Vzla: tattica e strategia: una lettura dei nuovi indulti presidenziali

Franco Vielma https://medium.com/@misionverdad2012

Il quadro politico in Venezuela sta presentando un’evoluzione accelerata in questi giorni, ora, mediante l’indulto che il presidente Nicolás Maduro ha concesso a più di 100 dirigenti ed attivisti anti-chavisti che sono stati scarcerati, o erano ricercati dalla giustizia venezuelana e persino alcuni che si si dichiaravano “perseguitati” senza procedimenti penali contro, alcuni all’estero.

Dando per scontati i dettagli di questa misura, è evidente che il chavismo mira, nuovamente, a creare zone di distensione con gli oppositori, sotto lo slogan di “riconciliazione”, ma che ha l’obiettivo di mobilitare il maggior numero di volontà anti-chaviste possibili alle prossime elezioni parlamentari.

La replica della strategia di dialogo con gli oppositori, come quella realizzata nel 2017, questa volta ha nuove peculiarità. È avvenuta dietro le quinte, ci sono fattori esterni al paese coinvolti, avviene nel mezzo di un ferreo blocco economico e minacce belliche frontali e la crisi dei partiti è trasversale e profonda, per una frammentazione quasi totale dell’opposizione, ciò il che rende più arduo il consolidamento di accordi con una parte di essi.

Il chavismo, d’altra parte, ha diviso la sua opinione. Da un lato c’è sostegno e, dall’altro, stupore ed indignazione.

Per Maduro la scommessa è superiore e si ispira ai risultati che questa strategia ha generato, negli anni precedenti, che le conferisce fattibilità politica. Spieghiamo la questione in modo panoramico.

Il bilancio delle distensioni precedenti

Nel 2017 il Venezuela era sull’orlo di una guerra civile e l’opposizione, nel pieno del suo impeto, prometteva di raggiungere Miraflores minacciando la stabilità nazionale e cercando di rompere l’istituzionalità.

Il chavismo ha eletto l’Assemblea Nazionale Costituente (ANC) per preservare l’istituzionalità, ma ci sono stati dialoghi aperti e serrati con l’opposizione. I suoi dirigenti, trovandosi immersi in una fallimentare strategia golpista, hanno dovuto manovrare il loro ritorno alla politica. Hanno chiesto che l’ANC fosse smantellata, Maduro non ha ceduto, benché sì lo ha fatto in altri items, come il rilascio dei criminali detenuti.

Questi dialoghi hanno pacificato il paese, sono state concordate elezioni consecutive e lo scenario prebellico e altamente instabile è stato diluito nelle elezioni regionali e municipali che il chavismo ha capitalizzato in maniera indiscussa, offrendo al chavismo una governance impensabile durante i primi mesi di quell’anno.

L’opposizione, che aveva formidabilmente vinto le elezioni parlamentari del 2015 ed era stata unita nelle violenze del 2017, si è disarticolata. La catastrofe è stata principalmente narrativa, poiché hanno promesso un golpe e si sono addomesticati nei dialoghi quando hanno visto che il loro golpe era fallito. I suoi seguaci, delusi, li ha abbandonati. Successivamente il naufragio si è tradotto nei voti ed i risultati già li sappiamo.

Quella strategia, di dialoghi, liberazioni ed elezioni, ha avuto altri effetti a medio e lungo termine. Il peggior saldo che hanno raccolto è stata la loro divisione, che è perdurata, nonostante l’incoronazione immaginaria di Guaidó nel 2019.

Conosciamo già il resto della storia, con gli USA che guidano, apertamente, ciò che Mike Pompeo ha dichiarato che fosse molto difficile da unire: l’opposizione venezuelana.

È noto che il chavismo ha dovuto calibrare i suoi costi nella politica profonda, articolando strategie ed applicando, contro molte probabilità, concessioni nello scacchiere politico, questo sì, esercitando sempre la sua posizione di dominio e stabilendosi nel suo centro di gravità politica . Per il chavismo il dialogo funziona come meccanismo politico ed, oggi, senza dubbio, continuiamo ad essere beneficiari dai risultati di quella strategia del 2017.

Gli elementi, oggi, sulla scacchiera

I movimenti che vediamo oggi hanno, dalla parte anti-chavista, Henrique Capriles, che risulta ora essere un articolatore dei partiti ed, inoltre, delle liberazioni ed indulti che hanno avuto luogo. Questo non viene dal nulla. Capriles ha assunto la bozza di ciò che Guaidó ha lasciato raffreddare, su ordine USA, che è la tabella di marcia da Oslo alle Barbados.

