La dinamica geopolitica latinoamericana nel 2023: un bilancio

Sair Sira

Dalla prospettiva della geopolitica critica, i fenomeni geopolitici, quelli che mettono in relazione potere e spazio, non sono immobili o fissi, bensì presentano tratti storici e contestuali che finiscono per caratterizzarsi in uno specifico asse spazio-temporale, fornendo una visione più ampia basata sulle circostanze socio-spaziali e tecno-territoriali che hanno dato loro vita.

Facciamo questa precisazione, se si vuole teorica, perché durante quest’anno 2023, che sta per concludersi, il mondo, ma in particolare la regione dell’America Latina e dei Caraibi, ha visto risorgere conflitti e tensioni che si credevano superati e il raffreddamento o la distensione in altri che si credevano irrealizzabili.

In questo senso, nessuno avrebbe immaginato che la ricetta dell’ortodossia neoliberale tornasse ad essere applicata come si sta applicando in Argentina, con l’insediamento di Javier Milei, o che fosse possibile pensare, un anno e mezzo fa, che, sulla base di dialoghi diretti tra Caracas e Washington, si potesse negoziare la concessione di licenze che permettessero al Venezuela di esportare il suo petrolio senza alcune delle restrizioni imposte dalle sanzioni USA.

Quindi, se il 2023 è stato un anno movimentato per l’America Latina e i Caraibi sul piano politico e geopolitico, ciò lascia prevedere che il prossimo 2024 non sfuggirà a questa logica, mostrandosi particolarmente dinamico nel mezzo della disputa mondiale che finisce per condizionare e contestualizzare le dinamiche nazionali, regionali e mondiali.

IL RITORNO DELLE DESTRE IN AMERICA LATINA E CARAIBI

 

Sebbene parlare delle categorie destra e sinistra risulti, oggi, confuso a causa della sovrapposizione e delle logiche pro mercato che hanno preso il controllo della politica, ciò che impone che siano categorie che debbano essere problematizzate in profondità, si riscatta la prospettiva utilizzata da Norberto Bobbio nel suo testo Destra e Sinistra, caratterizzando la prima come più incentrata sulla visione individuale della difesa della libertà e la seconda più incentrata sugli aspetti collettivi della difesa dell’uguaglianza.

Senza cadere in profondizzazioni teoriche né in clichés che finiscono per offuscare l’analisi (non ogni partito che si chiami socialista è un partito di sinistra), nell’attuale contesto latinoamericano e caraibico intendiamo per governo di destra quelli che promuovono la riproduzione dell’attuale sistema di dominio che approfondisce la disuguaglianza e che si esprime nell’applicazione dell’ortodossia neoliberale: riduzione al minimo dello Stato (privatizzazione e deregolamentazione dei mercati), iper-individualismo e allineamento della classe politica dirigente con gli interessi geopolitici occidentali (leggasi gli USA).

Recentemente, in Ecuador e Argentina abbiamo assistito all’assunzione da parte dei governi di detti paesi di opzioni chiaramente identificate con la descrizione antecedente.

Nel caso dell’Ecuador, il presidente Daniel Noboa è l’erede dell’oligarchia agraria del paese, dietro di lui c’è una delle famiglie più potenti, proprietaria della società Exportadora Bananera Noboa, che ha beneficiato di legami politici e leggi create appositamente per proteggere gli interessi capitalisti. Anche se il suo mandato durerà solo poco più di un anno e mezzo, si prevede che le politiche a favore della riduzione dello Stato e della confisca dei diritti, soprattutto di quelli lavorativi, proseguiranno nei prossimi mesi.

In Argentina, l’alleanza tra la destra tradizionale rappresentata da Mauricio Macri e l’estrema destra di Javier Milei ha ottenuto una clamorosa vittoria lo scorso novembre, dando inizio a un nuovo ciclo neoliberale con le conseguenze sociali ed economiche già viste in precedenza a quelle latitudini. Il materializzarsi di una megasvalutazione, di licenziamenti massicci, di privatizzazioni e, cosa ancora più eclatante, di criminalizzazione della protesta sociale pochi giorni dopo aver preso possesso della Casa Rosada ci permette prevedere gli anni di conflitto politico-sociale che attendono la nazione del sud. E’ rimasto alle spalle non già il ricordo di Menem, 25 anni fa, bensì l’amara esperienza neoliberale che Macri ha rappresentato solo un mandato presidenziale fa.

