La taglia su Maduro innesca una confessione sul golpe di Guaidó

Leonardo Flores,The Gray Zone

L’incriminazione carica di raggiri da parte dell’amministrazione Trump del presidente Nicolas Maduro e di membri del suo circolo interno è risultata un brutto boomerang, portando alla rivelazione di un piano violento di assassinio che potrebbe determinare l’arresto del leader del colpo di stato Juan Guaidó.

Per vent’anni estremisti di destra a Miami e a Washington hanno diffamato il governo venezuelano, accusandolo di traffico di droga e di dare rifugio a terroristi senza offrire neppure uno straccio di prova.

La prima voce della loro lista dei desideri è stata soddisfatta il 26 marzo, quando il Dipartimento della Giustizia USA ha rivelato rinvii a giudizio del presidente Nicolas Maduro e di 13 altri membri attuali o ex del governo e dell’esercito del Venezuela.

Oltre ai rinvii a giudizio il Procuratore Generale William Barr ha offerto una ricompensa di 15 milioni di dollari per informazioni che conducano all’arresto o alla condanna di Maduro, nonché dieci milioni di dollari di ricompensa per Diosdado Cabello (presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente del Venezuela), Tarek El Aissami (vicepresidente per l’economia), Hugo Carvajal (ex direttore dello spionaggio dell’esercito) e Cilver Alcalà (generale in pensione).

Il rinvio a giudizio si è già rivelato un boomerang. Ore dopo l’annuncio, Alcalà ha postato video in rete che minacciano di provocare ulteriori scissioni nell’opposizione e hanno rivelato un piano violento che potrebbe determinare l’arresto di Juan Guaidó. Prima di entrare nei dettagli, tuttavia, è importante capire quanto semplicemente prevenute politicamente siano le accuse contro Maduro et al.

Il mito secondo cui il Venezuela è un narco-Stato è stato già sfatato dall’Washington Office in Latin America (WOLA), un think tank di Washington che generalmente sostiene le operazioni di cambio di regime USA nella regione, nonché dalla FAIR, 15 y Ultimo, Misión Verdad, Venezuelanalysis e altri. Non si può negare che il Venezuela sia un paese di transito della cocaina, ma come mostrano le mappe sotto, meno del 7% del totale della droga dal Sud America transita in Venezuela (la regione dei Caraibi orientali comprende la penisola di Guajira in Colombia).

                                                 

Queste mappe, prodotte rispettivamente da Drug Enforcement Agency e Comando Sud USA, sollevano immediatamente dubbi sul perché il Venezuela sia il paese preso di mira.

Naturalmente le accuse  non hanno nulla a che fare con il traffico della droga; sono l’acutizzazione più recente del “marzo di massima pressione” dell’amministrazione Trump. Il pretesto è un presunto piano del governo venezuelano di inondare gli Stati Uniti di “qualcosa come 200-250 tonnellate di cocaina”. Anche se il dato può sembrare elevato, è importante comprendere il contesto. Gli Stati Uniti sono il maggior consumatore mondiale di cocaina e la Colombia ne è il massimo produttore mondiale. D’altro canto il Venezuela non coltiva coca, non produce cocaina e, secondo dati dello stesso governo statunitense, meno del 10 per cento del traffico globale di cocaina transita attraverso il paese.

A fini di confronto, le agenzie statunitensi che hanno fornito a Barr il dato di “200-250 tonnellate” affermano anche che una media di quasi 2.400 tonnellate di cocaina è affluita attraverso la Colombia tra il 2016 e il 2019, (il Venezuela ha raggiunto in media 216 tonnellate – dieci volte meno – nello stesso periodo). L’attuale presidente della Colombia, Ivan Duque, è uno stretto alleato dell’ex presidente del paese, Alvaro Uribe, che egli stesso è stato collegato a traffici di droga. Quasi esattamente un anno fa il presidente Trump ha lamentato che “dalla Colombia arrivano ora più droghe di prima” che Duque fosse presidente, tuttavia gli Stati Uniti continuano a concedere milioni alla Colombia in aiuti per la sicurezza come parte della loro fallita guerra alla droga.