Nei giorni scorsi Josep Borrell, responsabile diplomazia europea, ha affermato di star dialogando con il chavismo e l’opposizione sulla possibilità di creare “nuove garanzie elettorali”, proprio affinché parte dell’opposizione odierna, sommata alla strategia dell’astensione, vada alle elezioni.

Le possibilità che il G3 (il G4 senza Voluntad Popular) vada alle elezioni si sono incrementate, proprio da quando la Conferenza Episcopale Venezuelana (CEV) ha invitato gli anti-chavisti ad assumere una strategia diversa dall’astensione e dalla rassegnazione; strategia che si è rivelata fallimentare nel 2005. Ciò non è avvenuto in modo fortuito, i confini tattici dell’anti-chavismo hanno un tal livello di profondità che il clero è ricomparso nel suo ruolo di attore politico proprio per allontanarsi da Guaidó. Tanto gli sforzi di Borrell, così come la posizione della CEV, non sono affatto disgiunti.

Tutte queste mosse sulla scacchiera custodiscono con esse un’offerta di intenzioni ed interessi al di là delle apparenze e delle frasi vuote. Avviene nell’anti-chavismo un approfondimento dei suoi antagonismi e sta avvenendo proprio ora, la prende come carogna dei resti di Juan Guaidó.

Questi eventi avvengono attraverso Capriles che cerca di affermarsi come dirigente di un’opposizione prigioniera e paralizzata e, d’altra parte, con María Corina Machado sbattendo la porta in faccia a Guaidó per cercare di consolidarsi come la favorita degli USA, o almeno così ha provato prima che Elliott Abrams si riferisse al suo “realismo magico” in un brevissimo tempo.

Nella disputa interna dell’anti-chavismo, è Capriles che ha più probabilità di affermarsi. Sappiamo, da maggio, che ci sta lavorando. È lui che affronta la furia degli oppositori furibondi, ne sta sostenendo i costi, perseguendo un obiettivo più grande.

Ma Capriles non è ingenuo, né agisce da solo. Conta, dietro le quinte, con il supporto di altri anti-chavisti che non vogliono porsi come dialoganti sulla scena aperta, poiché sono fattori che capiscono il costo politico di ciò, ma che capiscono anche l’imprevedibile risultato di restare fuori dall’arena elettorale.

Quando gli USA hanno deciso di dichiarare, in anticipo, nulle le prossime elezioni in Venezuela, hanno dichiarato che la “presidenza” di Guaidó nell’AN e, di conseguenza, del paese sarebbe stata “a tempo indefinito”. È evidente che molte forze dell’anti-chavismo non vogliono perpetuare la presidenza immaginaria di Guaidó né, tanto meno, vogliono essere comandate da Leopoldo López, che dall’ambasciata spagnola pretende mantenere Guaidó come telecomando per capitanarle.

I confini tattici dell’anti-chavismo anche si decantano in interessi economici, al punto che solo un gruppo di deputati del seguito di Guaidó sono i beneficiati della continuità della situazione attuale, quella di un’opposizione che si proietta all’esilio e che capta risorse all’estero, mentre un’opposizione interna rimane relegata.

All’anti-chavismo conviene rispondere istericamente contro gli indulti. Lo abbiamo visto dalle reazioni di alcuni dei beneficiari e dei loro strappatori di vesti. È logico che lo facciano, soprattutto coloro che dicono che disconoscere gli indulti significa continuare a disconoscere Maduro.

Non vogliono esporsi in pubblico come addomesticati, né vogliono ammorbidire l’agenda di dare più vita a Guaidó e al suo flusso di dollari USA. Quindi quell’altro fattore sulla scacchiera ha perfettamente senso.

Sono fattori che temono di essere travolti dagli anti-chavisti che andranno alle elezioni, quindi queste narrazioni devono essere intese non come attacchi unidirezionali a Maduro: sono anche attacchi a coloro che dialogano e vanno all’arena elettorale.

Tattica e strategia

Uno dei principi fondamentali in ogni guerra è il riconoscimento dell’avversario. Diamo un’occhiata a questa affermazione in profondità. Il riconoscimento dell’avversario non parte dal solo riconoscimento della sua esistenza e dei suoi punti di forza e debolezza, ma delle gravitazioni e condizioni che lui ed il contesto impongono. L’esercizio della politica sarebbe facilissimo se si potesse fare solo coi colpi sul tavolo e nelle viscere, ed invece no. Fare politica Reale (con la R maiuscola) richiede ponderazione dei costi, a volte molto alti, per ricalibrare la scacchiera.