Questo paio di esempi e altre possibilità che potrebbero aggiungersi negli anni a venire, come quella di José Antonio Kast Rist in Cile, deve invitarci a una profonda riflessione focalizzata non già sull’ideologia o sul programma dei partiti o movimenti politici che si confrontano di volta in volta nelle elezioni, bensì piuttosto nella tiepidezza e disconnessione della classe politica rispetto alle esigenze degli/lle elettori/trici che si mostrano a partire dalla noia prodotta da una situazione del genere, disposti a votare per qualsiasi tipo di cambio che modifichi la loro precaria situazione attuale, acquistando qualsiasi tipo di soluzione.

Un caso particolare è il ruolo che giocano i media nel promuovere queste dirigenze di destra e di estrema destra, purché permettano di minare qualsiasi opzione che possa rappresentare un cambio, sostanziale o meno, dello status quo imperante. La verità è che la tanto decantata alternanza, pilastro della democrazia liberale, in materia di indicatori, ciò che sta generando sono cicli di progressi e arretramenti, soprattutto a livello socioeconomico, da cui risulterà difficile uscire, senza le nefaste conseguenze per i paesi in cui si verifica.

L’INTEGRAZIONE REGIONALE RESTA UN COMPITO IN SOSPESO

 

Si è parlato molto del ritorno della cosiddetta “ondata progressista”, iniziata con le vittorie elettorali di Andrés Manuel López Obrador in Messico e Alberto Fernández in Argentina, e che avrebbe trovato nei trionfi di Gustavo Petro in Colombia e Lula da Silva in Brasile pochi mesi fa, avrebbe dato la spinta finale per far esplodere un rilancio di un qualche processo di integrazione che avrebbe rafforzato la posizione della regione come blocco geopolitico, geoeconomico e persino geostorico sulla scena internazionale.

Tuttavia, tale evento non si è verificato; al di là della volontà politica che ogni iniziativa di integrazione deve avere, non si osserva nella regione l’impulso economico capace di stimolare e finanziare, attraverso iniziative pubbliche o private, quei progetti congiunti che permettano di superare il momento meramente discorsivo visto nel corso del 2023.

Forse pensando dal Sud America, il chiamato a guidare questo processo sarebbe il Brasile, sapendo che a Planalto c’è Lula, che ha mostrato segni di impegnarsi per l’integrazione regionale e che ad un certo punto ha guidato insieme ad altri paesi (Venezuela e Argentina) il consolidamento dell’intero assetto istituzionale dell’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR).

Tuttavia, Lula è più interessato a recuperare gli indicatori economici crollati durante l’amministrazione di Jair Bolsonaro e a rafforzare la posizione interna del Partito dei Lavoratori e le alleanze politiche interne che gli hanno permesso di vincere le elezioni nel 2022. Tali condizioni fanno sì che la politica internazionale della regione non sembra essere redditizia, al di là degli sforzi compiuti quest’anno convocando un incontro dei presidenti del Sud America (Brasília Consensus nel maggio 2023) e rilanciando il Trattato di Cooperazione Amazzonica e la sua organizzazione OTCA, quest’ultimo di particolare interesse geopolitico per il Brasile perché rappresenta oltre il 50% del polmone vegetale del pianeta.

L’esposizione internazionale che avrà luogo in Brasile il prossimo 2024, quando assumerà la presidenza pro-tempore del G20 e molto probabilmente organizzerà il vertice BRICS e la COP30 per il 2025, consentirà, ancora una volta, al presidente Lula di assumere parte della dirigenza regionale in forma  molto più attiva cercando di collegare la regione in questi importanti spazi geopolitici.

VENEZUELA, IL BLOCCO E L’ESEQUIBO

 

In Venezuela abbiamo assistito, nel corso di quest’anno 2023, ad un processo di sblocco, tra il governo di Nicolás Maduro e l’amministrazione di Joe Biden, che è sfociato in un parziale e temporaneo allentamento delle sanzioni petrolifere che gravano sul Venezuela, influenzato dal comportamento energetico mondiale dopo l’operazione militare speciale russa in Ucraina e il genocidio israeliano a Gaza, che hanno destabilizzato l’Asia occidentale.

Questo movimento tipico della dinamica geopolitica, anche se può aver colto di sorpresa più di una persona, è un ulteriore esempio di come interessi specifici determinano e delineano il comportamento dei poteri in base ai loro interessi. Ciò non dovrebbe significare, nel caso del Venezuela, cadere nel discorso trionfalista che pretende porre fine al regime di sanzioni contro il paese; al contrario, si intende dimostrare l’elasticità della posizione USA quando si tratta dei loro interessi.