Il doppio metro circa i narco-stati non è limitato alla Colombia. Il presidente dell’Honduras, appoggiato dagli Stati Uniti, Juan Orlando Hernandez è stato collegato al traffico di droga in un tribunale statunitense e tuttavia la notizia non ha meritato un importante annuncio del Dipartimento della Giustizia, presumibilmente perché Hernandez è un alleato degli USA. Un altro alleato degli Stati Uniti, il Guatemala, ha un flusso di cocaina nel suo territorio sei volte quello del Venezuela.

I rinvii a giudizio sono un altro mattone delle fondamenta di un pretesto per un’invasione militare statunitense diretta o per una guerra per procura utilizzando forze colombiane. Ci sono evidenti paragoni con il 1989, quando gli USA posero una taglia di un milione di dollari sul presidente panamense Manuel Oriega, solo per invadere successivamente il paese causando un numero stimato di 4.000 morti.

I premi che gli USA stanno offrendo per Maduro e quattro altri sono inquietanti anche perché sono già stati paragonati a una taglia.  Maduro è sopravvissuto ad almeno un tentativo di assassinio (nell’agosto del 2018 quando droni carichi di esplosivi sono detonati prematuramente) e i premi potrebbero essere interpretati, al minimo, come un “lasciapassare dal carcere” nel caso qualcuno riuscisse ad assassinarlo. D’altro canto, i premi confermano ciò che il governo venezuelano va dicendo da sempre: gli USA stanno offrendo milioni di dollari a persone perché attacchino la dirigenza del paese.

Tuttavia l’amministrazione Trump pare aver commesso un grave errore di calcolo includendo il generale in pensione Alcalà nei suoi rinvii a giudizio. Ex alleato dell’ex presidente Hugo Chavez, Alcalà si è unito all’opposizione nel 2015 ed è stato collegato a vari piani di colpi di stato e attacchi terroristici pianificati dal 2016. E’ l’ex ufficiale di più elevato profilo a rivolgersi contro Maduro ed è considerato il leader del personale militare pro Guaidó”. Alcalà è ora ricercato sia dagli Stati Uniti sia dal Venezuela.

Alcalà è implicato in un recente piano per attaccare il governo Maduro. Il 24 marzo autorità colombiane hanno sequestrato un camion carico di armi e di equipaggiamento militare, compresi 26 fucili d’assalto, del valore di 500.000 dollari. I servizio dello spionaggio venezuelano hanno collegato le armi a tre campi in Colombia dove gruppi paramilitari di disertori venezuelani e mercenari statunitensi si stanno addestrando per condurre attacchi contro il Venezuela. Secondo il Ministro delle Comunicazioni del Venezuela, Jorge Rodriguez, questi gruppi progettavano di approfittare della pandemia di COVID-19 per attaccare unità militari e piazzare bombe. Ha anche collegato i gruppi ad Alcalà.

Queste accuse si sono dimostrate corrette quando Alcalà, in un video pubblicato in rete ore dopo i rinvii a giudizio, ha ammesso che le armi erano sotto il suo comando. Ha ulteriormente ammesso che le armi erano state acquistate con fondi consegnatigli da Juan Guaidó, con il quale avrebbe firmato un contratto. Inoltre Alcalà ha affermato che l’operazione era progettata da consiglieri statunitensi, con i quali egli si sarebbe incontrato almeno sette volte. Alcalà ha anche affermato che Leopoldo Lopez, il fondatore del partito di Guaidó, Voluntad Popular, emerso dagli arresti domiciliari durante la tentata insurrezione di Guaidó il 30 aprile, era a piena conoscenza del piano terroristico.