Gli indulti che hanno avuto luogo sono stati ben accolti dagli europei, che si trovano in una chiara demarcazione dell’agenda USA per il Venezuela. Ciò implica la rottura del consenso tra loro e gli USA ed apre maggiori possibilità di riconoscimento delle prossime elezioni.

Si rompono apertamente i consensi dell’opposizione, creati artificialmente intorno a Guaidó. La realtà e la cessazione dell’attuale periodo parlamentare raggiunge l’anti-chavismo, come è inevitabile, è il periodo da oggi fino a gennaio. Di fronte a Guaidó, alle sue strategie fallite e ad un’invasione USA che non è ancora arrivata, è chiaro che un tale disastro spinge, inevitabilmente, diversi partiti alla politica. Ciò rende indispensabile le distensioni che oggi hanno un punto d’appoggio nel surriscaldato quadro politica.

Il chavismo ha come obiettivo, tatticamente, che più settori dell’anti-chavismo partecipino alle elezioni per dare loro legittimità, per così manovrare la sua denuncia per lo smantellamento del blocco integrale contro il paese, per così ricostituire il quadro istituzionale e rafforzare lo spazio parlamentare come componente della governance, che sarebbero i suoi obiettivi strategici.

Al dare gli arresti domiciliari a Juan Requesens, che ha partecipato al tentativo di omicidio del 2018, è chiaro che Maduro stesso è quello che cede di più per ottenere un obiettivo superiore. È chi più sacrifica nelle sue posizioni, a scapito del proprio diritto alla giustizia, per andare a favore di una regolarizzazione del quadro politico nazionale, per andare a nuovi consensi e per continuare a sedimentare il blocco ed i fattori avversi che cercano di smantellare la nazione dall’estero.

Come poche volte, questi eventi richiedono un livello superiore di comprensione, senza attacchi e senza visceri all’aria, assumendo che la politica venezuelana, per la sua complessità, ci ha insegnato che non esistono eventi fortuiti e, tanto meno, gratuiti. Che in politica tutto è una scommessa e che per scommettere devi mettere le carte in tavola.

Se ricordiamo, dal 2017 sappiamo che le distensioni sono servite a guadagnare terreno, a volte cedendo “tanto”, ma guadagnando molto di più. Questo ci fa supporre che potrebbero arrivare più annunci, alcuni difficili da ingoiare ed ancora più difficili da digerire. Ma tutto questo fa anche parte del quadro di eccezionalità politica con cui siamo alle prese. Calcoli, eventi, tattica e strategia sono ciò che definisce i bilanci politici, e questi rimangono da vedere.


Táctica y estrategia: una lectura de los nuevos indultos presidenciales en Venezuela

Por Franco Vielma

El cuadro político en Venezuela está presentando una evolución acelerada durante estos días, ahora, mediante el indulto que el presidente Nicolás Maduro ha hecho a más de 100 dirigentes y activistas antichavistas que han sido excarcelados, o estaban siendo requeridos por la justicia venezolana e incluso algunos que se declaraban “perseguidos” sin causas penales en contra, algunos en el exterior.

Dando por entendidos los detalles de esta medida, es evidente que el chavismo nuevamente apunta a crear zonas de distensión con los opositores, bajo una consigna de “reconciliación”, pero que viene con el objetivo de movilizar el mayor número de voluntades antichavistas posibles a las próximas elecciones del parlamento.

La réplica de la estrategia de diálogo con los opositores tal como la que fuera ejecutada en 2017, esta vez tiene nuevas particularidades. Ha ocurrido tras bastidores, hay factores externos al país involucrados, concurre en medio de un férreo bloqueo económico y amenazas bélicas frontales y la crisis de partidos es transversal y profunda, por una fragmentación casi total de la oposición, lo cual hace más cuesta arriba la consolidación de acuerdos con una parte de ellos.

El chavismo, por otro lado, ha dividido su opinión. Por un lado hay respaldo y, por el otro, estupor e indignación.

Para Maduro la apuesta es superior y se inspira en los resultados que dicha estrategia generó en años anteriores, lo cual le da viabilidad política. Expliquemos el asunto panorámicamente.

El saldo de las distensiones anteriores

En 2017 Venezuela estaba al borde de una guerra civil y la oposición, en plenitud de su ímpetu, prometía alcanzar Miraflores amenazando la estabilidad nacional e intentando quebrar la institucionalidad.