Ricordiamo che le misure annunciate rappresentano esenzioni o licenze effettuate sulla base di ordini esecutivi che ancora persistono contro il Paese. Di conseguenza, non c’è una revoca delle sanzioni per i settori menzionati in tali licenze. Per restituire la libertà economica e commerciale strappata al Venezuela, è necessario devono essere abrogati tutti gli ordini esecutivi imposti dal 2015, così come la legislazione che ne costituisce la base giuridica.

Al di là del discorso che pretende legare la concessione di tali licenze all’accordo politico mantenuto dal governo e da alcuni settori dell’opposizione, la verità è che il ritorno del greggio venezuelano sul mercato mondiale dell’energia dà tranquillità e stabilità, che è molto rilevante nella situazione attuale. Apparentemente tutto indica che nel 2024 le cose rimarranno le stesse di quanto accade alla fine del 2023, con  limitate operazioni petrolifere del Venezuela con un importante impatto sul mercato energetico mondiale.

Altro accade accade con la disputa territoriale su Essequibo, con la quale abbiamo assistito ad un’escalation insolita, spiegabile solo con le implicazioni che la transnazionale dell’energia ExxonMobil mantiene in acque ancora da delimitare a causa dell’irrisolta controversia sul confine tra Venezuela e Guyana. Tuttavia, dopo i risultati del referendum consultivo in cui si è ottenuto che la Repubblica Cooperativa tornasse al tavolo delle trattative con il Venezuela, nonostante il suo ripetuto e pubblico rifiuto di farlo, lo scorso 14 dicembre entrambi i presidenti si sono incontrati a San Vicente e las Granadinas sotto sotto gli auspici della Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC) e della Comunità dei Caraibi (CARICOM).

Senza avere ben chiaro l’esito del contenzioso, fondamentalmente per le posizioni divergenti della Guyana (che unilateralmente ricorre alla Corte Internazionale di Giustizia) e del Venezuela (che punta al dialogo bilaterale attraverso l’Accordo di Ginevra), la verità è che, per entrambi i paesi, così come per la regione e il mercato internazionale dell’energia, la de escalation e stabilizzazione regionale rappresenta l’opzione migliore.

L’impegno del Venezuela e l’opzione più praticabile per la regione e il mercato internazionale, in questo contesto, deve continuare a far pressione per la soluzione negoziata a livello bilaterale con la Guyana, ignorando qualsiasi giurisdizione di organismi internazionali non contemplati dall’Accordo di Ginevra, compresa la Corte Internazionale di Giustizia e sostenendo il ritorno allo status quo rappresentato dal documento del 1966.

Questo tema, insieme a quelli prospettati anteriormente, segnerà l’agenda regionale e nazionale per lo sviluppo di un anno 2024 che appare impegnativo di fronte all’attuale contesto di controversia in tutte le aree che assistiamo a livello internazionale, regionale e nazionale.


LA DINÁMICA GEOPOLÍTICA LATINOAMERICANA EN 2023: UN BALANCE

Sair Sira

Desde la perspectiva de la geopolítica crítica, los fenómenos geopolíticos, aquellos que relacionan el poder y el espacio, no son inmóviles o fijos, sino que presentan rasgos históricos y contextuales que terminan siendo caracterizados en un eje espacio-temporal específico, otorgando una visión más amplia con base en las circunstancias socio-espaciales y tecno-territoriales que les dieron vida.

Hacemos esta aclaratoria, si se quiere teórica, porque durante este año 2023 próximo a finalizar, el mundo, pero en particular la región latinoamericana y caribeña, ha visto el resurgir de conflictos y tensiones que se pensaban superadas y el enfriamiento o distensiones en otros que se creían irrealizables.

En este sentido, nadie hubiese imaginado que la receta de la ortodoxia neoliberal volviese a ser aplicada como se está aplicando en Argentina, con la asunción de Javier Milei, o que fuese posible pensar hace año y medio que, a partir de diálogos directos entre Caracas y Washington, se pudiera haber negociado la concesión de licencias que le permitiesen a Venezuela exportar su petróleo sin algunas de las restricciones que le imponen las sanciones estadounidenses.

Así, si el año 2023 fue un año movido para América Latina y El Caribe en materia política y geopolítica, ello permite prever que el próximo 2024 no escapará de esta lógica, mostrándose particularmente dinámico en medio de la disputa mundial que termina condicionando y contextualizando las dinámicas nacionales, regionales y mundiales.

EL REGRESO DE LAS DERECHAS EN AMÉRICA LATINA Y EL CARIBE

Si bien hablar de las categorías derecha e izquierda resulta confuso en la actualidad por el solapamiento y las lógicas promercado que tomaron el control de la política, lo que exige que sean categorías que deban ser problematizadas a profundidad, se rescata la perspectiva que emplea Norberto Bobbio en su texto Derecha e Izquierda, al caracterizar a la primera como más enfocada en la visión individual de la defensa de la libertad y la segunda más enfocada en aspectos colectivos de la defensa de la igualdad.

