Haití: non è con le armi che si rompono i cicli di violenza

La crisi di governabilità che soffre Haiti, aggravata dall’uccisione del presidente Jovenel Moise, nel luglio del 2021, che lasciò il paese in un vuoto istituzionale, sembra non trovare soluzioni, almeno non nella forma in cui si è messo a fuoco come uscirne.

La crisi di governabilità che soffre Haití, aggravata dall’uccisione del presidente Jovenel Moise, nel luglio 2021, che lasciò il paese in un vuoto istituzionale, sembra non trovare soluzioni, almeno non nella forma in cui si è messo a fuoco come uscirne.

Dal principio di quest’anno gruppi criminali hanno preso il controllo di grandi zone del paese, includendo il 90% della sua capitale, Puerto Príncipe. Le bande armate sono state protagoniste di numerosi e crescenti episodi di violenza, che hanno provocato più di 2500 morti.

I gruppi criminali sono «sempre più forti, più ricchi e più autonomi» e il traffico illecito di armi e munizioni è «uno dei motori principali della loro espansione territoriale».

Stiamo vedendo in Haiti il risultato aggravato dei problemi di disuguaglianza, di povertà, di mancanza di protezione dell’infanzia e della gioventù che sono comuni nel resto dell’America Latina.

La soluzione del caos e dell’ingovernabilità sembrava prendere un cammino positivo a partire dal 25 aprile scorso, dopo la rinuncia del primo ministro, Ariel Henry, quando è stato creato un Consiglio di Transizione appoggiato dalla Comunità dei Caraibi (CARICOM).

I gruppi violenti hanno impedito a Ariel Henry di ritornare al paese da marzo, quando s’incontrava in visita ufficiale in Kenia, alla ricerca di aiuti delle forze di sicurezza di questa nazione africana, per lottare con la crisi interna. Dopo la rinuncia c’è stato il giuramento per il Consiglio formato dai rappresentanti politici della società civile, che dovevano prendere le redini del paese caraibico

Il Consiglio però non cominciò la sua gestione con lo spirito che si sperava. La nomina per il posto di primo ministro di Fritz Bélizaire, che era stato ministro allo Sport durante la seconda presidenza di René Préval, dal 2006 al 2011, non contò con il voto unanime dei membri.

Come risposta, i consiglieri che votarono contro pianificarono la possibilità d’impugnare la designazione, azione che portata avanti poteva fratturare la recentemente costituita coalizione politica.

La nomina fu considerata come «un complotto tramato contro il popolo haitiano» da vari gruppi della società civile rappresentati nell’ organo di governo.

Va segnalato che la riunione dei consiglieri si realizzò in un ambiente complesso, con la minaccia costante delle bande che promisero di annullare il giuramento se non si permetteva ai gruppi armati di partecipare alle conversazioni per stabilire il nuovo governo.

LE ARMI NON SONO LA SOLUZIONE

Strumenti e apparecchi statunitensi cominciarono a giungere a Puerto Príncipe di recente, per montare la logistica che sarà utilizzata dalla missione della sicurezza keniana con il fine di combattere le bande criminali, fatto confermato dal vice segretario di Stato degli USA, Todd Robinson. Il Dipartimento della Difesa USA ha destinato circa 200 milioni di $ per materiali e apparecchi di sicurezza e inoltre la consulenza del Pentagono per realizzare l’obiettivo di pacificare il paese.

Anche il Governo del Suriname ha annunciato che diffonderà in Haiti le sue forze militari per collaborare con la sicurezza nel processo di transizione.

Haiti è un paese vittima di una lunga successione d’interventi militari stranieri e di «aiuti umanitari» che, lontano dal rappresentare un’uscita dai problemi del paese, lo hanno aggravato e perpetuato.

Dobbiamo ricordare che l’America Latina e i Caraibi sono Zona di Pace, come detta il proclama firmato dai Capi di Stato e di Governo della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC), nel gennaio del 2014, nel 2º Vertice, a L’Avana, già dieci anni fa.

Questo documento propugna l’impegno permanente con la soluzione pacifica delle controversie, con il fine d’eliminare per sempre l’uso e la minaccia dell’uso della forza nella nostra regione.

IL DEBITO DEL COLONIALISMO CON IL POPOLO HAITIANO

Qualsiasi persona che si avvicina al «problema haitiano» deve dare una risposta alla seguente domanda: A chi può interessare di mantenere i cicli permanenti di violenza e caos in Haiti?

Il «problema» è cominciato, ricorderemo la storia, dopo che Haiti conquistò l’indipendenza nel 1804, quando il Barone di Mackau, inviato del re di Francia, consegnò al presidente della giovane Repubblica, in quel momento, Jean-Pierre Boyer, l’Ordinanza di Carlos X il 17 aprile del 1825.

Quella ordinanza obbligava Haiti a pagare grandi compensi alla potenza coloniale, e tra questi una riduzione del 50% delle tasse doganali dei prodotti d’importazione francesi e il pagamento di 150 milioni di franchi in cambio del suo riconoscimento come nazione indipendente e per evitare un’invasione militare.

Il paese dovette chiedere prestiti a banche francesi con elevati tassi d’interesse per poter pagare e riuscì a saldare il conto solo nel 1947, ben 122 anni dopo.

L’ enorme emorragia di risorse impedì alla nazione dei Caraibi di creare l’infrastruttura necessaria per il suo sviluppo socio-economico, rendendo impossibile la costruzione di scuole, ospedali, strade e case.

Non possiamo dimenticare il ruolo svolto dagli USA nell’infortunio di Haiti, l’occupazione militare dal 1915 al 1934, l’appoggio offerto da Washington alle dittature brutali di François y Jean-Claude Duvalier, e le pratiche d’ingerenza del XXI secolo.

La soluzione del «problema haitiano» passa dall’assoluto rispetto della sovranità, la non ingerenza nei suoi temi interni e una collaborazione efficace, solidale e disinteressata con il popolo di questa fraterna nazione caraibica.

Se si lasciano da parte le pratiche egemoniche delle grandi potenze si può avanzare sinceramente nel cammino della pace.

Un primo passo dovrebbe essere che l’antica metropoli restituisse il detto debito dell’indipendenza, come sollecita un importante gruppo di organizzazioni della società civile haitiana.

La comunità regionale, e più che mai la Comunità dei Caraibi (CARICOM), deve offrire i suoi buoni uffici, economici e tecnici, e apportare assistenza dov’è necessario.

Rompere i cicli di violenza e fermare il caos sono questioni vitali per l’Isola caraibica e non è con le armi che si spezzano questi cicli.

Haiti non è colonia di nessuno. Deve finire la visione «protettrice» e discriminatrice delle antiche potenze coloniali. Il popolo haitiano è capace di governarsi da solo e di decidere il suo destino.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.