In conseguenza di questi video il procuratore generale del Venezuela ha aperto un’indagine su Juan Guaidó per un tentato colpo di stato. Nonostante l’autoproclamazione di Guaidó a presidente nel gennaio del 2019, la sua tentata insurrezione dell’aprile 2019, le sue ripetute richieste di sanzioni e di un’invasione militare, le autorità venezuelane si erano astenute dal muoversi contro di lui. I rinvii a giudizio statunitensi risultato aver indotto il governo venezuelano ad attivare la loro reazione più forte alle continue provocazioni dell’amministrazione Trump e di Guaidó.

Naturalmente se l’amministrazione Trump facesse davvero sul serio nel combattere il terrorismo, la corruzione e il traffico di droga, il primo venezuelano cui dovrebbe guardare sarebbe Juan Guaidó. Dopotutto è stato fotografato con membri del famigerato cartello della droga Los Rastrojos che lo avrebbero aiutato a entrare in Colombia in cambio della sua chiusura di un occhio sull’espansione del cartello dalla Colombia al Venezuela occidentale. La squadra di Guaidó in Colombia si è appropriata di fondi di aiuti umanitari e ora è stata direttamente implicata in un piano terroristico, che presumibilmente ha utilizzato denaro fornitogli dal Stati Uniti (poiché sono la sua sola fonte di finanziamento).

Le rivelazioni a proposito dell’utilizzo da parte di Guaidó di fondi statunitensi per acquistare armi e il suo presunto coinvolgimento in ancora un altro piano violento stanno mettendo pressione a figure e partiti d’opposizione che hanno accennato di voler partecipare alle elezioni legislative di quest’anno ma devono ancora impegnarsi del tutto al dialogo. Un giorno prima che i rinvii a giudizio statunitensi fossero rivelati, il presidente Maduro aveva invitato diversi di tali leader a partecipare a un dialogo presso il Nunzio Apostolico (l’ambasciata del Vaticano a Caracas) al fine di cercare di raggiungere un consenso sulla reazione della nazione al COVID-19. Ora hanno di fronte la difficile scelta se far infuriare gli elettori venezuelani (l’83 per cento dei quali è contro un’opzione militare) continuando ad appoggiare la violenza di Guaidó, o far infuriare gli Stati Uniti collaborando con dirigenti governativi incriminati.

L’amministrazione Trump va sabotando da due anni una soluzione negoziata dei problemi del Venezuela, anche nel febbraio 2018, quando ha minacciato un embargo petrolifero e il sostegno a un colpo di stato durante i negoziati tra il governo e l’opposizione nella Repubblica Dominicana, e di nuovo nell’agosto del 2019, quando ha imposto un embargo totale durante un altro tentativo di dialogo. Questi nuovi rinvii a giudizio, che persino il New York Times ha descritto come “molto insoliti”, paiono cronometrati per sabotare ancora una volta dei negoziati, quando in precedenza nella settimana membri dell’opposizione moderata, tra cui il presidente dell’Assemblea Nazionale Luis Parra, avevano sollecitato gli USA a revocare le sanzioni a causa della pandemia di coronavirus.

Ancora un’altra cantonata riguardo ai rinvii a giudizio è che l’amministrazione Trump sta inviando messaggi contraddittori. Da un lato ha passato tre anni a sollecitare dirigenti governativi e militari venezuelani di alto livello a disertare, promettendo spazio per operare politicamente dopo la salita al potere di un governo di transizione. Dall’altro ha rinviato a giudizio il membro di più alto profilo dell’esercito che aveva disertato, Cliver Alcalà, per gravi accuse di narcoterrorismo.

La sfrontatezza dei rinvii a giudizio nel tentativo di far passare il Venezuela per un narco-stato, la mancanza di lungimiranza riguardo alle possibili ripercussioni, il tentato sabotaggio del dialogo e i messaggi contrastanti sono tutti segnali che l’amministrazione Trump vuole disperatamente assicurare che la sua politica di cambiamento di regime mostri risultati. Le vittime di questa politica sono il popolo venezuelano, che starebbe molto meglio con una politica di rinormalizzazione, dialogo e rimozione di sanzioni letali.

Leonardo Flores è un esperto di politica latino-americana e attivista di CODEPINK.

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