Sin caer en profundizaciones teóricas ni en clichés que terminan nublando el análisis (no todo partido que se llame socialista es un partido de izquierda) en el contexto actual latinoamericano y caribeño entendemos por gobierno de derecha a los que promueven la reproducción del sistema actual de dominación que profundiza la desigualdad y que se expresa en la aplicación de la ortodoxia neoliberal: reducción al mínimo del Estado (privatizaciones y desregulación de los mercados), hiperindividualismo y alineamiento de la clase política dirigente con los intereses geopolíticos occidentales (léase Estados Unidos).

Recientemente, en Ecuador y en Argentina presenciamos la asunción a los gobiernos de dichos países de opciones claramente identificadas con la descripción anterior.

En el caso de Ecuador, el presidente Daniel Noboa es heredero de la oligarquía agraria del país, detrás de él está una de las familias más poderosas, propietaria de la empresa Exportadora Bananera Noboa, que se ha beneficiado de conexiones políticas y leyes creadas específicamente para proteger los intereses capitalistas. Si bien su mandato será solo de poco más de año y medio, las políticas en favor de la reducción del Estado y la confiscación de derechos, sobre todo laborales, se prevé será un continuo en los próximos meses.

En Argentina la alianza entre la derecha tradicional representada por Mauricio Macri y la ultraderecha de Javier Milei consiguieron una contundente victoria el pasado mes de noviembre, dando inicio a un nuevo ciclo neoliberal con las consecuencias sociales y económicas ya vistas anteriormente en esas latitudes. La materialización de una megadevaluación, los despidos masivos, las privatizaciones y, más llamativa aún, la criminalización de la protesta social a solo días de haber tomado posesión de la Casa Rosada permite prever los años de conflictividad política-social que le esperan a la nación sureña. Atrás quedó ya no el recuerdo de Menem hace 25 años, sino la amarga experiencia neoliberal que representó Macri hace apenas un periodo presidencial.

Este par de ejemplos y otras posibilidades que se pudieran sumar en los años por venir, como el de José Antonio Kast Rist en Chile, debe llamarnos a una profunda reflexión enfocada ya no en la ideología o en el programa de los partidos o movimientos políticos que se enfrentan cada cierto tiempo en las elecciones, sino más bien en la tibieza y la desconexión de la clase política con las necesidades de las y los electores que se muestran a partir del hartazgo producido por tal situación, dispuestos a votar por cualquier tipo de cambio que modifique su precaria situación actual, comprando cualquier tipo de soluciones.

Caso particular es el papel que juegan los medios de comunicación en promover esos liderazgos de derecha y extrema derecha, siempre y cuando posibiliten dinamitar el camino de cualquier opción que pudiera representar un cambio, sustancial o no, del statu quo imperante. Lo cierto es que la tan cacareada alternancia, pilar de la democracia liberal, en materia de indicadores lo que está generando son ciclos de avances y retrocesos, sobre todo a nivel socio-económico, del que resultará difícil salir, sin las consecuencias nefastas para los países donde ocurre.

LA INTEGRACIÓN REGIONAL SE MANTIENE COMO TAREA PENDIENTE

Mucho se habló de que el regreso de la llamada “ola progresista” iniciada con las victorias electorales de Andrés Manuel López Obrador en México y Alberto Fernández en Argentina, y que encontraría en los triunfos de Gustavo Petro en Colombia y de Lula da Silva en Brasil hace pocos meses, daría el impulso final para detonar un relanzamiento de algún proceso de integración que fortaleciera la posición de la región como bloque geopolítico, geoeconómico y hasta geohistórico en el concierto internacional.

No obstante, tal acontecimiento no ha ocurrido; más allá de la voluntad política que toda iniciativa de integración debe tener, no se observa en la región el impulso económico capaz de estimular y financiar, a través de iniciativas públicas o privadas, esos proyectos conjuntos que permitan superar el momento meramente discursivo visto durante 2023.

Quizá pensando desde Sudamérica, el llamado a liderar ese proceso sería Brasil, a sabiendas de que en Planalto se encuentra Lula, quien ha dado muestras de estar comprometido con la integración regional y que en algún momento lideró junto con otros países (Venezuela y Argentina) la consolidación de toda la institucionalidad de la Unión de Naciones Suramericanas (Unasur).

