La Uniòn Soviètica en la crisis de los misiles. Sandra Ramos Martìnez

Marco Pondrelli

Oltre ad essere una recensione questo è anche un appello: ci auguriamo che il bel libro di Sandra Ramos Martìnez possa essere presto tradotto e pubblicato in Italia. La ricercatrice spagnola affronta la crisi dell’ottobre ’62, due sono i motivi che rendono interessante il libro: il primo lo chiarisce l’Autrice nelle conclusioni, la situazione attuale in Ucraina ricorda da vicino (seppure a parti invertite) quello che successo a Cuba, il secondo motivo di interesse è la scelta di analizzare il punto di vista sovietico.

Anche il cinema ci ha regalato un’interpretazione della crisi dei missili con un bel film uscito nel 2000 ‘Thirteen Days’, si trattava però di una ricostruzione interna all’Amministrazione statunitense, in questo caso il lavoro di Sandra Martìnez oltre ad avere un indubbio spessore scientifico spiega il perché delle scelte sovietiche, leggendo gli avvenimenti da una ‘prospettiva relativamente poco conosciuta e studiata’ [pag. 5].

Il libro inizia con uno sguardo sull’Unione Sovietica del dopo Stalin, concentrandosi in particolare sulla figura del nuovo leader sovietico Nikita Krusciov. I due leader, Krusciov e Kennedy, si incontrarono di persona per la prima e l’ultima volta a Vienna il 18 aprile 1961. Per Kennedy, come lui stesso ammise, fu una grande umiliazione, Krusciov era un politico capace che mise in difficolta in giovane e inesperto Presidente statunitense, il leader sovietico non di meno pur definendo Kennedy ‘debole’ ne riconobbe l’intelligenza’ [pag. 23].

La politica estera sovietica non si limitò a questo, l’idea che stava prendendo forma in quegli anni era quella della ‘coesistenza pacifica’, la forza del sistema socialista e le contraddizioni interne al capitalismo avrebbe prodotto l’avanzata del forze del progresso, senza il ricorso al conflitto armato. Sembra contraddittoria questa scelta con la decisione di armare Cuba con testate nucleari. Le radici di questa scelta sono però il prodotto di molti avvenimenti non sempre conosciuti o, a volte, volutamente taciuti.

Proviamo a esaminare velocemente questi avvenimenti: il primo fu la tentata invasione di Cuba, il piano predisposto da Eisenhower venne attuato nei primi mesi dell’Amministrazione Kennedy e fu, assieme al vertice di Vienna, la seconda bruciante umiliazione per il giovane Presidente. È vero che Kennedy si rifiutò di fornire la copertura aerea che avrebbe mutato i rapporti di forza, è però anche vero che gli insorti erano convinti che la popolazione cubana si sarebbe schierata con loro e che in poco tempo Castro sarebbe stato rovesciato, successe esattamente il contrario.

Il secondo elemento che pesò sulle decisioni sovietiche fu la scelta statunitense di installare missili Jupiter in Italia e in Turchia. Raramente questo fatto viene ricordato ma fu alla base della scelta sovietica, per quanto quei missili fossero obsoleti e, secondo gli USA, solo difensivi essi dal punto di vista sovietico minavano gli equilibri mondiali. In una missiva che Krusciov spedì a Kennedy scrisse: ‘Lei ha installato armi distruttiva che lei chiama offensive, in Turchia, vicino a noi. Come può pensare che le nostre capacità militari si concilino con relazioni cosi diseguali fra i nostri stati?’ [pag. 37].

La rivoluzione cubana pur non essendo nata come una rivoluzione comunista quando volle affermare il proprio anti imperialismo non potè che guardare verso Mosca, dopo la fallita invasione della baia dei porci l’URSS si impegnò a sostenere l’isola, va però notato come il problema dei missili in Turchia fosse un problema ancora più pressante e probabilmente la scelta di installare missili nucleari aveva in questo il motivo scatenante.

Fu questo contesto a spingere Krusciov a dare il via all’operazione Anadyr. L’errore che lo stesso Krusciov col senno del poi ammise, fu quello di avere pensato che un lavoro complesso come questo potesse rimanere segreto. Quello che successe durante i 13 giorni della crisi è stato ampiamente trattato in molte opere, anche il libro di Sandra Martìnez ricostruisce con attenzione questi passaggi. Ciò che aiutò a trovare un compromesso in grado di evitare un conflitto nucleare fu la decisione, che si fece strada lentamente dentro il governo statunitense, di mettere sul piatto della trattativa i missili in Turchia. La capacità che va riconosciuta a Krusciov e Kennedy fu quella di lasciare Berlino fuori da questa crisi, ricordiamo che il muro era stato costruito nel 1961 e la situazione sarebbe potuta facilmente sfuggire di mano. L’accordo, reso possibile dal filo di dialogo sempre mantenuto aperto, vide da una parte l’Unione Sovietica smantellare i missili e dall’altra gli Stati Uniti impegnarsi a non invadere Cuba e a smantellare a loro volta i missili in Turchia. Questa seconda parte dell’accordo venne mantenuta segreta ma fu di vitale importanza per evitare la guerra.

Se, come diceva Antonio Gramsci, la storia è una maestra senza allievi possiamo dire guardando quello che succede oggi, che pochi, sopratutto in Occidente, hanno capito qualcosa di quello che è successo. A Kennedy possono essere fatte molte critiche ma mai lui usò verso Krusciov il linguaggio che sentiamo oggi dai leader dell’autoproclamato ‘mondo libero’ verso Putin.

Probabilmente proprio in virtù della crisi dell’ottobre ’62 Kennedy inizio a rivedere le sue posizioni di politica estera, il 10 giugno del 1963 parlando all’American University di Washington, il Presidente affermò: ‘Che tipo di pace intendo? Che tipo di pace cerchiamo? Non una Pax Americana imposta al mondo dalle armi da guerra americane. Non la pace della tomba o la sicurezza dello schiavo […] riesaminiamo il nostro atteggiamento nei confronti dell’Unione Sovietica […] Come americani, troviamo il comunismo profondamente ripugnante in quanto negazione della libertà e della dignità personale. Ma possiamo comunque salutare il popolo russo per le sue numerose conquiste: nella scienza e nello spazio, nella crescita economica e industriale, nella cultura e negli atti di coraggio […] Tra le molte caratteristiche che accomunano i popoli dei nostri due Paesi, nessuna è più forte della nostra reciproca avversione per la guerra. Quasi unici tra le maggiori potenze mondiali, non siamo mai stati in guerra tra di noi. E nessuna nazione nella storia della guerra ha mai sofferto più di quanto abbia sofferto l’Unione Sovietica nel corso della Seconda guerra mondiale. Almeno 20 milioni di persone persero la vita’. Questo discordo di cui ho riportano alcuni ampi stralci, fu pubblicato integralmente sulla Pravda. Si vide in esso l’apertura ad una strada di pace e collaborazione, quello che successe a Dallas pochi mesi dopo chiuse questa pagina per aprirne un’altra con il coinvolgimento statunitense nella guerre in Vietnam.

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