El chavismo eligió a la Asamblea Nacional Constituyente (ANC) para preservar la institucionalidad, pero hubo diálogos abiertos y cerrados con la oposición. Sus dirigentes, al verse sumidos en una estrategia de golpe fallido, tuvieron que maniobrar su regreso a la política. Exigieron que se desmantelara la ANC, Maduro no cedió, aunque sí lo hizo en otros ítems, como la liberación de criminales detenidos.

Esos diálogos pacificaron al país, se acordaron elecciones consecutivas, y el escenario pre-bélico y de alta inestabilidad se diluyó en elecciones regionales y municipales que el chavismo capitalizó de manera indiscutida, brindándole al chavismo una gobernanza que era impensable durante los primeros meses de ese año.

La oposición que formidablemente había ganado las elecciones parlamentarias de 2015, y que se veía unida en la violencia de 2017, se desarticuló. La catástrofe fue primeramente narrativa, pues prometieron un golpe y se domesticaron en diálogos al ver que su golpe fracasó. Sus seguidores, decepcionados, los abandonó. Seguidamente, el naufragio se tradujo en votos y los resultados ya los sabemos.

Aquella estrategia, de diálogos, liberaciones y elecciones, tuvo otros desencadenantes al mediano y largo plazo. El peor saldo que cosecharon fue su división, que ha perdurado, pese a la coronación imaginaria de Guaidó en 2019.

El resto de la historia ya la sabemos, con los estadounidenses timoneando abiertamente lo que Mike Pompeo declaró que era muy difícil de unir: la oposición venezolana.

Es sabido que el chavismo ha tenido que calibrar en la política profunda sus costos, articulando estrategias y aplicando, contra muchas probabilidades, concesiones en el tablero de lo político, eso sí, siempre ejerciendo su posición de dominio y afianzándose en su centro de gravedad política. Para el chavismo, el diálogo funciona como mecanismo político y, hoy, de manera indiscutida, seguimos siendo beneficiarios de los resultados de esa estrategia de 2017.

Los elementos hoy en el tablero

Los movimientos que hoy vemos tienen en el lado antichavista a Henrique Capriles, quien ha resultado ahora ser un articulador de los partidos y, además, de las liberaciones e indultos que han tenido lugar. Esto no proviene de la nada. Capriles asumió el borrador de lo que Guaidó dejó enfriar por órdenes estadounidenses, que es la hoja de ruta de Oslo a Barbados.

En días recientes Josep Borrell, a cargo de la diplomacia europea, afirmó estar dialogando con el chavismo y la oposición la posibilidad de crear “nuevas garantías electorales”, precisamente para que parte de la oposición hoy, sumada a la estrategia de la abstención, vaya a elecciones.

Las posibilidades de que el G3 (el G4 sin Voluntad Popular) acuda a elecciones se han incrementado, precisamente desde que la Conferencia Episcopal Venezolana (CEV) llamara a los antichavistas a asumir una estrategia distinta a la abstención y la resignación, estrategia demostradamente fallida en 2005. Esto no ocurrió de manera fortuita, los deslindes tácticos del antichavismo tienen tal nivel de profundidad que el clero reapareció en su rol de actor político precisamente para alejarse de Guaidó. Tanto las gestiones de Borrell, como la postura de la CEV, no son para nada inconexas.

Todas estas movidas en el tablero guardan consigo una puja de intenciones e intereses más allá de lo aparente y las frases huecas. Ocurre en el antichavismo una profundización de sus antagonismos y tiene lugar justo ahora, la toma como carroña de los restos de Juan Guaidó.

Estos eventos toman lugar mediante Capriles intentando afianzarse como líder de una oposición cautiva y paralizada y, por otro lado, con María Corina Machado tirando la puerta en la cara a Guaidó para intentar consolidarse como la favorita de los estadounidenses, o al menos así lo intentó antes que Elliott Abrams se refiriera a su “realismo mágico” en un brevísimo plazo.

En la disputa interna del antichavismo, es Capriles quien tiene más probabilidades de afianzarse. Sabemos desde mayo que viene trabajando en eso. Es quien lidia la furia de los opositores furibundos, está asumiendo los costos, persiguiendo un objetivo mayor.

Pero Capriles no es ingenuo, ni actúa solo. Cuenta tras bastidores con el apoyo de otros antichavistas que no quieren colocarse como dialogantes en la escena abierta, pues son factores que entienden el costo político de ello, pero que entienden también el impredecible resultado de mantenerse fuera del ruedo electoral.