No obstante, Lula se muestra más interesado en recuperar los indicadores económicos venidos abajo durante la administración de Jair Bolsonaro y en fortalecer la posición interna del Partido de los Trabajadores y las alianzas políticas internas que le permitieron ganar las elecciones en 2022. Tales condiciones hacen que la política internacional de la región no se muestre redituable, más allá de los esfuerzos que realizara este año convocando una reunión de presidentes de Sudamérica (Consenso de Brasilia en mayo de 2023) y relanzando el Tratado de Cooperación Amazónico y su organización OTCA, siendo este último de especial interés geopolítico para Brasil por representar más de 50% del pulmón vegetal del planeta.

La exposición internacional que tendrá Brasil el próximo 2024, cuando le toque asumir la presidencia pro-témpore del G20 y muy probablemente organizar la cumbre de los BRICS y la COP30 para el año 2025, le permitirá de nuevo al presidente Lula asumir parte del liderazgo regional de forma mucha más activa tratando de vincular la región en estos espacios geopolíticos de importancia.

VENEZUELA, EL BLOQUEO Y EL ESEQUIBO

En Venezuela hemos presenciado durante este año 2023 un proceso de destrabamiento, entre el gobierno de Nicolás Maduro y la administración de Joe Biden, que ha desembocado en una flexibilización parcial y temporal de las sanciones que en materia petrolera pesan sobre Venezuela, influenciado por el comportamiento energético mundial después de la operación especial militar rusa en Ucrania y el genocidio israelí en Gaza, desestabilizando Asia Occidental.

Este movimiento propio de la dinámica geopolítica, si bien pudo tomar desprevenido a más de uno, es muestra una vez más de cómo los intereses puntuales van determinando y delineando el comportamiento de las potencias según sus intereses. Esto no debería significar, para el caso de Venezuela, caer en el discurso triunfalista que pretende posicionar la finalización del régimen de sanciones contra el país, por el contrario, lo que pretende es evidenciar la elasticidad de la posición estadounidense cuando de sus intereses se trata.

Recordemos que las medidas anunciadas representan exenciones o licencias realizadas sobre las bases de las órdenes ejecutivas que aún persisten contra el país. En consecuencia, no hay un levantamiento de sanciones sobre los sectores mencionados en tales licencias. Para restituir la libertad económica y comercial que le fue arrebata a Venezuela, deben ser derogadas todas las órdenes ejecutivas que se impusieron desde el año 2015, así como la legislación que otorga la base jurídica para las mismas.

Más allá del discurso que pretende amarrar el otorgamiento de dichas licencias al acuerdo político que el gobierno y algún sector de las oposiciones mantenga, lo cierto es que el retorno del crudo venezolano al mercado mundial de energía le otorga una tranquilidad y estabilidad al mismo, que es muy apreciable en la actual coyuntura. Al parecer todo indica que en 2024 se mantendrán las cosas tal cual como viene ocurriendo al final de este 2023, operaciones limitadas de Venezuela en materia petrolera con una incidencia importante en el mercado energético mundial.

Otra cosa ocurre con el diferendo territorial sobre el Esequibo, con el que asistimos a un escalamiento inusitado, solo explicado por las implicaciones que la transnacional energética ExxonMobil mantiene en aguas aún por delimitar a causa de la controversia limítrofe sin resolver que mantienen Venezuela y Guyana. No obstante, luego de los resultados del referéndum consultivo en donde se logró que la República Cooperativa volviese a la mesa de negociación con Venezuela, a pesar de su reiterada y pública negativa a hacerlo, el pasado 14 de diciembre ambos mandatarios se encontraron en San Vicente y las Granadinas bajo los auspicios de la Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (Celac) y la Comunidad del Caribe (Caricom).

Sin tener claridad sobre el desenlace de la disputa, fundamentalmente por las posiciones divergentes de Guyana (quien unilateralmente acude a la Corte Internacional de Justicia) y de Venezuela (que apuesta al diálogo bilateral a través del Acuerdo de Ginebra), lo cierto es que, tanto para ambos países, como para la región y el mercado internacional de energías, el desescalamiento y estabilización regional es la mejor opción.

La apuesta de Venezuela y la opción más viable para la región y el mercado internacional, en este contexto, debe seguir presionando por la solución negociada a nivel bilateral con Guyana, desconociendo cualquier jurisdicción de instancias internacionales no contempladas en el Acuerdo de Ginebra, incluyendo la Corte Internacional de Justicia y abogando por un regreso al status quo que representaba el documento de 1966.

Este tema, junto con los planteados anteriormente, estará marcando la agenda regional y nacional de cara al desarrollo de un año 2024 que se muestra desafiante ante el contexto actual de disputa en todos los ámbitos que asistimos internacional, regional y nacionalmente.

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