo, parte integrante dell’unione civico-militare creata da Chávez.
Al programma di Diosdado era presente anche il presidente dell’Assemblea, Jorge Rodriguez, che è anche il capo delegazione al tavolo di dialogo con l’opposizione. Brillanti e ironici, i due dirigenti chavisti hanno mostrato l’entità della frode compiuta, la percentuale reale dei votanti – il 3% – e le affermazioni grottesche smentite dai numeri. Una truffa che sta avendo un seguito legale, portato avanti dal Procuratore generale, Tareck William Saab. Il giorno dopo, Rodriguez ha illustrato la realtà delle “primarie” ripercorrendone tappe e incongruenze davanti al Corpo diplomatico presente nel paese.
Citando l’incontro avuto da alcuni di loro con Machado, ha invitato ambasciatori e incaricati d’affari a non interferire con gli affari interni del Venezuela: “Il tempo delle autoproclamazioni e delle ingerenze è finito”, ha detto contestando la versione di comodo fornita dall’opposizione, che ha ripetutamente rifiutato di servirsi del Cne, unico organismo abilitato per organizzate le elezioni, come concordato da uno dei punti dell’accordo alle Barbados. I partiti – ha ricordato Jorge – non sono strutture private, le elezioni non possono svolgersi nel bagno di una casa privata, ma devono presentare precise garanzie di trasparenza e riscontro, totalmente assenti in queste “primarie”.
Un processo, ha argomentato, che non può essere considerato una elezione, giacché non conta con meccanismi che permettano di verificarne l’affidabilità. Poi, il presidente del Parlamento ha invitato i presenti a immedesimarsi nella situazione. Immaginate – ha detto – se in un’elezione dei vostri paesi, un candidato contestasse i risultati e chiedesse di ricontare i voti, com’è accaduto in passato da noi, e risultasse che le schede elettorali sono state bruciate. Quindi, Rodriguez si è detto disposto a invitare alla verifica qualunque organismo internazionale, “naturalmente accompagnato dal Cne e dal Tribunal Supremo Elettorale”: perché le istituzioni bolivariane sono solide, e lo hanno dimostrato mettendosi permanentemente a verifica durante questi 25 anni di rivoluzione.