Cuando los estadounidenses decidieron declarar anticipadamente nulas las próximas elecciones en Venezuela, declararon que la “presidencia” de Guaidó en la AN y, en consecuencia, del país, sería por “tiempo indefinido”. Es evidente que muchas fuerzas del antichavismo no quieren perpetuar la presidencia imaginaria de Guaidó, ni mucho menos quieren estar siendo mandoneados por Leopoldo López, quien desde la embajada española pretende mantener a Guaidó como control remoto para capitanearlos.

Los deslindes tácticos del antichavismo también se decantan en intereses económicos, al punto de que sólo un grupo de diputados del séquito de Guaidó son los beneficiarios de la continuidad de la actual situación, el de una oposición que se proyecta al exilio y que capta recursos en el extranjero, mientras una oposición interna queda relegada.

Al antichavismo conviene responder histéricamente en contra de los indultos. Lo hemos visto por las reacciones de varios de los beneficiados y sus rasgadoras de vestiduras. Es lógico que lo hagan, especialmente quienes dicen que desconocer los indultos pasa por continuar desconociendo a Maduro.

No quieren exponerse en público como domesticados, ni quieren aflojar en la agenda de darle más vida a Guaidó y a su flujo de dólares estadounidenses. Así que ese otro factor en el tablero tiene pleno sentido.

Son factores que temen ser avasallados por los antichavistas que irán a elecciones, así que hay que entender esas narrativas no como ataques unidireccionales a Maduro: son también ataques a quienes dialogan y van al ruedo electoral.

Táctica y estrategia

Uno de los principios fundamentales en toda guerra es el reconocimiento del adversario. Veamos esa aseveración en profundidad. El reconocimiento del adversario no parte del reconocimiento sólo de su existencia y de sus fortalezas y debilidades, sino de las gravitaciones y condiciones que él y el contexto imponen. El ejercicio de la política sería muy fácil si pudiera hacerse solo desde los golpes en la mesa y las vísceras, pero no. Hacer política Real (con R mayúscula) demanda sopesar costos, a veces muy altos, para recalibrar el tablero.

Los indultos que han tenido lugar han sido bien recibidos por los europeos, quienes están en un claro deslinde de la agenda estadounidense para Venezuela. Ello implica la ruptura de los consensos entre ellos y EEUU y abre posibilidades superiores para un reconocimiento de las próximas elecciones.

Se rompen abiertamente los consensos opositores, creados artificialmente alrededor de Guaidó. La realidad y el cese del actual periodo parlamentario alcanza al antichavismo, tal como inevitable es el lapso de hoy hasta enero. Frente a Guaidó, sus estrategias fallidas y una invasión estadounidense que no termina de llegar, es evidente que tal descalabro irremediablemente empuja a varios partidos a la política. Ello hace indispensable las distensiones que hoy tienen asidero en el caldeado cuadro político.

El chavismo tiene como objeto, en lo táctico, que más sectores del antichavismo concurran a las elecciones para darles legitimidad, para así maniobrar su denuncia para el desmantelamiento del bloqueo integral contra el país, para así reconstituir la institucionalidad y fortalecer el espacio parlamentario como componente de la gobernanza, que serían sus objetivos estratégicos.

Al dar casa por cárcel a Juan Requesens, quien participó en el intento de magnicidio de 2018, es evidente que el propio Maduro es quien más cede para alcanzar un objetivo superior. Es quien más sacrifica en sus posturas, en detrimento a su propio derecho a la justicia, para ir en favor de una regularización del cuadro político nacional, para ir a nuevos consensos y para continuar sedimentando el bloqueo y a los factores adversos que intentan desmantelar la nación desde el extranjero.

Como pocas veces, estos eventos demandan un nivel superior de entendimiento, sin arrebatos y sin vísceras al aire, asumiendo que la política venezolana por su complejidad nos ha enseñado que no hay eventos fortuitos y, menos aún, gratuitos. Que en política todo es una apuesta y que para apostar hay que colocar cartas en la mesa.

Si hacemos memoria, desde 2017 nos consta que las distensiones han servido para ganar terreno, en ocasiones cediendo “mucho”, pero ganando mucho más. Esto nos hace suponer que pueden venir más anuncios, algunos difíciles de tragar y hasta más difíciles de digerir. Pero todo ello es también parte del cuadro de excepcionalidad política que lidiamos. Los cálculos, los eventos, la táctica y la estrategia, son lo que define los saldos políticos, y estos están por verse.

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